Potere
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Potere

  1. 224 pagine
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Attraverso ventiquattro classici imprescindibili, le nozioni, le immagini, gli argomenti relativi al potere, il più decisivo e ambivalente dei fenomeni politici.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858124413
Argomento
Droit

IV.
Paolo di Tarso
1/4 d.C.?-62/65

Lettera ai Romani

[Le Lettere, a cura di C. Carena, con uno scritto di M. Luzi, Einaudi, Torino 1999, pp. 41, 43]
Nella Lettera ai Romani di san Paolo si trova la fonte e il nucleo originario della teologia politica cristiana. Sia nel senso di una concezione dell’autorità e dell’obbedienza che segnerà tutto il mondo cristiano e poi la sua secolarizzazione, sia come elaborazione di un nesso sostanziale tra autorità e trascendenza, all’interno di un piano divino dell’ordine. L’idea che non si dia autorità che non provenga da Dio, e che quindi essa sia sempre in qualche modo giustificata o comunque necessaria, che goda di una sorta di presunzione di validità e di plusvalore, pone in un rapporto di connessione e potenzialmente di dipendenza autorità e Dio, pur mantenendo ben ferma la distinzione tra potere mondano e verità divina. Nell’intuizione politica di san P. non si dà né ribellismo o fuga messianica dal mondo, né teocrazia, né illusioni palingenetiche sul potere né la sua identificazione totale con la trascendenza. L’autorità è prevista dall’ordine divino e serve al suo disegno, ma non ne monopolizza né esaurisce il senso. Ciò fa sì che vi sia sempre uno spazio di autonomia, di distinzione, e quindi di manovra per il cristiano, che appartiene di fatto a due regni. L’autorità è garantita da Dio, ma lo è anche la libertà interiore del credente. Allo stesso tempo, è ben chiaro a san P. quanto sarebbe velleitario e anticristiano perdersi in una vana lotta contro i poteri mondani. Se non perseguita chi ha fede in Dio, se rispetta l’ordine dello Spirito, l’autorità non può né deve essere un problema. Al contrario, l’obbedienza agli obblighi mondani (come le tasse) che essa legittimamente stabilisce è una virtù e un dovere. E tale obbedienza deve essere interna, in coscienza, non solo per paura della punizione. Il potere politico non si identifica direttamente con la verità teologica cristiana – non è neppure tenuto a farlo –, e tuttavia la sua stessa esistenza lo pone in rapporto con il Dio cristiano, che ne consente la vigenza e lo legittima sul piano delle necessità mondane (cioè come suo «ministro» ai fini e nell’ambito dell’ordine gerarchico del creato). Trascesa dall’universalismo del cristianesimo, concettualmente ogni autorità politica si trova aperta verso l’alto, ovvero verso l’idea paolina di trascendenza, senza divenire essa stessa religio, culto. Ciò è allo stesso tempo limite al potere, ma anche sua potenziale sacralizzazione. Tale ambivalenza costitutiva della concezione cristiano-paolina della politica, che ne spiega per tanti aspetti la forza, la capacità di durare, è all’origine di una tradizione storica e dottrinale fatta di adattamenti, di conflitti (con l’Impero e in generale i poteri mondani), ma anche di enorme influenza della Chiesa sulla politica, in virtù di una pretesa costante alla custodia spirituale del potere. La sintesi paolina ha aperto il cristianesimo al rapporto con l’eredità greco-romana, ha informato di sé l’ordine concreto medievale, ma ha condizionato fortemente anche il pensiero politico moderno.
* * *
Ogni persona si sottometta ai poteri dei superiori. Non vi è potere se non da Dio, e quanti esistono sono disposti da Dio. Così chi si oppone al potere contesta l’ordine divino, e chi lo contesta riceverà una condanna. I governanti infatti non sono temibili per chi opera il bene, ma il male. Desìderi non provar timore del potere? Fa’ il bene e ne riceverai elogi: infatti il potere è al servizio di Dio per il tuo bene. Se invece fai il male, abbi timore, poiché non porta la spada invano: è al servizio di Dio per rendere giustizia alla sua ira verso chi fa il male. Di qui l’obbligo di sottomettersi, non solo per l’ira divina ma anche per coscienza. Quindi pagate anche i tributi, perché costoro sono ministri di Dio, addetti a quell’ufficio. Rendete a tutti il dovuto: il tributo a chi si deve il tributo, l’imposta a chi si deve l’imposta, il timore a chi si deve timore, l’onore a chi si deve onore.
Non abbiate nessun debito con nessuno, tranne quello dell’amore reciproco, perché chi ama gli altri ha adempito pienamente la Legge. Infatti il comandamento Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualunque altro mai, si riassumono in questa espressione: Amerai il prossimo tuo come te stesso. E l’amore non opera il male del prossimo. Quindi pienezza della Legge è l’amore.
E ciò fate consapevoli del tempo, poiché è tempo ormai di svegliarsi dal sonno. Adesso la nostra salvezza è più vicina di quando abbiamo cominciato a credere; la notte è progredita, il giorno si è avvicinato. Rigettiamo dunque le opere della tenebra e indossiamo le armi della luce. Procediamo come nel giorno, decorosamente, senza festini ed ebbrezze, senza amplessi e lascivie, senza liti e gelosie; indossate invece il signore Gesù Cristo e non provvedete alla carne e ai suoi desideri.

Lettere ai Tessalonicesi

[Le Lettere, cit., pp. 219, 221, 229, 231]
La riflessione di P. è qui volta a dare ordine all’attesa apocalittica ed escatologica, rafforzando sì la fiducia nella salvezza della comunità dei fedeli, ma anche sottolineando attentamente i doveri e la necessità di un impegno concreto dei cristiani nel mondo. L’avvento del Regno di Dio è un’irruzione, in quanto tale imprevedibile, la speranza in esso non deve agitare la comunità cristiana o distogliere da una vita sociale ordinata. Il Male (il mistero dell’anomia) è già attivo nel mondo, anche se viene «trattenuto» (secondo una linea di lettura «politica» di questo testo, il katéchon è il potere mondano, ovvero nello specifico l’Impero romano; ma in generale la politica, nella misura in cui attraverso l’autorità conserva per quanto possibile l’ordine, rallenterebbe il compimento dei tempi e l’avvento dell’Anticristo). Il confronto definitivo tra il Signore e il Male e la sua eliminazione implica che esso si manifesti nel mondo pienamente, presentandosi addirittura come fosse un dio. Quindi il potere politico non può non giocare un ruolo ambivalente: è necessario per ostacolare la presenza del regno delle tenebre nel mondo, e per questo paga un prezzo «sporcandosi le mani», ma contemporaneamente è certo che il tempo della politica non potrà mai essere quello della salvezza. Il potere non realizza la giustizia, ma ha il compito di frenare, per quanto possibile, il caos.
* * *
Prima ai Tessalonicesi
[...] Quanto ai tempi e ai momenti, non avete bisogno, fratelli, che qualcuno ve ne scriva. Sapete voi stessi esattamente che il giorno del Signore viene come un ladro nella notte. Al loro dire: Pace e sicurezza, li incalzerà subitanea la distruzione come le doglie la puerpera, senza che possano sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nella tenebra perché il giorno vi sorprenda come un ladro: tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno. Non apparteniamo alla notte e alla tenebra: dunque non dormiamo come gli altri, ma rimaniamo svegli e sobri! Chi dorme, dorme di notte, e chi si ubriaca, si ubriaca di notte. Noi, appartenenti al giorno, siamo sobri, indossando la corona della fede e della carità e il casco della speranza della salvezza! Dio non ci ha posti qui per la sua ira ma per il possesso della salvezza mediante il nostro signore Gesù Cristo, morto per noi affinché, svegli o dormienti, viviamo con Lui. Perciò confortatevi a vicenda ed edificatevi l’un l’altro come già fate.
Vi chiediamo, fratelli, di essere consapevoli di chi si affatica in mezzo a voi, vi dirige nel Signore e vi ammonisce; stimateli infinitamente, con amore, per la loro opera. Siate in pace fra voi. Vi esortiamo, fratelli, ammonite gli indisciplinati, animate i pavidi, stringetevi ai deboli, siate generosi con tutti. Osservate che nessuno renda male per male, e invece cercate sempre il bene gli uni degli altri, e di tutti. Gioite sempre, pregate incessantemente, ringraziate per tutto, poiché questa è per voi la volontà di Dio in Cristo Gesù. Non estinguete lo Spirito, non disprezzate le profezie, valutate tutto e attenetevi al bene; astenetevi da ogni specie di male. [...]
Seconda ai Tessalonicesi
[...] Per quanto riguarda la venuta del nostro signore Gesù Cristo e la nostra adunanza presso di Lui, vi chiediamo, fratelli, di non agitarvi così rapidamente fuor di senno e di non lasciarvi allarmare né da spiriti né da parole né da lettere attribuite a noi, come se il giorno del Signore fosse già qui. Nessuno v’inganni in alcun modo; prima dovranno avvenire la defezione e la rivelazione dell’uomo del peccato, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e si esalta contro ogni – come lo chiamano – dio o oggetto di venerazione, così da insediarsi nel tempio divino, presentandosi come dio.
Non ricordate che quando ero ancora tra voi vi dicevo questo? e ora sapete che cosa trattiene la sua rivelazione, affinché non avvenga che a suo tempo. Il mistero dell’iniquità è già attivo: occorre che chi lo trattiene si tolga di mezzo per un attimo. Allora l’iniquo si rivelerà e il signore Gesù lo eliminerà col soffio della sua bocca, lo dissolverà con la manifestazione della propria venuta. L’iniquo verrà per la capacità attiva del Satana con pieno potere, con segni e prodigi menzogneri, con tutti gli inganni dell’ingiustizia su coloro che si perdono per aver respinto l’amore della verità, che li avrebbe salvati. Perciò Dio manda a loro un traviamento capace di farli credere alla menzogna, perché siano giudicati tutti coloro che invece di credere alla verità si sono compiaciuti dell’ingiustizia.
Ma noi dobbiamo ringraziare sempre Dio per voi, fratelli amati dal Signore, poiché Dio vi scelse come primizia per la salvezza attraverso la santificazione dello Spirito e la fede nella verità. A tanto vi ha chiamati mediante il nostro annuncio, per farvi possedere la gloria del nostro signore Gesù Cristo. Resistete dunque, fratelli, e tenetevi stretti agli insegnamenti che vi sono stati trasmessi da noi con la parola o per lettera. Lo stesso signore nostro Gesù Cristo e Dio nostro padre, che ci amò e ci diede per sua grazia un eterno conforto e buona speranza, conforti i vostri cuori e li consolidi in ogni opera e parola buona. [...]

V.
Agostino d’Ippona
354-430

La città di Dio

[La città di Dio, a cura di L. Alici, Bompiani, Milano 2001, pp. 691-92, 125, 698-99, 220-21]
Agostino pensa la coimplicazione di bene e male, trascendenza e politica nella condizione mondana dell’umanità, esposta al peccato e al potere, ma in movimento verso la città di Dio.
L’ordine divino del mondo è partito in due città, quella celeste e quella terrena. È l’amor, ovvero la passione desiderante, la fonte di entrambe, anche se di segno opposto: la prima è universale in quanto nasce dall’amore di Dio, un amore radicale, estremo, perché spinto fino alla negazione di sé, del proprio egoismo. La seconda invece nasce dall’amore di sé: un attaccamento alla propria isolata particolarità talmente ostinato da condurre al disprezzo di Dio. La città terrena crede di bastare a se stessa, ed è dominata dalla passione del potere. Nei potenti che la comandano si specchia, amandovi la propria forza e trovandone conferma. La città celeste, al contrario, è animata dalla caritas, che implica reciprocità, servizio vicendevole: chi è a capo provvede, chi è subordinato adempie, non vi è traccia di arbitrio, cupidigia e servilismo. Ma queste due città sono intrecciate l’una all’altra in questo mondo, e tali rimarranno fino al giorno del Giudizio. Ciò spiega la confusione di bene e male, l’ambiguità e l’ambivalenza che segnano il pellegrinaggio terreno dell’umanità. Il carattere spurio di ogni ordine politico, così come le tentazioni implicite in ogni potere, sono determinati dalla problematicità della condizione umana nella quale, in virtù della «caduta» originaria, convivono inestricabilmente amore di Dio e amore di sé, pietas e peccato. Tale contraddizione potrà essere sanata solo in Dio, attraverso il compimento dei tempi e la separazione definitiva delle due città. Non a caso, all’origine della città terrena vi è un fratricidio (quello di Caino), che sarà poi ripreso nella fondazione di Roma, la quale si porrà alla testa di quella città terrena, regnando su tanti popoli. La polis mondana è quindi segnata costitutivamente dall’ostilità e, ciò che è più grave, dall’ostilità interna, tra fratelli. Abele era un cittadino di un altro mondo, ovvero della città di Dio, straniero su questa terra come tutti i giusti. E il movente di Caino non era neppure la lotta per il potere o per beni terreni (che Abele ignorava), ma invidia della bontà, perché questa, basata sulla condivisione e sulla caritas che accresce l’animo, rappresenta una smentita inaccettabile della logica di potenza, una sorta di specchio rovesciato dell’ostilità. Il conflitto è sia interno alla città terrena (tra cattivi), sia tra le due (tra buoni e cattivi). Ma anche i buoni, se ancora non perfetti, possono trovarsi a combattere tra di loro, ed è come se combattessero contro se stessi, spirito contro carne. Per A. il potere non è mai un bene in se stesso, ma solo se è giusto. La vera libertà è la bontà, anche se si è assoggettati, mentre chi è cattivo, anche se comanda circondato da onori, è schiavo.
Gli ordini politici, se separati dalla giustizia, non sono più legittimi, ma bande di briganti. Il potere politico di per sé, come mera organizzazione centralizzata della violenza finalizzata a spartirsi beni, senza preoccuparsi né dei fini né dei mezzi, risulta identico per logica, al di là del diverso ordine di grandezza, a quello di un gruppo criminale. L’unico criterio per sottrarsi al diritto del più forte, che permette di distinguere un imperatore da un pirata solo per la sua maggiore potenza, è l’autenticità interiore del bene, l’ordo amoris che può abitare in ogni uomo.
* * *
Due amori quindi hanno costruito due città: l’amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio ha costruito la città terrena, l’amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé la città celeste. In ultima analisi, quella trova la gloria in se stessa, questa nel Signore. Quella cerca la gloria tra gli uomini, per questa la gloria più grande è Dio, testimone della coscienza. Quella solleva il capo nella sua gloria, questa dice al suo Dio: Tu sei mia gloria e sollevi il mio capo. L’una, nei suoi capi e nei popoli che sottomette, è posseduta dalla passione del potere; nell’altra prestano servizio vicendevole nella carità chi è posto a capo provvedendo, e chi è sottoposto adempiendo. La prima, nei suoi uomini di potere, ama la propria forza; la seconda dice al suo Dio: Ti amo, Signore, mia forza.
Nella prima città, perciò, i sapie...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima. Potere e giustizia
  3. I. Platone 428/7-348/7 a.C.
  4. II. Aristotele 384-322 a.C.
  5. III. Marco Tullio Cicerone 106-43 a.C.
  6. IV. Paolo di Tarso 1/4 d.C.?-62/65
  7. V. Agostino d’Ippona 354-430
  8. Parte seconda. La genesi del potere moderno
  9. VI. Thomas Hobbes 1588-1679
  10. VII. John Locke 1632-1704
  11. VIII. Niccolò Machiavelli 1469-1527
  12. IX. Baruch Spinoza 1632-1677
  13. Parte terza. Potere e ragione
  14. X. Immanuel Kant 1724-1804
  15. XI. Jean-Jacques Rousseau 1712-1778
  16. XII. Georg Wilhelm Friedrich Hegel 1770-1831
  17. Parte quarta. Il potere come costante della politica
  18. XIII. Gaetano Mosca 1858-1941
  19. XIV. Max Weber 1864-1920
  20. Parte quinta. Potere e violenza
  21. XV. Friedrich Nietzsche 1844-1900
  22. XVI. Sigmund Freud 1856-1939
  23. XVII. Walter Benjamin 1892-1940
  24. XVIII. Elias Canetti 1905-1994
  25. Parte sesta. Il potere «polemico»
  26. XIX. Lenin 1870-1924
  27. XX. Carl Schmitt 1888-1985
  28. Parte settima. Potere e giuridificazione
  29. XXI. Hans Kelsen 1881-1973
  30. XXII. Jürgen Habermas 1929-
  31. Parte ottava. Oltre il potere moderno
  32. XXIII. Hannah Arendt 1906-1975
  33. XXIV. Michel Foucault 1926-1984
  34. Bibliografia