Il mondo messo a fuoco
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Il mondo messo a fuoco

Storie di allucinazioni e miopie filosofiche

  1. 216 pagine
  2. Italian
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Il mondo messo a fuoco

Storie di allucinazioni e miopie filosofiche

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Prima o poi viene il momento di inforcare gli occhiali: per non pensare che nel mondo ci sia solo quello che riusciamo a immaginarci, e per non illuderci che ci sia tutto quello che ci immaginiamo noi.All'inizio c'è il mondo. Non è tutto uguale: qui è caldo, lì è madre, là è rumore. Ben presto cominciamo a distinguere e a riconoscere: di nuovo caldo, ancora madre, altro rumore! Ciononostante, tutte queste cose appaiono inizialmente del medesimo conio, mere porzioni di quel tutto che è. Solo col trascorrere del tempo questo tutto si veste di forme: gli oggetti si staccano dallo sfondo e acquistano una loro individualità; le sensazioni acquisiscono contorni definiti; i rumori cambiano a seconda delle cose che ci circondano. Cominciamo a fare e a prevedere. Cominciamo a dare nomi, a usare verbi, a dipingere aggettivi. Questo nostro meraviglioso evolverci è materia di studio per gli psicologi e i biologi, ed eventualmente per i sociologi.Ma per il filosofo esso è soprattutto fonte di un'ambiguità profonda e ancora più misteriosa, diciamo pure di un dilemma: stiamo imparando a riconoscere la struttura del mondo o stiamo imponendo al mondo una certa struttura? È la realtà che poco per volta ci rivela i meccanismi secondo cui è organizzata, o siamo noi a organizzare il flusso informe e continuo della nostra esperienza?

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788858101568
Argomento
Filosofia

Prologo. Che cosa c’è e che cos’è

Con Maurizio Ferraris

Primo giorno

Hylas. «Veramente, la distruzion de’ frulloni e delle madie, la devastazion de’ forni, e lo scompiglio de’ fornai, non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva.» Confesso che il fastidio di Manzoni verso le metafisiche inconcludenti mi sembra sacrosanto. Ma soprattutto mi pare sacrosanto il suo richiamo al buon senso, quando aggiunge che «senza essere un gran metafisico, un uomo ci arriva talvolta alla prima, finch’è nuovo nella questione...
Philonous. ...e solo a forza di parlarne, e di sentirne parlare, diventerà inabile anche a intenderle.» Conosco il testo1. Ma devo dire che non capisco bene il motivo di questo sarcasmo. Chissà a quali filosofi si riferiva.
Hylas. O a quali sottigliezze metafisiche. Non credi comunque che ci sia del vero nelle sue parole? A volte la metafisica tende effettivamente a complicare le cose, piuttosto che a chiarirle.
Philonous. Per esempio?
Hylas. Per esempio la questione ontologica. Alla domanda «Che cosa esiste?» i filosofi hanno dato le risposte più disparate, mentre sarebbe naturale aspettarsi che almeno su questo ci si debba trovare d’accordo. In fondo viviamo tutti nello stesso mondo e ci nutriamo tutti dello stesso cibo.
Philonous. Vorrei ben sperare. Ma perché dici che sulla questione ontologica i filosofi non si trovano d’accordo?
Hylas. Non è forse così?
Philonous. Non lo so. A me è stato insegnato che la domanda «Che cosa esiste?» può ammettere un’unica risposta: esiste tutto2.
Hylas. Tutto?
Philonous. Tutto. Né potrebbe essere altrimenti, Hylas. Non mi dirai che ci sono delle cose che non esistono? Sarebbe una contraddizione in termini3.
Hylas. Ma come la mettiamo con le chimere, i fantasmi, e altre invenzioni del genere? Non voglio nemmeno ritrovarmi a dire che queste cose esistono.
Philonous. Certamente no. Ma dire che non esistono le chimere non significa dire che le chimere sono cose che non esistono. Significa semplicemente che tra le cose che esistono non c’è nessuna chimera. Tutto esiste, ma nulla chimereggia.
Hylas. E nulla fantasmeggia. Bene, allora sono d’accordo. Esiste tutto, ma questo tutto include solo cose come i tavoli, le sedie, gli alberi, gli animali in carne e ossa.
Philonous. Mettiamola pure così.
Hylas. Come vorrei che ci sentisse Manzoni! Abbiamo appena dato prova di come si possa disquisire di metafisica tenendo i piedi per terra. Sono contento che sulla questione ontologica la si pensi allo stesso modo.
Philonous. Dipende.
Hylas. Ma non hai appena affermato di essere d’accordo, e che non potrebbe essere altrimenti?
Philonous. Sono ovviamente d’accordo che esiste tutto, e sono d’accordo che questo tutto include delle cose che tavoleggiano, per esempio. Ma mi viene il dubbio che tu possa pensare che in aggiunta a queste cose ci siano anche i tavoli.
Hylas. E come no? Sui tavoli non ci piove. O meglio: ci piove, ed è per questo che non possiamo dubitare della loro esistenza. Altrimenti la nostra filosofia ci costringerebbe a cenare in piedi.
Philonous. Ci sono delle particelle che tavoleggiano, e in questo senso i tavoli esistono (a differenza delle chimere). Ma tant’è. Dovendo fare un catalogo delle cose che si trovano in questa stanza mi accontenterei di elencare le particelle.
Hylas. Ma non si tratta solo di dire che i tavoli esistono. Vogliamo anche poter dire che questo tavolo, per esempio, si trova in cucina...
Philonous. Ci basta dire che queste particelle tavoleggiano in cucina.
Hylas. ...o che il tavolo è quadrato, che è robusto, e che ha un sacco di altre proprietà.
Philonous. D’accordo. Le particelle non tavoleggiano in maniera generica. Tavoleggiano così e cosà. Siccome non è facile trovare l’avverbio giusto, a volte ci vien comodo introdurre degli aggettivi per descrivere la situazione. Ma ciò non deve trarci in inganno: attribuire una proprietà a questo tavolo significa solo precisare meglio in che modo queste particelle tavoleggino.
Hylas. Non so fino a che punto tu possa spingerti per questa strada. Come la metti col fatto che il tavolo è sporco di marmellata? Immagino che le tue particelle non siano cose che si sporcano tanto facilmente. Ci sono particelle di legno e particelle di marmellata, ma a modo loro sono entrambe pulite. Il solo modo per dire che il tavolo è sporco è assumere che ci siano davvero cose come i tavoli, in aggiunta alle particelle di cui sono fatti.
Philonous. Ci sono particelle che tavoleggiano e altre che marmellateggiano, e quando dobbiamo descrivere una situazione in cui particelle del secondo tipo si accostano a particelle del primo tipo ce la caviamo dicendo che il tavolo è sporco. Una comoda pratica linguistica.
Hylas. E perché diciamo che è il tavolo a essere sporco, e non la marmellata?
Philonous. Questo dovremmo chiederlo agli psicologi. È un fatto che riguarda le nostre pratiche linguistiche, appunto, e questo non è il mestiere dell’ontologo.
Hylas. Hai appena convocato un bel deus ex machina, anzi due: lo psicologo e la pratica linguistica.
Philonous. Sono modi di dire...
Hylas. Ma restando nell’ontologia, come suggerisci tu, dovresti almeno dirmi che cosa significa «tavoleggiare».
Philonous. Questa me l’aspettavo. Ma la risposta è semplice: delle particelle tavoleggiano se e solo se sono disposte-a-tavolo.
Hylas. Ma così ragioni in circolo: hai tirato in ballo proprio il tavolo.
Philonous. Nessun circolo. Sostenere che delle particelle sono disposte-a-tavolo significa dire né più né meno che sono disposte secondo una certa configurazione, come quando diciamo che certe persone sono «disposte in fila indiana» senza con ciò implicare che nei dintorni ci siano degli indiani. Detta diversamente, affermare che delle particelle sono disposte-a-tavolo significa solo specificare lo schema geometrico secondo cui sono organizzate. Nemmeno tu ti impegni all’esistenza dei quadrati quando dici che il tavolo è quadrato.
Hylas. Non c’è più religione. Adesso vuoi anche negare l’esistenza dei quadrati?
Philonous. Credevo tu la pensassi allo stesso modo. Sui quadrati non piove affatto: piove solo sui tavoli quadrati, cioè sulle particelle...
Hylas. ...che tavoleggiano quadratamente. Ho capito. Immagino che per te valga un discorso analogo anche per le sedie e per gli alberi.
Philonous. Sedie, alberi, fiori, animali, persone: solo sciami di particelle freneticamente indaffarate a collaborare più o meno a lungo per dare un po’ di spettacolo. Ringraziamo il cielo se le cose stanno così. Il mondo sarebbe una noia tremenda se ogni particella se ne stesse sulle sue.
Hylas. Non ho ben capito chi si deve prendere cura di ringraziare il cielo.
Philonous. Le particelle che personeggiano.
Hylas. Comincio a pensare che il sarcasmo di Manzoni avrebbe pane per i suoi denti.
Philonous. Guarda che non sto farneticando. Come dicevo, si tratta solo di dare il giusto peso alle nostre pratiche linguistiche. In fondo siamo d’accordo su tutto: che non ci sono chimere, che in cucina c’è un tavolo, che il tavolo è quadrato e anche sporco, che il mondo è variegato, che le persone devono ringraziare il cielo per questa varietà, e così via.
Hylas. Siamo d’accordo su tutto, ma non sul tutto. Mi sembra una bella differenza. A un filosofo non basta sapere che una certa affermazione è vera: interessa sapere che cosa la renda vera.
Philonous. A me sembra una differenza trascurabile, tant’è vero che tendiamo a trascurarla. Ma se proprio insisti, ti concedo che su questo punto resta ancora del lavoro da fare.
Hylas. La questione ontologica non è poi così banale come la facevi sembrare.

Secondo giorno

Hylas. Ci ho pensato: questa storia delle particelle non mi convince proprio, Philonous: mi sembra una mitologia filosofica vecchia come gli atomi di Democrito4. Ammettiamo pure che ci siano: non abbiamo ancora spiegato n...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Prologo. Che cosa c’è e che cos’è
  3. Prosieguo
  4. Prima missiva. Il mondo messo a fuoco
  5. Seconda missiva. Esperienze di confine
  6. Terza missiva. Problemi d’identità
  7. Quarta missiva. Gli occhiali del senso comune
  8. Quinta missiva. «An sit» e «quid sit»
  9. Epilogo. Il piano di un Quadrato
  10. Fonti e ringraziamenti