Dante
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Dante

Storia di un visionario

  1. 346 pagine
  2. Italian
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Dante

Storia di un visionario

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Il Dante di Gorni vuol essere «un ritratto in piedi», che cioè «non si limiti a raccogliere e a ordinare una bibliografia sterminata», ma «che abbia un'idea forte dell'autore: tendenziosa magari, ma moderna e nuova». Colpisce la straordinaria ricchezza del 'racconto', e l'abilità – si potrebbe definire 'registica' – con cui è stato 'montato'. Gorni, infatti, affianca gli uni agli altri i capitoli più strettamente biografici e quelli di descrizione e interpretazione delle opere, in una sequenza unica e, quel che più importa, profondamente unitaria.Alberto Asor Rosa, "la Repubblica"

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788858101742

La «Vita Nova» e altre rime attinenti al prosimetro

La cronologia delle opere di Dante (che cioè – poniamo – la Vita Nova sia anteriore alla Commedia, a parte ogni illazione che induce a credere che è questa la consecuzione più sicura) deriva in definitiva da Boccaccio, che l’accreditò soprattutto nel Trattatello. Alla luce di altre opere di Dante, si può dire solo che la Vita precede il Convivio,
E se nella presente opera, la quale è Convivio nominata e vo’ che sia, più virilmente si trattasse che nella Vita Nova, non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per questa quella; veggendo sì come ragionevolemente quella fervida e passionata, questa temperata e virile essere conviene. [...] E io in quella dinanzi, all’entrata della mia gioventute parlai, e in questa dipoi, quella già trapassata.
(Cv I i 16-17)
e che il De vulgari eloquentia segue il primo trattato del Convivio,
[...] Di questo si parlerà altrove più compiutamente in uno libello ch’io intendo di fare, Dio concedente, di Volgare Eloquenza.
(Cv I v 10)
Come breve presentazione della Vita, è da sapere che essa è un prosimetro, cioè un testo misto di versi e prose, che comprende trentuno componimenti, venticinque sonetti, una ballata e cinque canzoni, inclusi in una prosa insieme narrativa ed esegetica. È un prosimetrum autobiografico, che si richiama a più modelli: da Agostino a Boezio; dalle razos provenzali alle vite dei santi, alle vidas dei trovatori, presenti in canzonieri occitanici con cui stretto è il legame (in questa tradizione, ben affermata in area italiana, si segnala come autore di vidas Uc de Saint-Circ, esule in Italia dal 1220 circa. Si tratta però d’intendersi: l’affinità di Vita Nova e vidas è di ordine strutturale, non nominale. Precisazione ovvia, ma che è opportuno ribadire. Come è noto, nessuna vida si chiama così nei manoscritti: è una parola che, a quanto pare, non figura neanche nel corpo dei testi).
Capitale rilievo hanno poi le razos (i motivi dichiarati, le occasioni addotte a illustrare il contenuto dei testi poetici). Anzi, il rapporto tra razos e Vita Nova, che è un luogo comune nella critica, impone qualche precisazione. Perché, accanto alle analogie, bisogna denunciare le differenze istituzionali. Le razos delle canzoni provenzali, come si sa, presentano le occasioni fantasiose della loro stesura e soprattutto sviluppano un racconto parallelo, che traspone in fatti narrativi il dettato formulare e talora criptico dei versi. Ma a differenza di quanto avviene nel caso della Vita Nova e in genere per Dante, frequente esegeta di se stesso, le razos non sono opera dell’autore dei testi lirici. Inoltre è da dire che il modello di canzoni frammiste a prose non è affatto univoco, e presenta tipologie varie nei codici provenzali giunti fino a noi. Nei canzonieri di confezione transalpina, quali (poniamo) R ed E, le razos son raccolte in una sezione a parte: senza le liriche, menzionate col solo incipit e in collane di piccoli cicli, come ad esempio quelli che riguardano i trovatori Raimon de Miraval e Peire Vidal. Viene meno così la caratteristica del prosimetrum. Caratteristica che invece è presente in canzonieri provenzali collocabili in Italia, come I e K, ora presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, rispettivamente sotto la segnatura Paris, B. N. f. fr. 854 e Paris, B. N. f. fr. 12473. In essi la parte dell’antologia dedicata ai sirventesi si apre con la sezione di quelli di Bertran de Born, introdotti ciascuno dalla razo corrispondente.
La tipologia, in ambito italiano, ha vita autonoma. Si ricordi la novella lxiv del Novellino, «novella che avenne in Proenza alla corte del Po», vero e proprio prosimetro. Riguarda una canzone del trovatore Rigaut de Berbezilh (ma il Novellino dice «pognalli nome messere Alamanno») e si chiude con la poesia tradotta, Altressì come il leofante. Neppure le Lettere di Guittone d’Arezzo si potrebbero trascurare come precedente, anche se sono state neglette dalla bibliografia sulla Vita e se sul loro autore grava l’ombra del costante disprezzo del Cavalcanti e di Dante. Almeno tre Lettere – la xxvi a Iacomo d’Architano (una prosa seguita da un sonetto rinterzato, «E sovra d’este parole intendete el sonetto di sotto posto, acciò che vi guardiate, ché v’apertene»), la xxxi di Meo Abbracciavacca a Guittone (una prosa e un sonetto di Meo, «Perciò vi dimando che sia brunito lo mio ruginoso sentore de la questione di sotto, per sonett’hovi scritto», e un sonetto di replica di Guittone, la cui razo forse è andata perduta), la xxxvi (a messer Ranuccio de Casanova, una prosa e una canzone monostrofica) – si presentano in forma di prosimetro.
Questi precedenti volgari della mescolanza di prosa e versi sottraggono la Vita Nova all’isolamento duecentesco in lingua di sì in cui ci si compiace di collocarla. Sta di fatto però che il libello è il primo esteso e compiuto prosimetro in lingua italiana. Si suole affiancargli, a distanza però di almeno dieci anni, il Convivio. Ma anche altri componimenti di Dante o a lui attribuiti sono stati divulgati assieme a una prosa d’accompagnamento. Anzitutto la canzone «montanina» (Rime 15 [cxvi]), inviata, al tempo dell’esilio, al marchese Moroello Malaspina con un’epistola di Dante, la quarta dell’attuale assetto delle Epistole. O il sonetto a Cino da Pistoia Io sono stato con Amore insieme (Rime 104 [cxi]), «preceduto da una razo sotto forma di epistola latina (della cui autenticità vi fu chi dubitò a torto, attribuendola a Boccaccio)» (Contini, p. 192), cioè la lettera Exulanti Pistoriensi Florentinus exul inmeritus (Ep. iii). Per non dire della ballata Donne, i’ non so di che mi preghi Amore (Rime d. 2 [App. iii]) di paternità incerta, o piuttosto variamente modulabile nella ripresa, nelle tre stanze e nella prosa (quest’ultima senz’altro da sottrarre a Dante). Infine, per quello che può valere, nel Riccardiano 2735, manoscritto di metà Quattrocento, la quartina Chi della pelle del monton fasciasse (Fiore 97) si legge in coda a una curiosa razo, naturalmente apocrifa, che narra un aneddoto dantesco. L’efficacia di vidas e razos nelle nostre lettere non si limita dunque al libello, che peraltro ne è, incomparabilmente, il frutto più maturo e articolato.
Un’analisi semantica del lemma ragione in Dante, in quanto resa di razo, è indispensabile al riguardo. Ragione, nel senso di ‘prosa espositiva, narrazione, didascalia’, nella prosa del libello ricorre esclusivamente nei paragrafi 24-29 [xxxv-xl], come dichiarata alternativa alle «divisioni» dei testi, non eseguite in questa parte per volontà dell’autore. La prima e la seconda occorrenza si trovano là dove comincia la storia con la Donna Gentile, a contorno del sonetto Videro gli occhi miei: «E però propuosi di dire uno sonetto nel quale io parlassi a.llei, e conchiudesse in esso tutto ciò che narrato è in questa ragione. E però che per questa ragione è assai manifesto, no.llo dividerò» (24 [xxxv] 4). Oltre a queste, si registrano altre cinque occorrenze: «ed è piano sanza dividerlo, per la sua precedente ragione» (25 [xxxvi] 3); «Potrebbe bene ancora ricevere più divisioni, ma sariano indarno, però ch’è manifesto per la precedente ragione» (26 [xxxvii] 5); «propuosi di fare uno sonetto nel quale io comprendessi la sentenzia di questa ragione» (28 [xxxix] 6); «Questo sonetto non divido, però che assai lo manifesta la sua ragione» (identica formula a 28 [xxxix] 7 e a 29 [xl] 8).
Nella Vita Nova – soprattutto questo importa mettere in chiaro – cagione esclude ragione: dove Dante adotta ragione, abbandona cagione. C’è un solo punto d’attrito tra i due sistemi, nel terzo (26 [xxxvii]) dei quattro paragrafi per la Donna Gentile: la prosa, come si è visto più sopra, ha ragione, mentre il sonetto – che si presume anteriore – ha ancora cagione, «ch’i’ non ven disturbasse ogne cagione» (v. 7), anche se in senso meno tecnico (traducibile con ‘motivo’). Ma cagione non è una parola innocente. È adoperata – come si è anticipato – dallo «spositore» in «lettera sottile», a commento del prologo della Rettorica:
La cagione per che questo libro è fatto si è cotale, che questo Brunetto Latino, per cagione della guerra la quale fue tralle parti di Firenze, fue isbandito della terra quando la sua parte guelfa, la quale si tenea col papa e colla chiesa di Roma, fue cacciata e sbandita della terra. E poi si n’andò in Francia per procurare le sue vicende e là trovò uno suo amico della sua cittade e della sua parte, molto ricco d’avere, ben costumato e pieno de grande senno, che.lli fece molto onore e grande utilitade, e perciò l’appellava suo porto, sì come in molte parti di questo libro pare apertamente.
(Brunetto Latini, Prologo al volgarizzamento di parte del De inventione)
Questa prosa di Brunetto sembra proprio ricalcare, per funzione, giri di frase e contenuto – l’«isbandito» che rinvia al faidit, la spiegazione del senhal «Porto» o «suo Porto» – tratti ricorrenti di vidas e razos. Si può dire che in Brunetto cagione, con spiccato senso tecnico, è l’equivalente di razo. Nel libello, la scelta di ragione contro cagione – scelta coerente e univoca, come si è detto, a partire da un certo punto – segna uno scarto proprio dal lessico brunettiano. Il cambio terminologico interviene tardi nella stesura del libro, manifestandosi in un punto critico dell’invenzione dantesca (la Donna Gentile), indizio di una rottura o di uno stacco dal passato.
Tema dominante della Vita Nova è l’amore per Beatrice, dal primo incontro con lei a nove anni, al saluto a diciotto, alla morte dell’amata. Dante celebra il suo culto segreto con più espedienti e con una rilettura certo mistificante delle sue prove poetiche giovanili: amore fittizio per una prima e una seconda donna-schermo, lode di Beatrice senza attesa o speranza di contraccambio. Altri miti fondatori della Vita sono l’amore infantile, la donna che porta grazia e beatitudine (come il suo nome dichiara), un pubblico di donne gentili a cui parlare, Beatrice donna miracolo e figura di Cristo, le speculazioni sul numero nove, la poesia come ispirazione d’Amore. Nella seconda parte del libro, morta l’amata, i toni profetici si fanno intensi. L’ultimo paragrafo registra la promessa di comporre in lode di Beatrice un’op...

Indice dei contenuti

  1. Preambolo
  2. Premessa
  3. Nascita e anagrafe di Dante
  4. I primi anni, fino all’opzione politica
  5. Ser Durante, chi era costui?
  6. Il gemello del «Fiore», ossia «Il Detto d’Amore»
  7. Esercizi letterari (Brunetto, Chiaro, Lippo, Guido Cavalcanti, Forese, Dante da Maiano, Cino, Guittone e altri)
  8. Beatrice, nome della beatitudine
  9. La «Vita Nova» e altre rime attinenti al prosimetro
  10. Rime per altre donne, la Gentile, la Pietra
  11. Politica, la passione dominante
  12. Una carriera di guelfo bianco e la condanna all’esilio
  13. L’intellettuale a tutto tondo: «Convivio» e «De vulgari eloquentia»
  14. Intermittenti ritorni di fiamma della politica militante: la «Monarchia», le «Epistole», la «Questio» e le «Egloghe»
  15. Il poema: Ulisse e san Francesco
  16. «Inferno»
  17. «Purgatorio»
  18. «Paradiso»
  19. Verona e Ravenna
  20. Finale di partita: storia di un visionario fallito