Capitolo quinto.
Il pensiero metaforico nelle condizioni psichiatriche
1. I disturbi dell’umore
La classificazione dei disturbi dell’umore dal DSM-III-R al DSM-IV Text Revision (APA 2000) vede la creazione di sottocategorie di disturbi depressivi e una maggiore attenzione alle diverse fasi del ciclo di vita: depressione dei bambini, depressioni dei pre-adolescenti, degli adolescenti, degli adulti, della maturità e forme senili (queste ultime, tenendo conto dell’aumento dell’età della popolazione che le rende visibili, spesso associate ad alterazioni cerebrali, fino a pochi anni fa erano virtualmente non identificabili).
Il proliferare delle sottocategorie, e l’aumentata attenzione a forme ritenute subcliniche (sottosoglia), rende impervio un confronto dettagliato con le classificazioni in uso nella psicoterapia, visto che le sottocategorie sono prevalentemente tagliate ad arte sugli effetti dei farmaci e sulle possibilità di trattamento psichiatrico, e non sulla possibilità di accoppiarle a tecniche terapeutiche psicologiche o integrate (farmaci + psicoterapia).
Cercheremo di fare riferimento quindi a una classificazione in qualche modo semplificata, ma compatibile con quella definita dal DSM-III-R al DSM-IV-TR (APA 2000), in funzione dell’approccio psicoterapeutico e dell’osservazione clinica basata sul discorso metaforico. Bisogna notare che nel DSM-IV-TR viene dato un maggior rilievo alla famiglia, che non necessariamente si riduce esclusivamente alla genetica, ma comprende anche l’esperienza che in famiglia si fa. In tutti i disturbi dell’umore, la presenza di disturbi dell’umore nei genitori, zii e nonni pare strettamente correlata con una più alta incidenza di disturbi dell’umore in maniera sostanzialmente aspecifica. Ciò non può essere tradotto semplicisticamente nell’inferire l’esistenza di un ‘gene dell’umore’, ma lascia spazio per un maggior peso nella valutazione delle dinamiche familiari che, pur avendo una collocazione in un asse del DSM-IV, non sono sufficientemente considerate in ambito psichiatrico.
Escluderemo per semplicità la depressione infantile e quella della adolescenza, le forme prettamente senili e quelle collegate a una condizione medica (problemi tiroidei, postpartum ecc.).
I disturbi dell’umore o affettivi ai fini della nostra disamina si riducono così essenzialmente ai seguenti.
1) Il gruppo dei disturbi bipolari (per i quali si prevede che si sia verificato almeno un episodio maniacale – con elevazione dell’umore, irritabilità, iperattività, tendenza a parlare eccessivamente, fuga dei pensieri, autostima espansa, diminuita propensione al sonno, distraibilità ed eccessivo coinvolgimento in attività che hanno significativi rischi di effetti pericolosi o dolorosi per il soggetto, scarso controllo della condotta ecc.) comprende: disturbi unipolari (rari e senza depressione), stati misti, maniaco-depressivi, bipolari non altrimenti specificati e la ciclotimia (che prevede sbalzi di umore moderati). In questi casi è utilizzato comunemente il carbonato di litio come prevenzione di ricadute.
2) Il gruppo dei disturbi depressivi maggiori: si caratterizzano per una perdita di interesse per il mondo, una perdita di capacità di provare emozioni e piacere sia in attività già apprezzate che in nuove attività. Vi è una riduzione dell’attività, calo dell’appetito, perdita di peso, disturbi del sonno con risveglio mattutino precoce, agitazione o rallentamento psicomotorio, faticabilità, sentimenti anche marcati di colpa o inadeguatezza, difficoltà a concentrarsi o a pensare, pensieri di morte o di suicidio, eventualmente tentativi di suicidio. La diagnosi prevede che non ci siano mai stati anche nel passato sintomi maniacali. Vi è ampia convergenza di opinioni tra gli studiosi che la depressione maggiore sia una sindrome con una vasta gamma di caratteristiche e di possibili cause diverse. Non vi è un sostanziale accordo, né una significativa evidenza empirica, riguardo ai numerosi sottotipi che vengono descritti (endogena, stagionale, melanconica, con scoppi di ira ecc.). Tali sottocategorie possono derivare semplicemente da studi longitudinali di durata insufficiente, che tendono a cristallizzare la definizione di una sottocategoria su un insieme di sintomi in un periodo di tempo troppo limitato perché si evidenzi una modificazione dinamica della sintomatologia.
3) Depressione minore e disturbi sottosoglia (forma subclinica): ci sono moltissimi pazienti che mostrano sintomi depressivi pur non rientrando completamente nei criteri diagnostici del DSM-IV né per la depressione maggiore, né per la distimia e che non hanno presentato in passato episodi depressivi. Questi pazienti sono molto frequenti sia tra gli utenti dei medici di base sia tra coloro che richiedono una psicoterapia, oltre alla richiesta di trattamento farmacologico. La rilevanza di tale gruppo è data soprattutto dai costi che comporta in termini di infelicità e di ricadute di questa su famigliari e società, e dalla ridotta capacità di tali soggetti di partecipare alle attività lavorative e sociali.
4) Il gruppo di soggetti che presenta sintomi depressivi che un tempo erano definiti reattivi, cioè soggetti che a seguito di uno stress psicosociale importante presentano disturbi per più di tre mesi, ma non oltre sei mesi. In questo gruppo ricadono forme di lutto e perdite.
5) Non bisogna poi dimenticare le manifestazioni depressive collaterali in soggetti affetti da disturbi di personalità, prevalentemente di tipo borderline.
6) Infine, nel DSM-IV si separano i disturbi depressivi dagli episodi depressivi (maggiori, minori, non altrimenti specificati, correlati a condizione medica ecc.).
Questa è una panoramica relativamente ristretta del portato della psichiatria attuale riguardo alla depressione e ai disturbi dell’umore in genere, ma le innumerevoli sottigliezze dei vari sottotipi in effetti non sono state approfondite, nel mondo psicoterapeutico quanto in quello psichiatrico. Se resta aperta la possibilità che esse siano di qualche utilità nella prescrizione di farmaci, come sono concepite oggi sono di limitata o dubbia utilità agli psicopatologi e agli psicoterapeuti, almeno allo stato dell’arte.
La depressione clinicamente rilevante ha tre processi che la sostengono:
a) la formazione di sintomi: coinvolge il dispiegamento di un’affettività depressiva, segni e sintomi depressivi che possono derivare da processi sia neurobiologici sia interpersonali;
b) il funzionamento sociale: comprende interazioni sociali con altre persone derivanti dall’apprendimento infantile, supportato ed eventualmente rinforzato da interazioni sociali successive, e gli sforzi attuali...