Poetica delle emozioni
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Poetica delle emozioni

I Bijagó della Guinea Bissau

  1. 280 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Poetica delle emozioni

I Bijagó della Guinea Bissau

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Informazioni sul libro

Un viaggio di studio in una comunità della Guinea Bissau, i racconti dei comportamenti, le confidenze, i consigli, i lamenti, i rimproveri, le critiche. Nel fiume di parole e di pratiche quotidiane dei Bijagó, Chiara Pussetti ci guida con passione in un affascinante resoconto antropologico che indaga le rappresentazioni della persona e le emozioni che costituiscono la vita affettiva. Esplorando modalità di costruzione e modellamento di corpo e sentimenti secondo criteri estetici e morali, questo viaggio in un mondo altro svela la relatività e la natura socioculturale del nostro sapere più indubitabile, le emozioni e le nostre sensazioni corporee, rivelandone la natura politica e sociale.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858119242
Categoria
Antropologia

Capitolo sesto
«Sveglierò gli uccelli della foresta grande al sorgere del sole».
Cantando d’amore e morte

Nel quarto capitolo abbiamo analizzato alcuni n’atribá pericolosi e difficili da dominare, a causa della loro intensità e impetuosità. Tali sentimenti, come abbiamo accennato, possono tuttavia essere espressi in modo conveniente e sicuro attraverso i veli protettivi della forma poetica, rispettando cioè i criteri etici ed estetici locali di controllo (n’oboj), coerenza (n’ojir) e bellezza (n’oseney). Nel quinto capitolo abbiamo parlato dei canti funebri come caso emblematico di ‘lavoro del dolore’, ipotizzando una locale predilezione estetica per temi drammatici, che abbiamo definito, prendendo in prestito un’espressione coniata da Benedict Grima (1992), ‘estetica tragica’. Il dolore infatti per un verso necessita, più di altri sentimenti, di una particolare elaborazione per essere metabolizzato; per l’altro, qualora convenientemente esternato, viene considerato coinvolgente ed esteticamente apprezzabile. Inscrivendo le proprie vicende personali in uno stile narrativo convenzionale e condiviso, il cantante rende narrabili e convenienti contenuti intimi potenzialmente distruttivi, senza contravvenire alla norma del ‘controllo di sé’, sentita a livello individuale come il valore fondante della propria ‘umanità’.
Il canto funebre delle donne non è tuttavia l’unico caso nel quale contenuti emozionali acquisiscono una forma poetica. In questo capitolo individuiamo infatti altri tre ambiti specifici nei quali le persone, attraverso una forma altamente convenzionale e all’interno di uno spazio e un tempo rigidamente definiti, esprimono in modo appropriato n’atribá potenzialmente pericolosi: l’eraké ia n’aro, il kundere e le esibizioni del suonatore di n’opaatra. Come nel caso dei canti funebri, le canzoni eseguite in questi contesti sono interpretate da solisti, accompagnati generalmente dal coro. I brani analizzati sono stati registrati nell’isola di Bubaque in differenti occasioni e trascritti successivamente con la collaborazione dei solisti, che hanno commentato ed esplicitato i passi più complessi e le metafore più oscure.

1. L’«eraké ia n’aro»

L’eraké ia n’aro è un’esibizione pubblica associata al grado d’età karo1, che riveste uno specifico significato all’interno della logica del percorso iniziatico maschile (Bordonaro 1998). Questo grado d’età, cui appartengono i ragazzi indicativamente tra i quindici e i trent’anni e che precede l’iniziazione, viene considerato come il periodo più piacevole della vita di un uomo, nel quale si è giovani, esuberanti, forti e relativamente liberi dalle responsabilità della vita adulta. Queste caratteristiche sono ritenute dagli anziani segno dell’immaturità e dell’inesperienza dei n’aro: per un verso quindi il loro comportamento talvolta infantile e irruente viene tollerato; per l’altro, non viene loro concesso il diritto al possesso della terra, alla paternità sociale e a contrarre matrimoni definitivi (koneió). Potranno acquisire questi diritti solo quando, al termine di un pesante periodo postiniziatico di marginalità (il kabido), avranno appreso a comportarsi nei modi socialmente prescritti. «La maturità si paga e ce la si deve guadagnare»: è ‘pagando’ gli anziani in cambio dei loro insegnamenti, secondo la logica del n’obítr kusina, che si diverrà kassuká, uomini adulti, ragionevoli, sobri negli abiti come nel comportamento, responsabili verso la famiglia e la comunità.
Il karo per il momento può istituire con le sue amanti solo relazioni temporanee (eshoní), che non prevedono la coabitazione dei partner. Durante il periodo dell’iniziazione verrà definitivamente posto termine a questi legami e nessuna delle amanti precedenti potrà diventare sua sposa in un futuro matrimonio koneió. Avere molti rapporti eshoní costituisce motivo di vanto: spesso le braccia del karo sono ornate con anelli di ferro, ottenuti dal martellamento di lattine di Coca Cola, che indicano il numero delle sue amanti. Il karo riveste infatti tutti i caratteri della seduzione maschile: si suppone sia forte, coraggioso, bello, abile nella danza e nel canto. Anche la prolificità è un elemento importante: la potenza generativa e sessuale rientra in un sistema di valori che premia la valenza fisica. Per quanto anche i n’aro paghino per la loro ‘istruzione’ con pesanti prestazioni di lavoro, tuttavia l’autorità degli anziani viene da loro spesso messa in discussione: abbiamo già accennato alle frequenti fughe verso la capitale in cerca di fortuna e alla loro difficoltà di controllarsi, seguendo la direzione indicata nei ‘consigli’.
Le caratteristiche fondamentali di questo grado d’età vengono espresse in modo emblematico nell’eraké ia n’aro. Benché in questo spettacolo siano coinvolti come musicisti e nel coro tutti i giovani n’aro, tuttavia solo uno di loro, scelto per le sue qualità artistiche, svolge il ruolo principale di danzatore e cantante solista. Il ballerino indossa maschere realistiche e suggestive che rappresentano pericolosi animali marini (squalo, pesce martello, pesce sega) e terrestri (toro, vacca, ippopotamo, bufalo, zebù, antilope), in atteggiamenti aggressivi e di attacco: i suoi passi sono rapidi e tumultuosi mentre avanza tra i compagni in una nuvola di polvere, scalciando furiosamente e muovendo rapidamente il capo mascherato da una parte all’altra, minacciando il pubblico. Di tanto in tanto si arresta e, rivolgendosi agli spettatori, intona con voce stentorea canzoni d’amore e di morte, di solitudine e lacrime per donne perdute, mentre gli altri n’aro rispondono in coro. I testi di queste canzoni sembrano poco coerenti con lo stile della danza e con i simboli messi in gioco durante l’eraké: in contrasto con i caratteri di selvatichezza, forza e animalità, i canti dei n’aro esprimono poeticamente paura, sofferenza, solitudine. Se interpretiamo semplicisticamente l’eraké ia n’aro come una rappresentazione dello stato pre-sociale, della condizione di animalità ed esteriorità rispetto al contesto civile propria dei non iniziati, come rendere conto allora della sensibilità e della ricercatezza dei testi delle loro canzoni? Gli atteggiamenti ferini del karo non sono in aperta contraddizione con i sentimenti che egli esprime nelle sue canzoni, come il dolore per la perdita o la paura dell’abbandono?
Le risposte dei miei interlocutori locali a questo quesito hanno messo in luce che la ‘selvatichezza’ del karo non è affatto inconciliabile con la pubblica espressione delle sue sofferenze: tanto la veemenza animale della danza quanto la definitiva resa all’impeto dei propri pensieri-sentimenti del canto, si situano ai margini della morale del controllo. I due momenti della performance del karo rappresentano infatti rispettivamente i pericoli dell’assenza e dell’eccesso di n’atribá. Il suo atteggiamento selvaggio esprime la mancanza di pensieri-sentimenti ‘umani’: è il corpo lasciato privo di n’atribá, non socializzato e per questo accostato simbolicamente all’animale feroce, dominato esclusivamente da istinti. La disperazione e il tormento che emergono dai testi delle canzoni sono invece il risultato di un eccesso di n’atribá: essere preoccupati o confusi (n’oríbiribík ta bú, letteralmente ‘parlare in modo confuso nella testa’), è una condizione considerata propria di chi ancora non ‘cammina lentamente con gli anziani’ verso il raggiungimento del giusto equilibrio. L’assenza di n’atribá comporta mancanza di umanità, così come la crescita eccessiva e incontrollata di alcuni pensieri-sentimenti provoca follia, malattia, conflitto e morte.
Per quanto la pubblica espressione di n’atribá pericolosi sia in contraddizione con l’etica del controllo, l’eraké costituisce un ambito specifico e delimitato nel quale la manifestazione poetica e metaforica di tali sentimenti viene invece consentita e approvata. Per quale ragione questa performance non solo viene permessa, ma non rovina la reputazione di coloro che la eseguono, ricevendo anzi l’ammirazione e il plauso dell’intera comunità? A questa domanda cercheremo di rispondere analizzando alcuni testi di M’Bene, del villaggio di Bijante dell’isola di Bubaque, e di Cavalero, del villaggio di Angumba dell’isola di Canhabaque. M’Bene e Cavalero sono infatti i due autori più celebri dell’arcipelago e le loro canzoni fanno parte del repertorio di tutti i n’aro di Bubaque.

2. Il «kundere»

Il termine kundere indica il ritmo, la danza e il canto delle n’ampuni, le ragazze non sposate: si tratta di una performance pubblica nella quale le giovani, disposte in una lunga fila, danzano a piccoli passi formando un ampio cerchio. Alle caviglie delle danzatrici, risuonatori di noccioli di mango ripieni di chicchi di riso segnano il tempo di base, mentre altre ragazze es...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Ringraziamenti
  3. Capitolo primo Percorsi
  4. Capitolo secondo Tu chiamale se vuoi... emozioni
  5. Capitolo terzo L’arte del vivere sociale e i sentimenti morali
  6. Capitolo quarto I pericoli della perdita del controllo
  7. Capitolo quinto Le donne, gli «iarebok», la morte, il dolore
  8. Appendice25
  9. Capitolo sesto «Sveglierò gli uccelli della foresta grande al sorgere del sole». Cantando d’amore e morte
  10. Glossario
  11. Bibliografia