Angeli e beati
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Angeli e beati

Modelli di conoscenza da Tommaso a Spinoza

  1. 306 pagine
  2. Italian
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Angeli e beati

Modelli di conoscenza da Tommaso a Spinoza

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L'accesso al vero della mente finita. Una storia delle risposte che i filosofi dell'età medievale e moderna hanno dato alle domande sui confini e sul fondamento della conoscenza.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858118726
Argomento
Filosofia

I. Tommaso d’Aquino Uomini, angeli e beati

L’universo di Tommaso d’Aquino è popolato da una schiera estremamente variegata di menti: la mente umana, la mente delle anime separate, la mente angelica, quella del beato e quella di Dio. Per ognuna di queste menti Tommaso elabora una compiuta teoria delle modalità attraverso le quali si svolge la conoscenza di se stessa, degli enti finiti materiali, degli enti finiti immateriali, dell’ente infinito immateriale. Il lavoro di Tommaso risulterebbe opaco e non si capirebbero le ragioni di molte sue scelte, se non si tenesse conto dell’orizzonte complessivo all’interno del quale queste scelte vengono compiute. Tommaso coltiva un progetto ambizioso, che riguarda sia la metafisica sia la teoria della conoscenza, un progetto che prevede di disegnare i confini della conoscenza naturale in modo da separarla nettamente dalla conoscenza sovrannaturale. Questo progetto, a sua volta, viene portato avanti da Tommaso attraverso il tentativo di separare la conoscenza naturale degli enti finiti dal contatto con l’infinito, o, detto altrimenti, attraverso il tentativo di stabilire quali siano i confini della conoscenza vera raggiungibile all’interno della finitezza, senza contatto con Dio e con la verità increata.

1. L’ombra di Agostino

Nel perseguire il proprio progetto, Tommaso dovrà confrontarsi con il pensiero di Agostino, l’autorità cristiana che, nel corso della propria opera, aveva impostato il tema della conoscenza vera in termini di accesso alla verità increata contenuta nella mente divina. In questo Tommaso non è certo un caso isolato. Tutti i filosofi dell’età media tengono conto della dottrina agostiniana. Ma l’operazione che Tommaso compie nei confronti di Agostino è singolarmente impegnativa. Malgrado qualche recente tentativo revisionista, Étienne Gilson ha mostrato in modo definitivo che il tomismo si costituisce attraverso una rottura originaria e originale con la teoria della conoscenza agostiniana, respingendo di Agostino la tesi secondo la quale la mente finita, per accedere alla verità, necessita di una costante illuminazione divina, che le consente di partecipare della verità increata1.
Del resto, l’allontanamento da Agostino era inevitabile per un filosofo, come Tommaso, che aveva scelto Aristotele come guida contro Platone. Agostino, colpito precocemente dalla lettura dei libri dei «platonici»2, aveva fatto largo uso di quel che sapeva del pensiero di Platone per costruire una filosofia cristiana. Le «idee» di cui aveva parlato Platone erano state inserite, sotto il nome di «ragioni», nella mente divina3; sulla base di queste il Dio di Agostino aveva creato con scienza e disegno il mondo4. Agostino aveva approvato la divisione platonica della realtà in due mondi, quello sensibile e quello intellegibile: «Per i miei fini è sufficiente che Platone abbia pensato che i mondi sono due: uno intellegibile, nel quale abita la verità stessa, e questo mondo sensibile che, come è manifesto, percepiamo con la vista e con il tatto; il primo vero e il secondo simile al vero e fatto a sua immagine»5. Infine, Agostino aveva tradotto in schemi concettuali platonici la scienza e la sapienza di cui aveva parlato san Paolo6. Rivolgendosi ai Corinzi, l’apostolo aveva parlato di due diversi linguaggi dati dallo Spirito agli uomini, quello della scienza e quello della sapienza: «Infatti dallo Spirito a uno è dato il linguaggio della sapienza; a un altro il linguaggio della scienza, però secondo il medesimo Spirito»7. Agostino si era appropriato del detto apostolico e aveva sovrapposto la distinzione tra scienza e sapienza a quella tra dianoia e nous. Secondo Agostino, alla via della sapienza appartiene la conoscenza delle cose che «né furono né saranno ma sono, e per l’eternità nella quale sono si dice che furono e sono e saranno senza alcuna mutazione di tempo»; «alla sapienza appartiene la conoscenza intellettuale delle cose eterne, e alla scienza la conoscenza razionale delle cose temporali»8. Agostino riconosceva che Paolo non aveva fornito elementi chiari per identificare la via della scienza e quella della sapienza. Tuttavia, con l’aiuto di altri luoghi scritturali, riteneva di poter identificare la via della sapienza con la conoscenza che ha per oggetto Dio, e anzi lo stesso Paolo, secondo Agostino, starebbe chiaramente parlando della sapienza, quando si riferisce alla visione di Dio «faccia a faccia», e lo stesso intenderebbe Giovanni quando dice: «Carissimi, ora siamo figli di Dio, e ciò che saremo un giorno non è stato ancora manifestato; ma sappiamo che al momento di questa manifestazione saremo simili a lui, perché lo vedremo come è»9. La sapienza ha per oggetto le ragioni eterne, i modelli ideali, quel che permane e che costituisce l’esemplare di ciò che muta e diviene: «non soltanto le ragioni intellegibili e incorporee delle cose sensibili, situate nello spazio, sussistono indipendenti da ogni estensione, bensì anche quelle dei movimenti che passano nel tempo permangono indipendenti da ogni divenire temporale, essendo intellegibili, non sensibili. Giungere ad attingerle con lo sguardo dello spirito è privilegio di pochi»10. Il discrimine tra l’una e l’altra forma di conoscenza è la temporalità, nella quale si svolge la scienza, e l’eternità nella quale sono collocati gli oggetti della sapienza: «Il discorso [che] riguard[a] la scienza [va] distinto da quello che concerne la sapienza alla quale non appartengono né le cose passate né le future, ma quelle che sono presenti e, a causa di quella eternità in cui esistono, si chiamano passate, presenti e future senza alcuna mutazione di tempo»11. Agostino ricorda la spiegazione platonica di come sia possibile la sapienza, e ne ricostruisce la genesi proprio attraverso la necessità di dar conto del fatto che alla mente umana è sempre possibile l’accesso al vero, anche quando l’abbia dimenticato, perché il vero non passa e non muta: «Per questo Platone, quel celebre filosofo, si sforzò di persuaderci che le anime hanno vissuto quaggiù anche prima di unirsi a questi corpi e perciò si spiega che ciò che si apprende è reminiscenza di ciò che già si conosceva, piuttosto che conoscenza di qualcosa di nuovo»12.
I testi di Paolo e di Giovanni ricordati da Agostino sembrano rinviare il godimento della sapienza al contatto con Dio cui la mente potrà accedere in un’altra vita. Agostino, invece, concede ai mortali, sia pure a pochi di essi, la via della sapienza: «Giungere ad attingere [le ragioni eterne che sono l’oggetto della sapienza] con lo sguardo dello spirito è privilegio di pochi e quando vi si giunge nei limiti del possibile, non vi permane colui stesso che vi è giunto»13. Ugualmente, nel De Ideis, Agostino limitava l’accesso alle ragioni eterne ai «puri»:
Non si deve tuttavia ritenere idonea a questa visione ogni e qualsiasi anima, ma solo quella che è santa e pura, quella cioè che ha l’occhio integro, sincero, sereno e assimilato alle realtà che desidera vedere, e con il quale le vede. [...] L’anima razionale [...] quando è pura, è vicina a Dio e nella misura in cui aderisce a lui per mezzo della carità, pervasa e illuminata da lui di quella luce intelligibile, contempla, non con gli occhi del corpo, ma con l’elemento specifico del suo essere per cui eccelle, cioè con la sua intelligenza, queste ragioni ideali, la cui visione la rende pienamente felice14.
Nel De Trinitate, dunque, dall’incrocio tra la lettera paolina e i testi platonici filtrati attraverso la teoria della conoscenza di Plotino si codificano due tipi di conoscenza che saranno poi il punto di riferimento dell’intera filosofia medievale e della prima modernità. La conoscenza suprema ha per oggetto i modelli eterni e immutabili delle cose: è la sapienza paolina e Platone ne è il suo maggiore interprete; la conoscenza vera e necessaria del mutevole, invece, è la scienza delle cose mondane, delle copie dei modelli ideali, e sarà Aristotele che verrà individuato come il suo alfiere, malgrado che una delle prime definizioni della sapienza, quella ciceroniana, sia debitrice della definizione della sophia data da Aristotele stesso nella Metafisica, con l’esplicito riferimento all’indagine sulle cause15. Nei confronti dell’astrazione aristotelica varrà per i seguaci più ortodossi di Agostino quello che pensava Plotino: «se cogliessimo solamente impronte di ciò che vediamo, noi non potremmo allora scorgere le cose stesse che vediamo, ma unicamente immagini di visioni e ombre, onde risulterebbero diverse le cose in loro stesse e le cose viste da noi»16. Matteo d’Acquasparta sintetizzerà in modo estremamente efficace l’opposizione tra Platone e Aristotele traducendola nei termini della scienza e della sapienza: Platone, «benché sembri stabilire la via della sapienza, tuttavia distrugge quella della scienza», e Aristotele, «benché costruisca la via della scienza, distrugge del tutto la via della sapienza»17. Ancora in epoca moderna si può trovare il permanere di questa suddivisione. Con la sapienza, si legge nel Lexicon Theologicum di Johann Altenstaig, si intende «non ogni conoscenza, ma la conoscenza sublime, ossia la conoscenza delle cose eterne. Così intende l’Apostolo I Cor. 12: ‘ad alcuni attraverso lo spirito è dato il linguaggio della sapienza, ad altri il linguaggio della scienza’, secondo l’esposizione che ne fa Agostino, quando dice che la sapienza è la conoscenza delle cause supreme»18.
Tommaso riterrà sempre che Platone abbia avuto molti meriti nel respingere il materialismo, ma penserà anche che la filosofia platonica non possa essere accettata proprio perché essa fa delle idee l’oggetto primo della conoscenza, e in questo modo perde di vista ciò di cui dovrebbe occuparsi propriamente la scienza, ossia le cose mutevoli e corruttibili19. In breve, nei termini agostiniani, Tommaso è interessato alla via della scienza, e per questo necessariamente critico del platonismo nelle sue varie forme. Tuttavia, come vedremo, Platone e Agostino riceveranno un trattamento diverso all’interno di una elaborata mappa dossografica sulla quale è preliminarmente opportuno soffermarsi.

2. Dossografia tomista

La teoria della conoscenza di Tommaso assume come principio l’assunto aristotelico secondo il quale «il simile conosce il simile»20. Tuttavia questa regola, assunta rigidamente, ha portato a conseguenze che Tommaso ritiene inaccettabili. In base a questo principio, infatti, Democrito e gli altri filosofi naturali si sono convinti che, siccome la mente conosce i corpi, allora la mente stessa è materiale; Platone, invece, guidato dallo stesso principio, ha percorso l’itinerario opposto: è partito dalla convinzione che l’anima sia immateriale e ne ha dedotto che le forme delle cose che l’anima conosce sussistono indipendentemente dalla materia. Non solo. Il principio di somiglianza ha creato una paradossale alleanza tra i filosofi naturali e Platone, portandoli a concludere che non può darsi scienza immutabile del mutevole e del contingente. Applicando il principio della somiglianza tra conoscente e conosciuto, i primi hanno ritenuto che la conoscenza dei corpi mutevoli debba essere anch’essa mutevole, e il secondo, convinto invece che la conoscenza sia universale, immutabile e necessaria, ne ha dedotto che suo oggetto non possono essere i corpi mutevoli, ma le idee eterne e immutabili21.
Per evitare queste conseguenze, il principio «il simile conosce il simile» deve subire alcuni adattamenti, tenendo conto di altri vincoli, in primo luogo del fatto che il conosciuto si adatta alla natura del conoscente22. Questo ulteriore principio permette di sostenere che i corpi sono conosciuti direttamente – contro Platone –, senza per questo dover concedere che l’anima sia materiale – contro i filosofi naturali. Esso inoltre consente di attribuire alla mente la conoscenza immutabile e necessaria del mutevole. Infatti, se il conosciuto si adatta alla natura del conoscente, la mente potrà conoscere in modo immateriale e immutabile ciò che è materiale e mutevole23.
Tuttavia non tutte le menti possono conoscere le stesse cose. Il principio secondo il quale il conosciuto si adatta alla natura del conoscente sembrava ridimensionare il problema posto dalla differenza di natura tra conoscente e conosciuto, ma Tommaso utilizza un altro principio che ha come conseguenza una limitazione del campo conoscitivo, proprio in base ai vincoli posti dalla natura del conoscente. Si tratta del principio secondo il quale «l’oggetto conoscibile deve avere una proporzione con la virtù conoscitiva»24. L’oggetto della conoscenza è comandato dalla natura del conoscente. Questo principio, come il precedente, interviene a complicare l’applicazione meccanica dell’assunto secondo il quale «il simile conosce il simile», mettendo in primo piano la natura del soggetto come condizione dell’ambito e delle modalità della conoscenza. In sostanza, è l’antropologia, in Tommaso, che comanda l’epistemologia. Come nei corpi le essenze informano la materia, così la mente umana informa il corpo e non è da esso separata. Di conseguenza, oggetto della mente umana non possono essere le forme separate dalla materia, ma le forme come si trovano incarnate nella materia, e dalla quale la mente è capace di estrarle. L’oggetto proprio della mente unita al corpo sono i corpi, la «quidditas rei materialis»25, e il modo della conoscenza consiste nel separare la forma dal composto attraverso tappe successive di astrazione26. Ne consegue che la mente incarnata non potrà avere conoscenza diretta né d...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. Tommaso d’Aquino Uomini, angeli e beati
  3. II. Duns Scoto. Uomini e angeli
  4. III. Gli angeli di Cartesio
  5. IV. Cartesio oltre gli angeli
  6. V. I beati di Malebranche
  7. VI. Conoscenza di Dio e rappresentazione senza somiglianza
  8. VII. I beati di Spinoza