L'intertestualità
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L'intertestualità

  1. 106 pagine
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L'intertestualità

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Non è raro il caso che un'opera letteraria si presenti, dichiaratamente o meno, come la ripresa o la continuazione di un'altra opera precedente, di altro autore. A questa caratteristica la critica letteraria, a partire dagli anni Settanta di questo secolo, ha dato il nome di «intertestualità». E, in un certo senso, qualsiasi creazione letteraria, in quanto non è comprensibile al di fuori della tradizione delle opere letterarie precedenti, può considerarsi alla luce dell'intertestualità.

A questo tema, la prima parte del saggio dedica una introduzione di tipo storico e teorico; la seconda una sintetica analisi esemplificativa delle forme che essa può assumere. A partire dalla «memoria di genere», ossia dai riferimenti relativi non a un testo ben individuato ma a un gruppo di testi omogenei e a un «modello» che da questi testi si può ricavare. Per arrivare alle forme via via più specifiche: la ripresa di temi, situazioni narrative, personaggi; le riprese formali (tipiche del linguaggio poetico); la parodia (contraffazione ironica o satirica di testi precedenti); il pastiche (imitazione dello stile di autori o opere differenti); la riscrittura in chiave seria. In generale, sia nella prima che nella seconda parte, si è sempre ridotta al minimo l'esposizione teorica astratta e si è proceduto quanto più possibile attraverso esempi concreti, privilegiando il riferimento a opere contemporanee e di facile lettura.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858122884

1.
Che cos’è l’intertestualità

Dal diario di Silas Flannery

Da qualche tempo lo scrittore Silas Flannery è in crisi. Egli avverte tra sé e la pagina bianca una barriera apparentemente insormontabile. L’immensità dello ‘scrivibile’ da una parte e di tutto ciò che è stato già scritto dall’altra lo paralizzano e gli impediscono di scrivere; tutto ciò che lo caratterizza e lo definisce (stile, gusto, soggettività, formazione culturale, esperienza vissuta, psicologia) gli sembra «una gabbia che limita le sue possibilità». Nel tentativo di superare la crisi Silas Flannery decide di provare a copiare l’inizio di un romanzo famoso, sperando che l’energia contenuta nelle parole di un altro gli dia l’aiuto di cui ha bisogno:
Oggi mi metterò a copiare le prime frasi d’un romanzo famoso, per vedere se la carica d’energia contenuta in quell’avvio si comunica alla mia mano, che una volta ricevuta la spinta giusta dovrebbe correre per conto suo.
In una giornata estremamente calda del principio di luglio, verso sera, un giovane scese in strada dalla stanzuccia che aveva in subaffitto nel vicolo di S. e lentamente, come se fosse indeciso, s’avviò verso il ponte di K.
Copierò anche il secondo capoverso, indispensabile per farmi trasportare dal flusso della narrazione:
Per la scala, evitò felicemente l’incontro della sua padrona di casa. La stanzuccia di lui veniva a trovarsi proprio sotto il tetto d’un alto casamento a cinque piani e rassomigliava a un armadio più che a una dimora. E così via fino a: Aveva un forte debito verso la padrona e temeva d’incontrarla. [...] Mi fermo prima che s’impadronisca di me la tentazione di copiare tutto Delitto e castigo.
Riscrivere la parola d’altri è l’unico modo per cominciare a scrivere: dalle parole già scritte Silas Flannery tenta di ricavare l’energia necessaria alla propria opera. Ed è quello che sto facendo anch’io: per iniziare il mio discorso non ho trovato di meglio che ripetere quanto dice il protagonista del romanzo di Italo Calvino (1923-1985) Se una notte d’inverno un viaggiatore (sul quale torneremo con più attenzione nell’ultimo capitolo), sperando di ottenere dalla ripresa la definizione dell’argomento. Ma l’aiuto può trasformarsi in ostacolo, il fascino della parola altrui può arrivare a inibire la possibilità di una parola propria: così come Silas Flannery rischia di copiare per intero Delitto e castigo, celebre romanzo dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881), anch’io potrei continuare a copiare Se una notte d’inverno, evitando di intervenire in prima persona. Sono questi gli estremi opposti che segnano il campo d’azione dell’intertestualità: le precedenti scritture sono allo stesso tempo un ostacolo da superare e un aiuto di cui non si può fare a meno. La nozione di intertestualità, da un punto di vista generale, esprime la coscienza di questa dialettica. Tra questi due estremi – la necessità della ripresa e la necessità di liberarsi dalla ripresa – si colloca ogni nuova creazione letteraria. Possiamo così sintetizzare i tre aspetti che concorrono alla definizione teorica dell’intertestualità:
La concezione della letteratura come sistema. Le opere letterarie costituiscono nel loro complesso un sistema, cioè un insieme che non è dato solo dalla somma delle singole parti che lo compongono ma, soprattutto, dalle loro relazioni reciproche. Qualsiasi opera letteraria nasce e si definisce in rapporto al sistema letterario preesistente e al di fuori di esso è inconcepibile, non è riconoscibile come tale. Di conseguenza, ogni nuova opera modifica l’insieme e lo riorganizza in funzione di se stessa: le opere del passato rivivono costantemente nelle nuove.
La dialettica tra originalità e convenzione. Il testo letterario presuppone sempre il riferimento ad altri testi, la parola letteraria è sempre una parola dialogica, che ha fatto propria la parola altrui. La nuova parola ha senso perché esistono altre parole già dette alle quali si rapporta. Grazie a questa relazione noi riconosciamo l’opera letteraria come tale e riusciamo a distinguerla da tutto ciò che non è letterario. Non esiste una parola letteraria assolutamente ‘vergine’. Anche quando un’opera pretende di essere del tutto originale e di non avere alcun rapporto con le altre, la stessa negazione costituisce una forma di rapporto: l’opera si definisce in negativo rispetto a ciò che non è, ma al di fuori di questa negazione non avrebbe ragione d’essere. D’altra parte, per affermare se stessa, la parola deve negare le altre, liberarsi da quella che il critico americano Harold Bloom (n. 1930) ha chiamato con espressione efficace «angoscia dell’influenza». Secondo Bloom la creazione poetica nasce sempre dal confronto e dalla negazione dei propri modelli, così come la personalità di ogni individuo si forma attraverso il confronto dialettico con la propria famiglia: «la vera storia della poesia è la storia di come dei poeti hanno sofferto in quanto poeti altri poeti, proprio come ogni vera biografia è la storia di come qualcuno ha sofferto la propria famiglia [...]. Ogni poesia è una mis-interpretazione di una poesia-madre. Poesia è angoscia dell’influenza, è fraintendimento, è perversità disciplinata [...] è il fascino dell’incesto, disciplinato dalla resistenza a quel fascino».
Il rapporto tra letterarietà e immediatezza. Alla dialettica tra originalità e convenzione si sovrappone il conflitto tra letterarietà e rappresentazione immediata dell’esperienza e della realtà. La ‘letterarietà’ dell’opera è spesso sentita in contrasto con la sua autenticità: qualsiasi progetto di presa diretta sul reale sembra contrapporsi alla filiazione letteraria – e infatti i periodi in cui predominano poetiche di tipo ‘realistico’ sono anche quelli in cui la coscienza dell’intertestualità si affievolisce o viene volutamente minimizzata. Il legame dell’opera con le altre opere letterarie appare come un ostacolo alla rappresentazione diretta e non mediata del reale. Anche in questo caso la percezione dell’intertestualità assume una forma dialettica: l’istanza realistica porta a minimizzare l’autocoscienza letteraria, ma non esiste possibilità di rappresentazione che non passi attraverso la mediazione letteraria. È quanto afferma Italo Calvino nella prefazione aggiunta nel 1964 al Sentiero dei nidi di ragno (1947): «Le letture e l’esperienza di vita non sono due universi ma uno. Ogni esperienza di vita per essere interpretata chiama certe letture e si fonde con esse. Che i libri nascano sempre da altri libri è una verità solo apparentemente in contraddizione con l’altra: che i libri nascano dalla vita pratica e dai rapporti tra gli uomini».
La definizione dell’intertestualità si costruisce per coppie di concetti contrastanti: unicità e autonomia di ogni singola opera/sistema letterario; originalità/tradizione; letterarietà/autenticità. Il prevalere dell’uno o dell’altro termine ha portato, nel corso delle diverse epoche storiche, a modi opposti di intendere e giudicare l’intertestualità, sia dal punto di vista teorico sia nelle sue più evidenti realizzazioni testuali: in alcuni casi prevale il riconoscimento e la valorizzazione dei caratteri intertestuali, in altri invece la loro condanna e negazione. Per questo, prima di affrontare l’analisi delle forme in cui l’intertestualità si esplica concretamente (analisi alla quale sarà dedicata la seconda parte di questo studio), prenderò in esame alcune manifestazioni particolarmente significative della dialettica in questione, fino ad arrivare al dibattito critico moderno e alla definizione di intertestualità da cui sono partita. Il termine stesso intertestualità è infatti relativamente recente, e implica già di per sé un diverso modo di interpretare e definire alcuni aspetti da sempre individuati e riconosciuti.

Alle origini: il concetto di imitazione

Già il poeta greco Bacchilide (516-451 a.C. ca.) esprime chiaramente la coscienza del carattere necessario e sostanziale dell’intertestualità: «L’uno dall’altro apprende: così per il passato e così ancora. Non è certo cosa facile di parole mai dette trovare le porte». Lo stato ideale di verginità assoluta, di possibilità illimitata della parola, ancora non inficiata da precedenti realizzazioni, si perde in un passato mitico e astratto: «il plagio – ha detto una volta lo scrittore e drammaturgo francese Jean Giraudoux (1882-1944) – è la base di tutte le letterature, eccetto della prima, che del resto ci è sconosciuta». La letteratura latina nasce imitando – o addirittura traducendo – la letteratura greca; le letterature romanze nascono dalla ripresa e dal travisamento del patrimonio classico; la letteratura volgare italiana dall’importazione dei modelli francesi e occitanici, e così via. Il concetto fondamentale che in questa prima fase riassume la coscienza e la definizione del fenomeno è quello di imitazione. Nel mondo classico l’imitazione/ emulazione è una prassi dichiarata e riconosciuta: l’autore suscita a bella posta il ricordo delle opere precedenti, sia per stabilire una muta complicità con il lettore sulla scorta di un patrimonio comune caro a entrambi, sia per emulare, gareggiare in bravura, con il modello richiamato. A sua volta l’intero patrimonio classico viene assunto, ripreso e rinnovato dai ‘padri fondatori’ della cultura medievale (Girolamo, Ambrogio, Agostino), che si sentono e si rappresentano come nani sulle spalle dei giganti – secondo l’immagine attribuita a Bernardo di Chartres (sec. XII): la loro forza consiste proprio nella possibilità di ricominciare dal punto in cui gli altri si sono fermati. Il rispetto della tradizione si lega alla coscienza della trasformazione, il riconoscimento della propria inferiorità di «nani» all’orgoglio della naturale superiorità, dovuta al fatto di essere nonostante tutto più alti dei «giganti», sia pure salendo sulle loro spalle. La letteratura medievale nasce all’incrocio di una duplice dipendenza: da una parte i modelli classici, espressione di una forma letteraria perfettamente compiuta, dall’altra l’egemonia ideologica del cristianesimo, che impone di rivedere quella stessa tradizione secondo una prospettiva del tutto inedita, e che solo lentamente concede spazio a forme di scrittura che non siano ripresa e meditazione della Scrittura per eccellenza. Gli scrivani nei monasteri in un primo momento si limitano a copiare i documenti del passato, poi cominciano a manipolare i testi, a smontarli e rimontarli creando accostamenti e continuità, per arrivare infine al commento e alla scrittura d’autore. La letteratura come creazione originale e autonoma nasce dalla citazione, dalla glossa, dal commento. A lungo gli stessi concetti di autore e di testo rimangono indefiniti: le opere si tramandano per via orale e subiscono tutta una serie di manipolazioni, aggiunte, correzioni, di cui noi conosciamo solo la versione finale. La figura dell’autore si afferma dopo un lungo anonimato, nel momento del passaggio dall’oralità alla scrittura. E i primi autori a noi noti spesso non sono che gli ultimi ad aver messo mano al testo. Le pratiche intertestuali non sono neanche riconosciute come tali, tanto risulta ovvio e naturale manipolare i testi, riscriverli, rielaborarli.
Tra il Quattrocento e il Cinquecento, al contrario, queste stesse pratiche vengono precisamente riconosciute e rigidamente codificate nel canone dell’imitazione. Gli autori e le opere del passato divengono dei modelli da imitare quanto più fedelmente possibile, la creazione letteraria viene imbrigliata nel sistema dei generi, e ogni genere ha le sue leggi precise (riguardanti il contenuto, lo stile, la scelta della materia, l’organizzazione testuale). Al massimo si discute se rifarsi a un unico autore come modello supremo, o se ricavare da più autori il modello ideale. Esemplare è la canonizzazione del Petrarca: soprattutto grazie all’opera di Pietro Bembo (1470-1547), il Canzoniere diviene nel Cinquecento il modello per eccellenza per la lirica volgare, non solo dal punto di vista formale (linguistico, stilistico e metrico), ma anche tematico e ideologico (come repertorio di temi e di situazioni, come ideale romanzo di formazione e ascesa spirituale, come esperienza amorosa altamente sublimata). L’adesione al modello petrarchesco è evidentissima, ad esempio, in questo sonetto di Bembo, Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura:
Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura,
ch’a l’aura su ’l neve ondeggi e vole,
occhi soavi e più chiari che ’l sole,
da far giorno seren la notte oscura,
riso, ch’acqueta ogni aspra pena e dura,
rubini e perle, ond’escono parole
sì dolci, ch’altro ben l’alma non vòle,
man d’avorio, che i cor distringe e fura,
cantar, che sembra d’armonia divina,
senno maturo a la più verde etade,
leggiadria non veduta unqua fra noi,
giun...

Indice dei contenuti

  1. 1. Che cos’è l’intertestualità
  2. 2. Modi dell’intertestualità
  3. 3. Bibliografia
  4. L’autore