L'abolizione delle province in Italia
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L'abolizione delle province in Italia

Riflessioni sull'autorità e la sua crisi

  1. 104 pagine
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L'abolizione delle province in Italia

Riflessioni sull'autorità e la sua crisi

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Questo saggio vuole fornire un contributo alla comprensione delle ragioni che hanno innescato il processo di riforma delle province in Italia. In particolare, con lo specifico obiettivo di valutare l'impatto sulle popolazioni oltre che sui territori, si occupa di approfondire da un punto di vista sociologico le conseguenze del nuovo impianto normativo in termini di rappresentazione, organizzazione e gestione del potere a livello locale.In queste pagine, quindi, non ci si limita a evidenziare punti di forza e di debolezza della legge 56 del 2014, ma si analizzano criticamente i concetti di "città metropolitana" e di "area vasta" così come definiti e stigmatizzati dal legislatore. Riflettendo sulle ragioni dettate da presunte finalità di spending review, il saggio approfondisce la relazione tra obiettivi e strumenti introdotti per conseguire una policy e una governance capaci di avviare una trasformazione e/o una ridefinizione delle politiche di decentramento.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858119372
Argomento
Economia

Capitolo 1. Il nuovo assetto metropolitano

1. L’approvazione della riforma e gli obiettivi di spending review

Il cosiddetto «disegno di legge Delrio»8 il 7 aprile 2014 è diventato la legge 56/2014 dal titolo Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni. Siccome, in base alla Costituzione vigente, per abolire definitivamente le province sarebbe stata necessaria la modifica degli articoli 114 e seguenti, ossia eliminare dalla Carta tutti i riferimenti alle province, più che prevedere una vera e propria abolizione delle province, la nuova legge ne dispone una riformulazione. Essenzialmente, dopo aver subito profonde modifiche nel corso dei lavori parlamentari, la legge prevede:
– l’istituzione e la disciplina delle città metropolitane;
– la ridefinizione del sistema delle province;
– la nuova disciplina per le unioni e fusioni dei comuni9.
Gli effetti maggiormente «concreti» previsti dalla nuova architettura istituzionale, modulata sul principio della spending review10, riguardano la cancellazione tra circa 5000 e 8000 enti intermedi11. Tale cancellazione, funzionale all’obiettivo di evitare la duplicazione delle funzioni amministrative ai diversi livelli di governo locale, è per così dire compensata da una migliore specificazione delle attribuzioni degli enti di area vasta. Per enti di area vasta si intendono sia le città metropolitane, sia le «nuove province», sia gli altri enti destinatari di compiti e funzioni non assolvibili a livello né regionale né comunale.
Essenzialmente fondata sulle regioni e sui comuni, il principio che sostiene quest’architettura istituzionale risiede nella volontà di realizzare una rappresentanza non più politica, bensì territoriale. Inoltre, con l’intenzione di privilegiare un livello di democrazia più orizzontale e meno verticale, prevede siano i sindaci e i consigli comunali a decidere i compiti di cui devono occuparsi gli enti di area vasta, e in particolare le province, i cui poteri ed attribuzioni vengono effettivamente ridimensionati.
Fermo restando che sulla definizione di ente di area vasta non vi è esplicito accordo, per tuttavia consentire un’agevole e il più possibile immediata e veloce comprensione della portata dell’intervento legislativo, è opportuno fornire qualche elemento utile per definirla.
Molto schematicamente si può affermare che l’area vasta è un concetto riferibile sia ad un piccolo che ad un grande territorio. In sostanza, l’indeterminatezza circa la sua dimensione comporta che può interessare tanto un’area sovracomunale quanto un’area non coincidente con il confine amministrativo di un territorio. Pertanto, sebbene il disegno di legge costituzionale «Soppressione di enti intermedi», approvato dal Consiglio dei ministri l’8 settembre 2011, ne individuasse le dimensioni minime in 300.000 abitanti o in 3000 km quadrati, il concetto di area vasta risulta essere un «concetto emergente», utilizzato soprattutto per consentire la riorganizzazione del territorio e per favorire nuovi o migliori rapporti tra gli enti locali. Dalla lettura di alcuni documenti di pianificazione territoriale e da alcuni atti di programmazione emerge inoltre che l’aspetto relazionale rappresenta una componente importante per gli enti di area vasta, tanto per consentire il superamento della dimensione strettamente locale, quanto in vista dell’adozione di strumenti di pianificazione e di programmazione strategica che, pur non investendo il livello regionale, vanno comunque oltre l’ambito amministrativo di una singola provincia.
La mancanza di un esplicito accordo sulla definizione di area vasta pone senza dubbio alcuni problemi, o forse per meglio dire solleva dei problemi circa il conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa. Per entrare nel merito delle questioni, in forza dei ragionamenti e delle ragioni relative al contenimento dei costi ed alla realizzazione di obiettivi di risparmio della spesa pubblica – che, occorre precisarlo subito, vengono in questo saggio giudicate piuttosto retoriche – l’indeterminatezza nell’individuazione/definizione dell’area vasta comporta l’impossibilità di calcolare i risparmi rispetto alla gestione delle strutture provinciali. Tali risparmi, ipotizzati già non troppo significativi a seguito della soppressione delle province12, potrebbero risultare ancor più risibili, sia in ragione del fatto che sono i comuni a decidere quali compiti e funzioni assegnare all’area vasta, sia in quanto una maggiore capacità di governo dell’area vasta potrebbe generare maggiori costi territoriali a seguito del fatto che alcune materie, come le infrastrutture a rete, l’ambiente e la tutela del paesaggio non possono essere concepite e gestite senza una visione organica, cioè necessitano di attività di coordinamento che non è possibile considerare come risultante dalla semplice sommatoria dei piani comunali13.
A rigore di logica, il dubbio sull’adeguatezza di questa legge a risparmiare riguarda anche la «convenienza» rappresentata da una riforma il cui assetto istituzionale, comunque «ancora da determinare» e «in transizione» (il primo atto di riforma del Titolo V della Costituzione relativo alla composizione del Senato è stato votato a Palazzo Madama il 9 agosto 2014, cosicché questa riforma, se il Parlamento dovesse speditamente procedere a revisionare la Costituzione, non avrebbe neanche il tempo di esplicare effetti concreti), solleva perplessità proprio sul fronte del risparmio e della spending review. Infatti: per un verso i risparmi teoricamente ottenibili risultano essere poco significativi come conseguenza del fatto che l’abolizione delle province prevede l’eliminazione dei costi relativi agli apparati politici ma non quelli relativi alle tecnostrutture (queste devono necessariamente trovare collocazione, in termini di risorse umane e di competenze tecniche/funzioni, presso altri enti locali); per altro verso, la mancanza di strumenti e di modalità per un coordinamento territoriale orientato alla valorizzazione del contesto di riferimento potrebbe generare nuovi costi prodotti anche dalla frammentazione delle competenze e delle responsabilità.

2. Gli effetti sulle attuali amministrazioni provinciali e le funzioni delle città metropolitane

In considerazione del fatto che per lo svolgimento dei compiti di promozione e di rafforzamento dello sviluppo economico gli enti di area vasta sono immaginati «a carattere metropolitano», alcune perplessità riguardano la loro capacità di riuscire a svolgere funzioni di programmazione e di pianificazione, specie in attesa della definitiva riforma costituzionale, gli esiti della quale fanno supporre, al momento, una certa aleatorietà.
In ogni caso, a prescindere dalle difficoltà che potrà incontrare il cammino di revisione costituzionale, uno dei punti controversi della riforma consiste proprio nel carattere metropolitano dell’area vasta ed investe due ordine di problemi:
1) l’area vasta si colloca in una posizione intermedia tra la provincia e il comune;
2) in una provincia possono coesistere più sistemi territoriali di area vasta.
La particolare attenzione per un’accezione di «area vasta a carattere metropolitano» che accolga, concettualmente e dal punto di vista della operatività, l’esperienza amministrativa della programmazione e pianificazione territoriale assume dunque valenza sostanziale. Tale valenza acquista rilievo strategico-politico alla luce del fatto che, secondo questa riforma, a partire dal 1° gennaio 2015 verranno istituite 9 città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria) cui si aggiunge la città metropolitana di Roma Capitale. Basta tuttavia sfogliare uno dei principali manuali di diritto amministrativo14 per capire quale peso assume in questa riforma un lessico riferibile più a categorie politiche se non addirittura di estrazione giornalistica ed a forte impatto mediatico. Infatti, tramite un facile riscontro, è semplice accertare che espressioni come «area vasta a carattere metropolitano» oppure il continuo riferimento alla qualifica di «ente di secondo livello» per le città metropolitane e le province15 non contribuisce a chiarire la natura e lo spazio d’intervento di queste, perché trascende, o per meglio dire travalica al fine di utilizzarla strumentalmente a fini propagandistici, l’accezione cui la disciplina amministrativa fa riferimento allorquando definisce lo Stato ente di «primo livello» e stabilisce che gli enti di secondo livello sono «enti strumentali»16. La ridondanza nei riferimenti al «secondo livello», spesso seguita da una «e» di congiunzione per creare con una certa malizia un legame consequenziale tra il «secondo livello» e l’elezione non diretta dei rappresentanti politici di questi enti17, appare piuttosto strumentale all’associazione d’idee tra la riforma e gli effetti general/generici d’innovazione, amplificati dal conseguimento di un risparmio perfettamente coerente con gli obiettivi di revisione della spesa pubblica promossi dal governo. Cosicché, il continuo richiamo ad argomenti espressi attraverso un gergo politico-giornalistico ha il merito di confondere le idee ma al tempo stesso di ingigantire la portata propagandistica della riforma. Per meglio dire, mettere in chiaroscuro l’oggetto ed il contenuto specifico della legge sembra funzionale a prendere tempo, sia in attesa degli sviluppi politico-parlamentari relativi alle soluzioni che verranno adottate per il Titolo V della Costituzione, sia al fine di consentire alle diverse rappresentanze parlamentari di esercitare il proprio potere di negoziazione18.
Tornando all’illustrazione dei contenuti della legge 56/2014, siccome il territorio delle città metropolitane coincide con quello della omonima provincia, che automaticamente viene soppressa, uno degli effetti della riforma è che a partire da gennaio 2015 il numero complessivo delle province scenderà da 107 a 97. La diminuzione di sole 10 unità comporta tuttavia per le 97 restanti province una perdita non irrilevante di poteri.
In maniera troppo sibillina la legge stabilisce che le «nuove» province sono destinatarie delle funzioni non attribuibili ai comuni. Anche in questo caso, il riferimento alla loro classificazione come enti di area vasta di secondo livello serve a distrarre l’attenzione dall’indeterminatezza rispetto al loro futuro ruolo. Tale indeterminatezza e genericità sono amplificate dal fatto che, secondo la legge, le funzioni non attribuibili ai comuni andranno individuate non già seguendo un criterio dimensionale ma in rapporto alle caratteristiche intrinseche di ogni singola funzione, ovvero in ragione del loro specifico contenuto. Cosicché, in estrema sintesi, alle 97 province restano le funzioni di:
– coordinamento della pianificazione territoriale provinciale e tutela e valorizzazione dell’ambiente;
– pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale;
– costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali con regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;
– raccolta ed elaborazione dati e assistenza tecnico-amministrativa;
– gestione dell’edilizia scolastica;
– controllo e gestione dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità.
Inoltre, in coerenza con la programmazione regionale, si potranno occupare:
– dell’autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato;
– della programmazione della rete scolastica provinciale.
Circa la loro composizione, la legge prevede che le province si trasformino in assemblee di sindaci, la cui attività è prevista a titolo gratuito. Alla vaghezza nell’assegnazione dei compiti e delle funzioni non fa da contraltare la parte relativa alla composizione degli organi delle «nuove» province. Nel richiamare di continuo il fatto che si tratta di incarichi senza indennità di mandato, la legge prevede come organi delle province:
1) il Presidente, in carica per 4 anni, eletto dai consiglieri dei comuni della provincia tra i sindaci in carica;
2) il Consiglio provinciale, in carica per 2 anni, organo elettivo di secondo grado in quanto si compone del Presidente e di un numero di consiglieri variabile a seconda della popolazione19.
3) l’Assemblea dei sindaci dei comuni della provincia.
Secondo la già menzionata «retorica dei costi», viene sottolineata l’assenza di una giunta. A parere di chi scrive, proprio tale mancanza – tecnicamente compensabile con l’affidamento (a titolo gratuito, ovviamente) da parte del Presidente di deleghe a consiglieri secondo modalità e limiti stabiliti da ogni singolo statuto provinciale – segna inesorabilmente il profilo di questo ente, destinato ad una decorosa attesa in vista della definitiva uscita di scena dopo l’approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione.
Per quanto riguarda le 10 città metropolitane, la legge 56/2014 stabilisce che esse subentrano ...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Capitolo 1. Il nuovo assetto metropolitano
  3. Capitolo 2. L’abolizione delle province quale costante del dibattito politico italiano dall’Unità ad oggi
  4. Capitolo 3. L’impianto della riforma tra spinte localiste e difesa delle specificità identitarie
  5. Capitolo 4. La via italiana delle riforme
  6. Conclusioni
  7. Riferimenti bibliografici