Dizionario storico della Prima guerra mondiale
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Dizionario storico della Prima guerra mondiale

  1. 498 pagine
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Dizionario storico della Prima guerra mondiale

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La partecipazione alla Grande guerra trasformò radicalmente l'Italia, come e più che tutta l'Europa. Nacque allora il Paese che conosciamo.Le voci del Dizionario parlano di combattenti, di armi e di battaglie. Di mobilitazione, di lavoro, di donne. Di propaganda e di politica, di governi e di opposizioni. Ma non solo: parlano di religione, di arte e di letteratura perché, alla guerra totale, un senso bisognava trovarlo.Un dizionario necessario, in cui alcuni dei migliori specialisti fanno il punto su tutti gli aspetti fondamentali di quegli anni.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858127322
Argomento
History

Introduzione

Come ogni Dizionario, questo sulla partecipazione italiana alla Prima guerra mondiale aspira a fornire al lettore un’informazione di base sui tanti aspetti del fenomeno. Al tempo stesso mira ad aggiornare sulle ricerche più recenti e delinea, esplicitamente o meno, il campo di quelle future.
Edito nell’anno centenario dello scatenamento di quella guerra, la consultazione di un Dizionario storico può offrire molti vantaggi, ma deve tenere conto di alcune avvertenze.
La Grande guerra ieri e oggi, fra Europa e Italia La grande tragedia che convenzionalmente definiamo Prima guerra mondiale fu il tentativo di risolvere, appunto, militarmente un insieme di crisi e squilibri diplomatici, politici, economici e sociali che affliggevano l’Europa e le sue dipendenze. L’Italia liberale, allora l’ultima delle grandi potenze, vi partecipò in maniera subordinata uscendone da protagonista, pur gravemente indebolita.
La guerra con cui si ritenne di risolvere le crisi in atto rappresentò una delle più grandi tragedie in termini di perdite di vite umane e di ricchezze che il pianeta avesse sino ad allora, e da allora, conosciuto. Produsse però anche una – temporanea – riformulazione di una eccezionale serie di gerarchie, in un arco di tempo convenzionalmente indicato fra il 1914 e il 1918. Ma la più tradizionale cronologia non deve far dimenticare che le radici di quel conflitto si trovavano in un tempo di crisi più lungo: crisi economiche e diplomatiche che avevano dimostrato la propria pericolosità quanto meno rispettivamente dal 1907-1908 e dal 1911-1913; e che non avrebbero trovato una soluzione politico-diplomatica che tra Versailles (1919) e Losanna (1923) e infine a Locarno (1925-1926). Rispetto a quella tradizionale, questa cronologia più estesa può servire anche per tenere presenti le dimensioni non solo europee della crisi e del conflitto1.
Qualunque sia la cronologia della crisi, quella che prese avvio nell’estate 1914 fu, non sembri inutile ricordarlo, una guerra. Le nuove gerarchie con cui se ne uscì fra 1918 e 1926, per quanto fossero non meno instabili di quelle che le avevano create, furono raggiunte con la forza e la violenza organizzate, tramite le tecniche e le tecnologie assai avanzate di cui gli Stati europei erano allora forniti. Conoscere quelle tecniche e tecnologie è quindi indispensabile per comprendere quanto avvenne: la storia militare ha insomma un ruolo centrale. Al proposito, nel 1914 l’Europa aveva sviluppato capacità belliche così elevate, in grado di mobilitare e armare forze armate dal numero così alto di uomini, capaci di effetti distruttivi così micidiali, che i decisori militari – e con essi quelli diplomatici e politici – pensarono che la guerra sarebbe stata breve. Essa fu invece lunga, sviluppò ulteriori potenti tecnologie, mise alla prova le capacità degli Stati di mobilitare tutte le risorse delle proprie società e di quelle coloniali sottomesse, al fine di inibire quelle avversarie. Se ogni guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, furono questi mezzi – assieme agli scopi politici – a rendere il conflitto europeo tendenzialmente totale e globale.
La guerra mondiale ridisegnò le gerarchie internazionali2. Tentò di risolvere con la forza e la violenza militari le controversie che la diplomazia sembrava non essere riuscita a stabilizzare. In sua vece, delineò nuove gerarchie fra Imperi e nazioni, fece esplodere ben quattro fra i primi, moltiplicò il numero degli Stati, riallineò tutti. La guerra cambiò, o promise di cambiare, le relazioni fra madrepatrie imperiali e territori coloniali. In generale modificò le relazioni fra poteri globali e poteri locali, sollevò movimenti transnazionali e internazionali, al tempo stesso moltiplicò ed erose il potere di controllo degli Stati nazionali: si pensi a fenomeni fra loro assai diversi che gli Stati non riuscirono ad arginare quali lo spionaggio di guerra, l’internazionalismo socialista e pacifista, la diffusione dell’anticolonialismo nelle madrepatrie e presso le élites autoctone dei territori coloniali, la spinta all’internazionalizzazione dell’economia. La guerra ridisegnò il ruolo dell’Europa, che si avviò ad un declino rispetto all’emergere economico e politico di continenti e di potenze extraeuropee.
All’interno dei singoli Paesi la guerra trasformò le gerarchie esistenti fra Stato e società, sviluppando enormemente l’intervento del primo nella seconda3. La mobilitazione più o meno diretta da parte dello Stato nell’economia ne fu solo un esempio. Le istituzioni per l’assistenza, praticata o promessa durante la guerra, ne furono un altro. Gli affrontamenti armati ebbero luogo soprattutto sui confini (ma non dovunque: si pensi al carattere devastante della guerra per Paesi come la Serbia o la Polonia). Eppure il conflitto, per i suoi caratteri industriali e moderni, coinvolse direttamente anche i «fronti interni», mobilitandoli in misura inedita e sino ad allora inaudita. Ciò comportò che, nella società politica, la guerra coincise con uno spostamento significativo delle gerarchie precedenti fra potere legislativo e potere esecutivo, a tutto vantaggio di quest’ultimo. Le ideologie e le politiche postbelliche non poterono non risentirne. Quelle nazionalistiche furono enormemente rafforzate dall’esperienza di guerra, mentre quelle internazionalistiche – socialiste in primo luogo – ne furono dovunque profondamente colpite e radicalmente trasformate. Una guerra così devastante diede spazio a nuove escatologie e diffuse nuove ansie millenaristiche. Lo si vide in ambiti diversi, dall’evoluzione delle religioni a quel diffondersi del comunismo internazionale che prometteva di riscattare gli oppressi dai fallimenti del socialismo e che sembrò reso più concreto dall’esistenza, dopo il 1917, di un Paese dove tale riscatto era diventato ideologia di Stato.
Più in generale, oltre a consumare enormi ricchezze e a devastare amplissimi territori, la guerra ridisegnò dovunque le gerarchie fra campagna e città, fra agricoltura e industria, fra tradizione e sviluppo. Gli squilibri del sistema capitalistico non furono risolti e i sistemi di ineguaglianze fra classi (a livello di sistemi di produzione come di reddito) ne furono investiti. Non sempre gli anni della guerra corrisposero ad un aumento delle ineguaglianze ma dovunque ridussero coercitivamente la conflittualità, che pure tuttavia non fu mai spenta. In compenso, fecero aumentare le richieste di riduzione di quelle ineguaglianze, richieste che risultarono moltiplicate soprattutto nel corso del dopoguerra.
Le trasformazioni del tempo di guerra non si fermarono a tutto questo, che pure sarebbe già bastato. La guerra sembrò anche cambiare le gerarchie e le relazioni reciproche fra uomini e donne, nonché fra adulti, giovani cui fu bruciata rapidamente la giovinezza, e infanzia. Le trincee, fu subito detto, ingoiarono una generazione che andò perduta: anche se i demografi hanno parzialmente corretto questa impressione, diffusa nel dopoguerra, le relazioni fra generazioni ne uscirono pregiudicate. Ancora più complesso fu il rapporto fra i generi. Gli Stati e le economie ebbero immediato bisogno delle donne. Il loro lavoro familiare e di cura non fu più sufficiente e ad esse fu imposto di assumere altri ruoli. Ciò ebbe un effetto dirompente sugli equilibri di genere. Dal canto loro i maschi erano sfidati contemporaneamente da un’eccezionalmente rilevante enfasi sul loro ruolo tradizionale, legato al loro svolgere un mestiere tipicamente «da uomini» come la guerra, e da una sua crisi manifesta, dovuta al fatto che improvvisamente il mestiere delle armi si era fatto luttuoso come mai era accaduto nella storia. Le donne invece lavoravano in fabbrica e nei servizi o erano mobilitate per l’assistenza, proprio mentre gli uomini morivano o erano costretti a chiedere assistenza al «sesso debole». Lo scardinamento dei ruoli di genere che tutto ciò ingenerò ebbe aspetti diversi fra nazione e nazione anche quando esso si rivelò alla fine temporaneo: la cessazione delle ostilità dimostrò che la sostituzione degli uomini con le donne era stata transitoria4.
Insomma ad ogni livello, per ogni nazione, in ogni continente, la Grande guerra ridefinì contemporaneamente molte gerarchie. Ridurre tutto questo agli scontri diplomatici, all’assassinio di un arciduca austriaco o anche a scontri militari sarebbe semplicemente impedire di comprendere questo conflitto. Inoltre, la crisi bellica aveva scatenato forze così imponenti e apparentemente ingovernabili che misero a dura prova il ritorno alla pace. La quale fu infatti solo temporanea: bastarono vent’anni e il mondo ricadde nel regno della violenza.
Gli storici, com’è noto, hanno discusso a lungo se il Novecento possa essere considerato un secolo breve (sostanzialmente 1914-1991) o un secolo lungo (circa 1860/1870-1973)5. La discussione non avrà termine anche perché, a seconda dei livelli di analisi, ad esempio politico ed economico-sociale, lo stesso secolo può venire utilmente definito nell’uno e nell’altro modo. Quello che rimane certo è che la Prima guerra mondiale – una guerra totale e globale, nella misura in cui allora era possibile – rimane l’atto fondativo della modernità novecentesca. La scala dimensionale delle gerarchie rimesse in discussione da quella guerra, la crisi complessiva cui il pianeta e soprattutto l’Europa andarono incontro, hanno pochi paragoni. La stessa Seconda guerra mondiale e il mezzo secolo di Guerra fredda non sarebbero pensabili senza la Grande guerra. Il dato, impossibile a precisare, di nove-dieci milioni di morti, di feriti calcolabili in almeno tre volte quel numero, su qualche decina di milioni di mobilitati deve servire non per esaurire ma per far intuire l’enormità della dimensione della Prima guerra mondiale.
È per via di tali dimensioni che, ad un secolo dall’inizio di quelle operazioni militari, un altissimo numero di Paesi si è accinto a ricordare quel conflitto e le straordinarie trasformazioni che esso impose loro. A significare al tempo stesso la riverenza verso il sacrificio dei morti di allora ma anche la lontananza dei sentimenti odierni dalla guerra come strumento di risoluzione delle crisi e la drammaticità delle trasformazioni e dei lutti da essa imposti all’Europa e al mondo.
Anche l’Italia liberale prese parte a tutto questo6. Entrò nel conflitto come l’ultima delle grandi potenze di un affollato concerto di Imperi e Stati europei, ne uscì senza aver modificato questa sua posizione relativa ma essendo di fatto divenuta uno dei quattro maggiori attori della politica continentale (insieme a Regno Unito, Francia e Germania, con l’Unione sovietica ancora isolata). È difficile sottovalutare questo risultato, che però non può essere valutato esattamente senza tenere conto – nel quadro delle eccezionali trasformazioni e ridefinizioni di gerarchie indotte dal conflitto – anche dei suoi spaventosi costi umani, economici, politici, sociali e culturali. È noto infatti che l’Italia liberale vinse la guerra ma perse la pace, dando vita ad un regime liberticida e totalitario.
L’Italia, pur nelle sue limitate dimensioni, era stata un soggetto attivo della decomposizione dell’ordine internazionale preesistente il conflitto: quanto meno con la sua guerra per la Libia7. Paese prevalentemente agricolo, aveva conosciuto un rapido avvio di crescita industriale resa possibile grazie al capitale estero, a un intervento dello Stato e a un sistema di banche miste. La rapidità di tale ...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima. La scelta della guerra
  3. Diplomazia e scopi di guerra
  4. Lotta politica e parlamento
  5. I piani di guerra italiani contro l’Austria-Ungheria
  6. Potere civile e potere militare
  7. Italia occupante, Italia occupata
  8. Finanziare la guerra
  9. Parte seconda. Combattere la guerra
  10. La guerra sul fronte italiano
  11. I generali
  12. Armi e sistemi d’arma
  13. Battaglie di logoramento e spallate
  14. La guerra aerea
  15. La guerra navale nel Mediterraneo
  16. La giustizia militare
  17. I prigionieri di guerra
  18. Le truppe italiane all’estero
  19. Le truppe alleate in Italia
  20. I morti
  21. Parte terza. Mobilitare l’Italia
  22. La mobilitazione industriale
  23. Scienza e tecnologia per la guerra
  24. La propaganda e l’assistenza sul fronte interno
  25. L’alimentazione e l’approvvigionamento alimentare durante il conflitto
  26. Parte quarta. Il fronte interno
  27. I pacifisti
  28. Il conflitto sociale e le proteste
  29. Il movimento operaio e gli scioperi
  30. La mobilitazione femminile
  31. I bambini
  32. Scrivere dal fronte
  33. Italiani rifugiati
  34. Parte quinta. Rappresentare la guerra
  35. La stampa dentro la guerra
  36. La religione nella guerra
  37. Dare un senso alla guerra: gli intellettuali
  38. La guerra nell’arte
  39. Scrivere di guerra: poeti e romanzieri
  40. Pellicole sul fronte: il cinema e la guerra
  41. Parte sesta. Dalla guerra al dopoguerra
  42. La società italiana del dopoguerra
  43. Cordoglio e lutto per una morte di massa
  44. Il peso del conflitto sull’economia: il dopoguerra
  45. Monumenti, documenti, studi
  46. Gli autori