Il sacerdote
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Il sacerdote

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Il sacerdote

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Quando, intorno al 450 a.C., Erodoto si recò in Egitto per raccogliere il materiale documentario che avrebbe poi utilizzato nella compilazione del II e di parte del III libro delle sue Storie, il Paese si trovava nuovamente, dopo la lunga e gloriosa parentesi della XXVI dinastia, sotto il giogo di una dominazione straniera: da tempo quasi un secolo faceva parte, come satrapia, di quell'immensa compagine statuale che era l'impero persiano. Per questo, si era trovato e si trovava tuttora coinvolto nel gigantesco scontro che opponeva il Gran Re al mondo ellenico e per la prima volta nella sua lunga storia le relazioni con il Mediterraneo orientale, greco e non greco, prendevano il sopravvento rispetto a quelle tradizionali, con l'area africana e vicino-orientale.Acquista l'ebook e continua a leggere!

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858100233
Argomento
Storia
Categoria
Storia antica

Il sacerdote

Quando, intorno al 450 a.C., Erodoto si recò in Egitto per raccogliere il materiale documentario che avrebbe poi utilizzato nella compilazione del II e di parte del III libro delle sue Storie, il Paese si trovava nuovamente, dopo la lunga e gloriosa parentesi della XXVI dinastia, sotto il giogo di una dominazione straniera: da tempo – quasi un secolo – faceva parte, come satrapia, di quell’immensa compagine statuale che era l’impero persiano. Per questo, si era trovato e si trovava tuttora coinvolto nel gigantesco scontro che opponeva il Gran Re al mondo ellenico e per la prima volta nella sua lunga storia le relazioni con il Mediterraneo orientale, greco e non greco, prendevano il sopravvento rispetto a quelle tradizionali, con l’area africana e vicino-orientale.
Pure, malgrado la presenza straniera e l’ampliarsi degli orizzonti politici e culturali, le strutture essenziali dello Stato, ricostruite e saldamente impiantate durante la dinastia saitica, erano rimaste sostanzialmente intatte, come intatte erano rimaste le linee lungo le quali si svolgeva la vita economica e sociale, collaudate da una vicenda storica ormai due volte millenaria. Il governo del Paese era affidato a un satrapo, mentre le decisioni più importanti venivano prese lontano dalla Valle del Nilo, alla corte del Gran Re: ma per il resto, dopo la parentesi tempestosa della conquista e del breve regno di Cambise, nulla sembrava essere mutato nel fluire della vita in Egitto. I templi erano aperti, il culto degli dei non aveva subito alcun turbamento e la vita intellettuale procedeva secondo i suoi ritmi tradizionali, come molti indizi lasciano supporre malgrado l’assenza di documenti espliciti; e, del resto, una bella serie di sculture a tutto tondo sta a dimostrare come l’attività degli artisti egiziani fosse appena toccata, in aspetti del tutto marginali, dalla presenza degli stranieri.
È per questo che la testimonianza di Erodoto, almeno quando essa concerne fatti che sono stati oggetto della sua personale conoscenza del Paese, è per noi così preziosa: l’occhio di un visitatore straniero attento e colto, quale era lo storico di Alicarnasso, ci permette di vedere (talvolta di giudicare) fatti e situazioni che spesso nella documentazione egiziana precedente sono solo impliciti, perché così ovvi che sembrava inutile parlarne con interlocutori con ogni probabilità già al corrente di essi.
Nelle pagine che lo storico greco dedica all’Egitto, religione e sacerdozio assumono un’importanza notevole; ciò dipende certo dagli interessi del narratore, ma anche e soprattutto dal peso specifico che l’una e l’altro hanno avuto nella storia del Paese e che il visitatore straniero ha saputo cogliere con molto acume. Alle osservazioni e ai giudizi di Erodoto vanno aggiunte le notizie contenute nelle pagine che altri storici greci dedicarono in seguito all’Egitto sugli stessi argomenti, fino a delineare un quadro per certi aspetti eccessivo e unilaterale della pietà religiosa degli Egiziani e del loro clero.
D’altro canto le notizie degli scrittori classici acquistano ai nostri occhi tanto maggior valore quanto più reticenti sono le fonti egiziane: e il carattere fortemente conservatore della società egiziana rende verosimile che situazioni e comportamenti che sono testimoniati per l’epoca tarda fino all’età tolemaica e romana siano in qualche modo significativi di situazioni e comportamenti di epoche molto più antiche.
«[Gli Egiziani] sono straordinariamente devoti, più di tutti gli [altri] uomini», afferma Erodoto (2, 37), il quale riprendendo più oltre lo stesso argomento, aggiunge che «essi rispettano in modo straordinario le norme religiose» (2, 65): e le altre fonti classiche si allineano perfettamente al giudizio dello storico greco. Del resto, chi si rechi in visita nella Valle del Nilo, non può non rimanere colpito ancora oggi dal numero e dalle dimensioni degli edifici di culto che ci sono giunti e che sembrano testimoniare una civiltà profondamente permeata di valori religiosi. E se è vero che rispetto all’architettura civile, in mattoni crudi, quella religiosa, in pietra, si è salvata grazie alla ben maggiore consistenza del materiale da costruzione, è altrettanto vero che ciò che si è conservato è solo una frazione – assai piccola – dell’enorme numero di edifici religiosi che furono innalzati nell’antico Egitto e che Erodoto poté ammirare durante la sua visita, quando i templi di età tolemaica e romana, i più grandi e i meglio conservati tra quelli ancor oggi esistenti, non erano stati ancora costruiti.
Un Paese così ricco di edifici religiosi – non vi era divinità nello sterminato pantheon egiziano che non avesse il proprio tempio o la propria cappella all’interno del tempio dedicato ad altre divinità – doveva possedere un numero di addetti al culto proporzionale al loro numero e alla loro importanza: ed è facile pensare che un clero numeroso e diffuso in maniera capillare per tutto il paese deve aver assunto un ruolo importante nella società egiziana, anche se la scarsità di documenti espliciti suggerisce una certa cautela in proposito, specie per quanto riguarda i periodi più antichi.
Il fatto poi che i templi costituissero un importante punto di riferimento dal punto di vista economico e culturale ha fatto sì che il sacerdozio abbia finito per svolgere un ruolo importante anche nella vita pubblica e morale del Paese. La profonda considerazione di cui godevano i sacerdoti egiziani presso gli scrittori classici, certamente esagerata quanto ai meriti che venivano loro attribuiti, era però una conseguenza e un riflesso lontano di vicende storiche e di un prestigio che erano maturati nel corso dei secoli e che affondavano le loro radici in un remoto passato.
Quando parla del sacerdote egiziano, Erodoto pone l’accento essenzialmente sopra fatti di costume:
I sacerdoti radono tutto il corpo ogni tre giorni, affinché né un pidocchio né altra impurità sia su di loro mentre servono gli dei. I sacerdoti indossano solo una veste di lino e sandali di papiro: non è loro lecito portare vesti o calzari di altro materiale. Si lavano due volte il giorno e due volte la notte con acqua fredda, compiono riti religiosi a migliaia, si può dire, ma godono anche di privilegi di non poco conto: dei propri beni non consumano e non spendono niente, ma vengono cotti per loro cibi sacri e ogni giorno a ciascuno tocca una grande quantità di carni di bue e d’oca e ricevono anche vino d’uva, mentre non possono nutrirsi di pesce [...] Delle fave non tollerano neanche la vista, perché le considerano un legume impuro. Non vi è un unico sacerdote per ciascuna divinità, ma molti, e uno di essi svolge le funzioni di sommo sacerdote: e quando uno muore, il figlio ne prende il posto. (Erodoto, 2, 37, 2-5)
Attento esclusivamente ai valori spirituali del sacerdote egiziano è invece Porfirio, che, molti secoli dopo Erodoto, ne traccia un ritratto improntato alla più alta spiritualità:
Con la contemplazione essi [= i sacerdoti] giungono al rispetto, alla sicurezza dell’animo e alla pietà; con la riflessione alla scienza e con entrambe alla pratica di costumi esoterici e degni del tempo passato. Giacché il fatto di essere sempre in contatto con la scienza e l’ispirazione divina esclude l’avarizia, reprime le passioni e stimola la vitalità dell’intelligenza. Essi praticano la semplicità nel vivere e nel vestiario, la temperanza, l’austerità, la giustizia e il disinteresse. Il loro passo è misurato, il loro sguardo modesto e fisso e non gira da tutti i lati; il riso è raro e non va oltre il sorriso, le loro mani sono sempre nascoste sotto il vestito [...] Quanto al vino, taluni non ne bevono, gli altri molto poco, giacché, dicono, il vino nuoce alle vene e, turbando la testa, la distoglie dalla speculazione. (Porfirio, De Abst., 4, 6-8, trad. C. Giardini)
Una figura di sacerdote dunque in cui si realizza un mirabile equilibrio tra la pace interiore, frutto del continuo contatto con il mondo divino e della speculazione sulla scienza, e il decoro esteriore che si realizza nella moderazione del gestire, nella semplicità della vita, nell’onestà e nella discrezione nei rapporti con gli altri uomini.
Non vi sono ragioni per dubitare che questo quadro non corrispondesse, forse anche in la...

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