VIII.
Mettere ordine nei meandri del cervello:
la terapia farmacologica
1. Problemi di metodo
Il trattamento dei tic – e in particolare della sindrome di Tourette – risulta abbastanza complesso, alla luce di quanto sin qui esposto: l’inizio della terapia farmacologica è in genere motivato dalla gravità del quadro clinico.
Infatti non sono certo i tic motori, al di là della loro spettacolarità, che perturbano l’«equilibrio» sociale del soggetto tourettiano. Di tic non si muore: qualche smorfia, qualche alzata di spalla o ripetuti movimenti delle dita possono essere ben tollerati dal soggetto che li ha.
Forse questo è un po’ meno vero per quelli sonori. I tic sonori, siano essi di lieve entità (come lo schiarirsi la voce con eccessiva e immotivata insistenza) o più complessi (come verbalizzazioni e fraseggi o peggio ancora bestemmie e parolacce), producono indubbiamente maggiori problemi. Se al cinema il vicino di poltrona continua a rumoreggiare col naso cerchiamo un altro posto. E che dire dello stupore e dello sconcerto che ci coglie sentendo imprecazioni blasfeme per bocca di un compagno di scuola di nostro figlio?
La varietà e la complessità dei segni clinici della sindrome di Tourette, che coinvolgono la sfera comportamentale con diverse sfaccettature, possono essere talvolta davvero considerevoli, così da alterare la qualità di vita dei pazienti. Occorre allora intervenire su queste anomalie comportamentali e cercare di «mettere ordine» nei meccanismi neuropsicologici che, nei «meandri» del cervello, non funzionano a dovere.
Per iniziare qualsiasi terapia, l’iter da seguire – fatta salva la correttezza diagnostica – è fondamentalmente l’analisi dettagliata e sistematica dei disturbi e la corretta valutazione del loro conseguente impatto sociale. Sono queste attente considerazioni che guideranno la scelta terapeutica, dalla più «leggera» a quella più «invasiva».
Come già detto, la sindrome di Tourette presenta un broad spectrum clinico: vale a dire che il paziente, oltre a presentare tic sonori e motori, può talvolta essere incapace di «stare fermo», presenti cioè una ipermobilità (e questo, soprattutto verso l’età di cinque o sei anni, è un sintomo che anticipa l’esplosione del quadro ticcoso), oppure può manifestare alterazioni comportamentali ossessivo-compulsive, o ancora evidenzi spunti autolesionistici, o infine mostri depressione, ansia, «crisi di rabbia» improvvise, più o meno motivate.
Si tratta di sintomi che hanno a che fare direttamente con la sindrome di Tourette. Solo qualche volta possono essere prodotti dallo stato di disagio e di sofferenza dovuti alla sindrome, ancorché familiari e medici non esperti possano avere differenti opinioni in proposito, adducendo altri elementi giustificativi o ponendo diagnosi che si discostino dal complesso quadro della malattia di Tourette. Il quadro clinico più frequente è costituito di fatto dall’OCTD, cioè sintomi ossessivo-compulsivi e tic motorio-sonori.
L’approccio terapeutico del paziente tourettiano deve dunque innanzitutto valutare il soggetto nell’ambito di un contesto clinico ampio, rivalutando nel tempo con molta cura la necessità/utilità di trattare il paziente stesso.
Spesso tutto si limita all’effettuazione di raccomandazioni rassicuranti e alla messa in opera di interventi di sostegno psicologico-comportamentale nell’ambiente domestico, in quello scolastico o nell’ambito lavorativo, con il coinvolgimento sia dei pazienti sia di coloro che con essi hanno a che fare.
Soltanto nei casi più gravi, nei quali il social impairment (impatto sociale) assume rilevante consistenza, può e deve essere intrapresa una terapia farmacologica (sovente affiancata da un sostegno psicologico) per tempi variabili in funzione dell’andamento clinico della sindrome. Occorre inoltre ricordare che deve sempre essere tenuta presente la storia naturale della malattia, che nei due terzi dei casi, tra i diciotto e i ventidue anni, mostra un alleggerimento dei sintomi e talvolta anche la completa risoluzione del quadro clinico.
Un atteggiamento «rigido» di scelta dei farmaci non sembra opportuno. Nella pratica clinica si deve privilegiare il concetto della tailoring technique, cioè della personalizzazione dei trattamenti: se si è deciso l’impiego di farmaci, questi devono essere «mirati» per ridurre o eliminare questo o quell’altro disturbo, integrando l’azione di farmaci diversi per ottenere l’effetto migliore nel caso si sia optato per una politerapia. Purtroppo l’utilizzo di politerapie, cioè molti farmaci nello stesso paziente, può comportare problematiche non solo in termini di rifiuto di prendere tanti trattamenti, ma anche sotto il profilo farmacocinetico. S’impone pertanto un’esperienza particolare nell’utilizzo di tali terapie che nel paziente tourettiano vengono impiegate soprattutto su basi neurofisiopatologiche piuttosto che psichiatriche.
La stessa durata del trattamento intrapreso va valutata di caso in caso: è bene continuare per lungo tempo, per esempio per anni, una terapia ancorché questa abbia comportato buoni risultati? Non è piuttosto più opportuno sospendere dopo alcuni mesi l’assunzione dei farmaci e verificare se la storia naturale della malattia, con la quiescenza spontanea dei disturbi, non coincida con l’apparente efficacia dei medicamenti che, a questo punto, potrebbero risultare somministrati inutilmente?
Nella pratica corrente capita sovente che si consigli la sospensione di un determinato trattamento in tempi abbastanza rapidi. Questo potrebbe causare la ricomparsa dei tic o di qualche altro sintomo caratterizzante la sindrome, con grande disappunto del pazi...