Breve storia del pensiero economico
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Breve storia del pensiero economico

  1. 344 pagine
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Breve storia del pensiero economico

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Una ricostruzione completa e chiara del pensiero economico, dall'antichità classica ai giorni nostri. L'autore presenta con rigore e senza inutili tecnicismi tanto le opere dei grandi classici come Smith, Ricardo, Marx, Keynes, Schumpeter, Sraffa, quanto i contributi delle varie scuole, come i fisiocrati, i ricardiani, la scuola austriaca. Particolare attenzione è dedicata agli sviluppi più recenti, dal secondo dopoguerra all'inizio del terzo millennio.Un libro indispensabile per tutti coloro che vogliono comprendere le radici dei dibattiti economici dei nostri giorni. Dietro le divergenze sulle scelte di politica economica, infatti, vi sono contrasti tra concezioni diverse dell'economia; gli stessi concetti-base, come valore, mercato, prezzo, equilibrio, assumono significati diversi nel contesto della concezione classica, marginalista, keynesiana.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858126875
Argomento
Business

Capitolo 1.
Introduzione: a cosa serve la storia dell’economia politica?

Comprendere gli altri – ecco il compito
che lo storico deve prefiggersi.
Non è facile averne uno più difficile.
È difficile averne uno più bello
Kula 1958, p. 234

1. Perché la storia del pensiero economico è considerata inutile:
la concezione cumulativa

La storia del pensiero economico (SPE) è essenziale per chiunque sia interessato a capire come funziona l’economia. Perciò gli economisti, proprio in quanto creatori e utilizzatori di teorie economiche, debbono studiare e praticare la SPE. Questa tesi si contrappone a quella oggi prevalente, secondo la quale la SPE non è necessaria per il progresso della ricerca, che richiede di lavorare per far progredire la frontiera della teoria.
La tesi anti-SPE si fonda su una concezione cumulativa dello sviluppo del pensiero economico, secondo la quale l’analisi economica è caratterizzata da una progressiva ascesa verso livelli sempre più alti di comprensione della realtà economica. Il punto di arrivo provvisorio del ricercatore di oggi – la teoria economica contemporanea – incorpora tutti i contributi precedenti1.
La concezione cumulativa è connessa al positivismo, o più precisamente a una sua versione semplificata, la cosiddetta received view, che ha trovato ampio seguito a partire dagli anni 1920: gli scienziati lavorano applicando i metodi dell’analisi logica al materiale grezzo fornito dall’esperienza empirica. Per i risultati di tale lavoro è possibile stabilire criteri oggettivi di accettazione o rifiuto. Infatti gli enunciati analitici, cioè quelli relativi al ragionamento teorico astratto, sono o tautologici, cioè implicazioni logiche degli assunti di partenza, e allora vengono accettati, o auto-contraddittori, cioè contengono incoerenze logiche, nel qual caso vengono respinti. Analogamente, gli enunciati sintetici relativi al mondo empirico sono o confermati o contraddetti dall’evidenza empirica, quindi sono accettati o respinti per motivi obiettivi. Tutti gli altri enunciati, per i quali non è possibile individuare analoghi criteri di accettazione o rifiuto, sono chiamati metafisici e sono considerati esterni al campo della scienza.
Questa concezione è stata sottoposta a severe critiche, illustrate nel prossimo paragrafo. Tuttavia, essa resta la base per la concezione cumulativa della scienza economica, cioè dell’idea che ogni successiva generazione di economisti contribuisce con nuove proposizioni, analitiche e sintetiche, al fondo comune della scienza economica, che – in quanto scienza – è definita univocamente come l’insieme delle proposizioni accettate come vere relative alle questioni economiche. Nuova conoscenza viene così ad aggiungersi a quella già disponibile, e in molti casi – ogni qualvolta si identifichi qualche difetto nelle proposizioni precedentemente accettate – si sostituisce ad essa. Lo studio dell’economia deve quindi avvenire alla frontiera della teoria, lavorando sulla versione più aggiornata e non sulle teorie del passato. Queste ultime possono comunque meritare una qualche attenzione: lo studio degli economisti del passato, dice Schumpeter (1954, p. 5), fornisce «vantaggi pedagogici, nuove idee, e cognizioni sui procedimenti della mente umana».
Fra i sostenitori di una concezione cumulativa, Viner (1991, pp. 385 e 390) propone un’acuta difesa della storia del pensiero economico, richiamando l’importanza della scholarship (affine al nostro concetto di erudizione) definita come «il perseguimento di una conoscenza ampia e precisa della storia dell’operare della mente umana quale si rivela negli scritti». La scholarship, pur se considerata inferiore all’attività di elaborazione teorica, contribuisce all’educazione dei ricercatori, in quanto «impegno al perseguimento della conoscenza e della comprensione»: «una volta suscitato il gusto per essa, ne deriviamo un senso di apertura anche per gli interrogativi di ricerca più specifici, e un senso di pienezza anche per i piccoli risultati [...] qualcosa che è impossibile ottenere in qualsiasi altro modo». L’educazione alla ricerca appare così un prerequisito per sfruttare al meglio la conoscenza degli strumenti analitici2. Così, pur se la SPE non è considerata di grande utilità per l’apprendimento della teoria economica moderna, ad essa viene attribuito un ruolo importante nell’educazione del ricercatore.

2. La concezione competitiva

Negli ultimi decenni numerosi economisti hanno richiamato le ‘rivoluzioni scientifiche’ di cui parla Kuhn (1962) o i ‘programmi di ricerca scientifica’ di Lakatos (1978) per sostenere l’impossibilità di una scelta tra impostazioni teoriche diverse basata sui criteri obiettivi indicati dal positivismo logico (coerenza logica, corrispondenza delle assunzioni alla realtà empirica).
In primo luogo, alcune critiche riguardano la separazione netta tra enunciati analitici e sintetici. Gli enunciati analitici, se intesi come proposizioni puramente logiche, sono privi di riferimento al mondo concreto; di conseguenza sono vuoti di contenuto dal punto di vista dell’interpretazione di fenomeni reali. Gli enunciati sintetici, dal canto loro, incorporano necessariamente un’ampia massa di elementi teorici nella stessa definizione delle categorie utilizzate per la raccolta dei dati empirici e nei metodi con cui questi dati vengono trattati; di conseguenza, le scelte di accettazione o rifiuto dell’enunciato non possono essere nette, ma sono condizionate dall’accettazione di una lunga serie di ipotesi teoriche, che tuttavia non possono essere valutate separatamente. Pertanto, non vi sono criteri obiettivi univoci per valutare gli enunciati analitici o sintetici.
Un’altra importante critica al criterio di verifica proposto per gli enunciati sintetici – corrispondenza o meno con il mondo empirico – viene da Popper (1934). Per quante conferme vengano addotte a favore di un enunciato empirico, dice Popper, nulla può escludere che in un momento successivo ci si imbatta in un caso contrario. Così ad esempio l’affermazione ‘tutti i cigni sono bianchi’ viene contraddetta dalla inattesa scoperta di una specie di cigni neri in Australia. Lo scienziato non può pretendere di verificare una teoria, cioè di dimostrarla vera una volta per sempre. Può solo accettare provvisoriamente una teoria, restando sempre aperto alla possibilità che essa venga falsificata, cioè dimostrata falsa da un evento empirico che la contraddice. In un lavoro successivo, Popper (1969) sostiene che il metodo della ricerca scientifica consiste proprio in una serie potenzialmente infinita di «congetture e confutazioni»: lo scienziato formula ipotesi e poi, anziché cercare conferme empiriche che non sarebbero comunque mai risolutive, deve piuttosto cercare confutazioni. Sono queste che, stimolando la ricerca di ipotesi migliori, contribuiscono al progresso della scienza.
L’influenza di alcuni storici e filosofi della scienza, quali Kuhn, Lakatos, Feyerabend, contribuisce poi, negli ultimi decenni del ventesimo secolo, all’abbandono della metodologia positivista nel campo della ricerca economica.
Secondo Kuhn, lo sviluppo della scienza non è lineare, ma è suddivisibile in stadi, ciascuno dei quali ha caratteristiche distintive. In ciascun periodo di ‘scienza normale’, uno specifico punto di vista (paradigma) viene comunemente accolto come base per la ricerca scientifica. Su tale base viene costruito un sistema teorico sempre più complesso, in grado di spiegare un numero sempre maggiore di fenomeni. A questo processo di crescita della ‘scienza normale’ tuttavia si accompagna l’accumulazione di anomalie, cioè di fenomeni non spiegati o che per essere spiegati richiedono un carico sempre più pesante di assunzioni ad hoc. Il crescente malessere che ne deriva favorisce una ‘rivoluzione scientifica’, cioè la proposta di un nuovo paradigma. Ciò segna l’inizio di un nuovo stadio di scienza normale, all’interno del quale la ricerca procede senza mettere in discussione il paradigma sottostante.
Kuhn non considera la successione dei diversi paradigmi come una sequenza logica caratterizzata da un crescente ammontare di conoscenza. I diversi paradigmi sono considerati incommensurabili fra loro; ciascuno di essi costituisce una diversa chiave interpretativa della realtà, necessariamente basata su uno specifico insieme di ipotesi semplificatrici, molte delle quali fra l’altro rimangono implicite. Nessun paradigma può includere l’intero universo in tutti i suoi dettagli. A rigore, è scorretto sia dire che la terra gira intorno al sole, sia che il sole gira intorno alla terra: ciascuna delle due ipotesi corrisponde alla scelta di un punto fisso come riferimento per studiare l’universo, o meglio una parte dell’universo che è essa stessa in movimento rispetto a ogni altro possibile punto fisso. Poiché terra e sole si muovono entrambi nello spazio, quelle di Copernico e Galileo non sono che due impostazioni teoriche diverse che spiegano in modo più o meno semplice un numero maggiore o minore di fenomeni. Possiamo anche ricordare che una concezione eliocentrica era già stata proposta da Aristarco di Samo nel III secolo a.C., cioè quasi cinque secoli prima di Tolomeo: i paradigmi non si susseguono necessariamente in ordine lineare, ma possono riproporsi come dominanti dopo periodi anche lunghi di eclissi.
Kuhn propone la sua concezione delle rivoluzioni scientifiche più come una descrizione del cammino di fatto seguito dalle diverse scienze che come modello di comportamento per gli scienziati. Viceversa, un modello normativo è quello proposto da Lakatos (1978) con la sua metodologia dei programmi di ricerca scientifici, che consiste in un insieme di regole per la critica e la costruzione (euristica negativa e positiva), organizzate attorno a un nucleo duro (hard core) di ipotesi relative a uno specifico insieme di problemi e utilizzate come fondamenta per la costruzione di un sistema teorico. Il nucleo duro resta invariato anche quando insorgono anomalie, grazie a una ‘cintura protettiva’ di ipotesi ausiliarie; viene abbandonato solo quando il programma di ricerca scientifica che si basa su di esso viene chiaramente riconosciuto come ‘regressivo’, cioè verosimilmente una perdita di tempo e di fatica. L’accettazione o l’abbandono di un programma di ricerca scientifica è dunque considerato da Lakatos come un processo complicato, non come un atto di giudizio basato su un esperimento cruciale, o comunque su criteri obiettivi, ben definiti e univoci.
In questo senso, la concezione di Lakatos non è molto dissimile da quella, certo più radicale, di Feyerabend (1975) con la sua ‘teoria anarchica della conoscenza’. Feyerabend sottolinea la necessità della massima apertura verso le più diverse procedure di ricerca, ma allo stesso tempo è ben lungi dall’accettare senza qualificazioni il suo stesso motto, «Qualsiasi cosa può funzionare». La critica all’idea che esistano criteri assoluti di verità (o più modestamente di accettazione o rifiuto delle teorie) coesiste con l’idea della possibilità di discussioni razionali tra punti di vista diversi. Naturalmente nel confronto fra i diversi punti di vista occorre abbandonare la pretesa di utilizzare i criteri di giudizio basati sulla propria concezione del mondo, per cercare di comprendere il punto di vista rivale e possibilmente adottarlo per criticarlo dall’interno. Ne risulta una procedura del dibattito scientifico analoga a quella del dibattimento processuale, in cui accusa e difesa portano ciascuna le più diverse argomentazioni a sostegno della propria tesi.
La posizione di Feyerabend è stata riproposta in campo economico da McCloskey (1985), sia pure con alcune modifiche. McCloskey parla di una ‘metodologia retorica del confronto scientifico’, che rifiuta criteri netti e unidimensionali di valutazione delle teorie, e sottolinea invece il ruolo della loro forza di persuasione relativa3. Ciò non significa privare di qualsiasi valore il dibattito teorico, tutt’altro: il messaggio principale di questa metodologia è la necessità di tolleranza verso l’esistenza di concezioni teoriche diverse. Possiamo anche ricordare che il metodo retorico in economia così interpretato risale alla Storia dell’astronomia di Adam Smith (1795).
Nel caso di Kuhn, come in quelli di Lakatos e Feyerabend, gli economisti sono stati indotti a riconoscere l’esistenza di concezioni alternative, dedotte dal susseguirsi di diversi paradigmi o dalla coesistenza di diversi programmi di ricerca scientifica. Qui entra in gioco la SPE. Quanti accettano una concezione competitiva dello sviluppo del pensiero economico e partecipano al dibattito tra concezioni diverse sono indotti a indagare sulla storia di tali dibattiti, per individuare i punti di forza e di debolezza che spiegano il prevalere o il declinare delle diverse impostazioni.
In particolare, quanti sostengono impostazioni alternative a quella dominante possono trovare utile la SPE. In primo luogo, l’analisi degli scritti degli economisti del passato spesso aiuta a chiarire le caratteristiche fondamentali dell’impostazione proposta e le differenze tra essa e quella dominante. In secondo luogo, la SPE aiuta a valutare le teorie basate su impostazioni diverse, portando alla luce la concezione del mondo, i concetti e le ipotesi su cui si fondano. Spesso ciò aiuta a richiamare le note di cautela e le qualificazioni che originariamente accompagnano l’analisi, spesso poi dimenticate. In terzo luogo, richiamare le illustri radici culturali talvolta serve a uno scopo tattico, per controbilanciare l’inerzia che costituisce un forte vantaggio per l’impostazione dominante.
La concezione competitiva non implica né un’equivalenza tra le diverse concezioni teoriche né l’assenza di progresso scientifico. Implica se...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Capitolo 1. Introduzione: a cosa serve la storia dell’economia politica?
  3. Capitolo 2. La preistoria dell’economia politica
  4. Capitolo 3. William Petty e la nascita dell’economia politica
  5. Capitolo 4. Dal corpo politico alle tavole economiche
  6. Capitolo 5. Adam Smith
  7. Capitolo 6. Gli economisti all’epoca della rivoluzione francese
  8. Capitolo 7. David Ricardo
  9. Capitolo 8. I ‘ricardiani’ e il declino del ricardismo
  10. Capitolo 9. Karl Marx
  11. Capitolo 10. La rivoluzione marginalista: la teoria soggettiva del valore
  12. Capitolo 11. La scuola austriaca e i suoi dintorni
  13. Capitolo 12. L’equilibrio economico generale
  14. Capitolo 13. Alfred Marshall
  15. Capitolo 14. John Maynard Keynes
  16. Capitolo 15. Joseph Schumpeter
  17. Capitolo 16. Piero Sraffa
  18. Capitolo 17. L’età della disgregazione
  19. Sentieri di lettura
  20. Bibliografia