Modelli di giornalismo
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Modelli di giornalismo

Mass media e politica nelle democrazie occidentali

  1. 318 pagine
  2. Italian
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Mass media e politica nelle democrazie occidentali

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C'è un unico modello professionale di giornalismo o se ne possono individuare diversi a seconda dei vari contesti politici? Un'indagine comparativa tra le democrazie liberali dell'Europa occidentale e del Nordamerica, sulle interrelazioni tra sistemi politici e sistemi di comunicazione e sulle loro conseguenze per la vita democratica.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858119167

1. Perché questo libro?

«Molto semplicemente – scrivono Siebert, Peterson e Schramm (1956, p. 1) in Four Theories of the Press – la domanda dietro questo libro è, perché la stampa è così com’è? Perché apparentemente serve a scopi così diversi e appare in forme così differenti nei diversi paesi? Perché, per esempio, la stampa dell’Unione Sovietica è così diversa dalla nostra, e la stampa argentina così differente da quella della Gran Bretagna?».
Quasi mezzo secolo dopo, il campo della comunicazione ha compiuto progressi limitati nei confronti di questo tipo di domanda. Benché siano stati fatti tentativi, in particolare fino agli anni Settanta, per incrementare l’analisi comparativa, questa tradizione di ricerca rimane ancora ai suoi inizi1. In questo libro cercheremo di presentare alcuni tentativi di risposta ai quesiti posti da Siebert, Peterson e Schramm, anche se ci si limiterà alle democrazie liberali dell’Europa occidentale e del Nordamerica. Tenteremo di identificare le maggiori variazioni sviluppatesi nelle democrazie occidentali nella struttura e nel ruolo politico dei mezzi di comunicazione, e proporremo alcune idee per spiegare queste variazioni con l’obiettivo di valutarne le conseguenze per la vita democratica. L’attenzione sarà in particolare focalizzata sull’informazione giornalistica, anche se le osservazioni proposte sono valide per l’intero sistema della comunicazione di massa. Anche a livello terminologico spesso useremo in modo interscambiabile le due dizioni: informazione giornalistica e comunicazione di massa.

Perché l’analisi comparativa?

Vale la pena di soffermarsi per un momento su una delle intuizioni più importanti di Siebert, Peterson e Schramm: l’idea, cioè, che se ci poniamo questo tipo di domanda – «Perché la stampa è così com’è?» – dobbiamo indirizzarci verso l’analisi comparativa. Il ruolo dell’analisi comparativa nella teoria sociale può essere compreso in termini di due funzioni principali: innanzitutto il suo ruolo nella formazione concettuale e nella spiegazione, e, secondo, il suo ruolo nell’inferenza causale2.
L’analisi comparativa è fondamentale, in primo luogo, nell’investigazione sociale poiché ci porta a comprendere la variazione e la somiglianza. Gran parte della letteratura sui media è fortemente etnocentrica, nel senso che si riferisce all’esperienza di un singolo paese, descritta in termini generali, come se il modello prevalente in quel paese fosse universale. Questo, almeno, è vero nei contesti in cui lo studio dei mass media è più avanzato, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Francia, Germania. Nei paesi con tradizioni di ricerca sui media meno avanzate, emerge invece la propensione a prendere in prestito la letteratura di altri paesi, solitamente quella anglo-americana o francese, e a trattare questa letteratura «importata» come se potesse essere applicata ovunque senza problemi. Crediamo che una simile impostazione abbia portato i ricercatori sui media persino più indietro rispetto alla domanda «Perché i media sono fatti così?».
Aspetti importanti dei sistemi massmediali sono assunti come «naturali», o in alcuni casi sono così comuni da non essere affatto percepiti. Poiché questo «snatura» un sistema di comunicazione che ci è così comune, la comparazione ci spinge a concettualizzare più chiaramente quali aspetti di quel sistema richiedano effettivamente una spiegazione. In questo senso l’analisi comparativa, come affermano Blumler e Gurevitch (1995, p. 76), ha la «capacità di rendere visibile l’invisibile», di focalizzare la nostra attenzione su aspetti di un qualsiasi sistema di comunicazione, incluso il nostro, che «possono essere dati per scontati e difficili da individuare quando l’attenzione è posta solo su un caso nazionale». Il lavoro comparativo dei due autori del presente volume è iniziato esattamente con questo tipo di intuizione: confrontare le notizie televisive statunitensi e italiane dei primi anni Ottanta. Modelli familiari nella costruzione delle notizie, che avevamo considerato in qualche misura la forma naturale delle notizie televisive, si sono rivelati il prodotto di un particolare sistema, e siamo stati costretti a considerare e a spiegare molte cose che avevamo tralasciato, per esempio il carattere altamente interpretativo delle notizie televisive americane paragonate a quelle italiane, un tratto che contraddice le comuni supposizioni sul giornalismo «obiettivo» del sistema americano (Hallin, Mancini, 1984).
L’analisi comparativa rende possibile cogliere cose che non avevamo notato e quindi concettualizzato, e ci conduce anche a chiarire lo scopo e l’applicabilità dei concetti che impieghiamo: studi comparativi come quello di Bendix (1963, p. 535) ci portano a «fornire una verifica importante alle generalizzazioni implicite» delle nostre idee e ci spingono a chiarire i limiti della loro applicazione.
Se la comparazione può sensibilizzarci alla variazione, può sensibilizzarci altresì alla somiglianza, e anche questo può spingerci a riflettere più chiaramente su come potremmo spiegare i sistemi di comunicazione. Negli Stati Uniti, per esempio, la copertura mediale dei politici è diventata sempre più negativa da qualche decennio a questa parte. Questo cambiamento di solito viene spiegato con riferimento a eventi quali il Vietnam e il Watergate, come pure alle innovazioni nella condotta delle campagne elettorali. Tale tendenza, a ogni modo, non è unica degli Stati Uniti, anzi è rintracciabile dappertutto nelle democrazie occidentali; la generalizzazione di questo cambiamento sembra certamente suggerire che i particolari eventi storici interni agli Stati Uniti non forniscono una spiegazione adeguata. L’analisi comparativa, in altre parole, può proteggere da false generalizzazioni, come dice Bendix, ma può anche incoraggiarci a spostarci dalle spiegazioni particolari a quelle più generali quando sia opportuno.
È ovvio che l’analisi comparativa non comporta automaticamente questi benefici. Essa infatti può continuare a essere etnocentrica, imponendo ai diversi sistemi una struttura che riflette il punto di vista di uno soltanto di essi. È il caso di Four Theories of the Press che dà l’impressione di essere uno studio comparativo ma non è in effetti basato sull’analisi comparativa. Argomenteremo successivamente in questo capitolo come questo problema sia stato esasperato nel campo degli studi sulla comunicazione dal carattere fortemente normativo di gran parte della teoria. Il metodo comparativo, a ogni modo, fornisce una base per la critica sistematica di tutti quegli studi che si basano essenzialmente sulla ipergeneralizzazione e sulla ristrettezza concettuale.
La seconda ragione per cui la comparazione è importante nell’investigazione sociale è che consente in molti casi di verificare le ipotesi sulle interrelazioni tra i fenomeni sociali. «Abbiamo solo un modo per dimostrare che un fenomeno sia la causa di un altro: consiste nel confrontare i casi dove sono simultaneamente presenti o assenti», scrive Émile Durkheim (1982) nelle Regole del metodo sociologico. Questo è diventato lo standard metodologico in gran parte delle scienze sociali, in modo particolare tra quelle interessate all’analisi dei fenomeni sociali a livello di sistema, in cui la variazione spesso non è riscontrabile con lo studio su un solo paese. Si è sviluppato un vivace dibattito epistemologico intorno allo sforzo di trovare «regole sociologiche» nel senso durkheimiano. Alcuni sostengono che la teoria sociale dovrebbe seguire le scienze naturali nella ricerca di leggi che sono «sempre e ovunque valide», altri che le generalizzazioni della teoria sociale sono necessariamente relative a sistemi particolari e a contesti storici precisi. Gli uni credono che la spiegazione richieda una chiara identificazione di causa ed effetto, variabili «dipendente» e «indipendente», altri ragionano in termini di modelli di coevoluzione dei fenomeni sociali che potrebbero essere non sempre separati in causa ed effetto.
Per molti anni la ricerca empirica sulla comunicazione è rimasta quasi sinonimo del paradigma degli effetti dei media che si riferiva non tanto a strutture mediali più vaste quanto piuttosto a effetti di particolari messaggi sulle attitudini e i convincimenti individuali. Questa può essere una delle ragioni per cui l’uso sistematico dell’analisi comparativa si è sviluppato lentamente. Noi crediamo, comunque, che non sia necessario ricorrere a forti legittimazioni dell’assimilazione fra scienze naturali e sociali per apprezzare l’utilità dell’analisi comparativa nella classificazione delle relazioni tra sistemi dei media e loro scenario politico e sociale.
Per fare un esempio, Jeffrey Alexander, in un tentativo inusuale e molto interessante di offrire un quadro comparativo per l’analisi dell’informazione giornalistica, pone la questione di come spiegare la particolare solidità dell’autonomia giornalistica negli Stati Uniti. L’interpretazione che egli propone parte dal presupposto che «è estremamente significativo che nessun giornale dei lavoratori legato ai partiti della classe operaia sia emerso su grande scala negli Stati Uniti» (Alexander, 1981, p. 31). Egli continua confrontando la storia della stampa statunitense con quelle francese e britannica, e avanza la tesi per cui l’assenza di una stampa operaia negli Stati Uniti spieghi lo sviluppo di una professionalizzazione autonoma. Parleremo dell’importanza del quadro teorico di Alexander in modo dettagliato nei capitoli seguenti. Per quello che riguarda la particolare ipotesi sulla stampa operaia, l’analisi comparativa ci permette facilmente di respingerla una volta che si vada oltre il paragone tra Stati Uniti e Francia: ci sono molti casi in Europa dove forte stampa operaia e forte autonomia professionale dei giornalisti si sviluppano parallelamente. Vedremo che questo modello è tipico di gran parte dell’Europa settentrionale.
L’uso dell’analisi comparativa per l’inferenza causale, come si può notare, appartiene a uno stadio relativamente avanzato nel processo di analisi. Il nostro stesso studio è in primo luogo un’esplorazione di definizioni in quanto useremo l’analisi comparativa essenzialmente per soddisfare il primo tipo di obiettivi, cioè per la spiegazione concettuale e lo sviluppo della teoria. Ce ne serviremo di meno per la prova delle ipotesi e l’inferenza causale.
Il nostro intento con questo volume è sviluppare un quadro di riferimento per la comparazione dei sistemi d’informazione giornalistica in particolare e di quelli mediali più in generale e quindi proporre una serie di ipotesi su come questi sistemi siano legati strutturalmente e storicamente allo sviluppo del sistema politico. Non possiamo però affermare di aver pienamente verificato queste ipotesi, in parte a causa di forti limiti nei dati disponibili.
Come sarà emerso in modo chiaro da quanto detto fin qui, l’analisi comparativa, soprattutto se sintetica e sommaria come quella che stiamo tentando di applicare in questo volume, può condurre a risultati molto interessanti, ma è certamente difficile da realizzare, specialmente quando il campo d’indagine non sia stato in precedenza oggetto di altri studi comparativi. È rischioso fare delle generalizzazioni quando si parla di tante nazioni i cui sistemi d’informazione, storie e culture politiche non possiamo conoscere con lo stesso livello di approfondimento. Questo è anche uno dei motivi per cui abbiamo intrapreso il nostro progetto come collaborazione tra un americano e un italiano. Ci si potrebbe chiedere perché non abbiamo tentato di organizzare una collaborazione più vasta. Ci sono, ovviamente, molte difficoltà pratiche in un’impresa del genere, ma la ragione fondamentale è che il nostro proposito in questo libro consiste nel produrre un quadro teorico complessivo convincente, o almeno nel provarci. Al contrario, le collaborazioni internazionali nel nostro campo spesso hanno finito per ridursi al minimo comune denominatore in termini di teoria, o per lasciare irrisolte le differenze teoriche. Speriamo che gli studiosi troveranno i nostri ragionamenti generali abbastanza interessanti da perdonare errori occasionali o mancanza di precisione in rapporto a casi particolari. Nella ricerca comparativa, gran parte della collaborazione è ovviamente indiretta. Il nostro studio è basato su un corpo di indagini in Europa e Nordamerica che tende a diventare sempre più importante. Auspichiamo che i molti altri ricercatori impegnati in indagini simili svilupperanno ulteriormente le idee da noi proposte in questo volume.

Finalità dello studio

Questo studio riguarda i sistemi di comunicazione di Stati Uniti, Canada e gran parte dell’Europa occidentale, esclusi paesi molto piccoli (per esempio il Lussemburgo, dove la maggioranza dei mezzi d’informazione è indirizzata al pubblico dei paesi vicini). Esso si fonda sull’idea di un progetto di ricerca che definiremmo «sui sistemi più simili». Come sottolinea Lijphart (1971), una delle questioni più rilevanti nell’analisi comparativa è il problema di «molte variabili, pochi casi». Uno degli espedienti più utili per risolvere questo tipo di problema, nota l’autore, è focalizzare l’attenzione su una serie di casi relativamente paragonabili, in cui il numero delle variabili salienti sia ridotto. Un simile approccio ridurrà anche il numero dei casi; ma in un campo come quello della comunicazione, dove la letteratura attuale e i dati disponibili sono limitati, questo è spesso anche un beneficio, nel senso che è impossibile per gli analisti lavorare in modo competente su più di un certo numero di casi. Uno dei problemi di Four Theories of the Press, come si notava sopra, è che il campo che prende in esame è così vasto che diventa quasi inevitabilmente superficiale: come in una foto che ha troppo contrasto, i dettagli che avremmo bisogno di vedere rimangono oscurati3. Limitandoci al Nordamerica e all’Europa occidentale tratteremo di sistemi che hanno livelli di sviluppo economico relativamente paragonabili e molte cose in comune dal punto di vista della cultura e della storia politica. Questo è ovviamente un limite: i modelli qui elaborati non potranno essere applicati, se non con considerevoli adattamenti, a molte altre aree del mondo. Speriamo però che questi modelli possano essere utili agli studiosi di altri paesi come punti di riferimento in rapporto ad altri modelli che possono essere formulati. In più, naturalmente, i modelli d’informazione che prevalgono nell’Europa occidentale...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima Concetti e modelli
  3. 1. Perché questo libro?
  4. 2. Una proposta per l’analisi comparativa
  5. 3. Mass media e contesto politico
  6. 4. Tre modelli di giornalismo
  7. Parte seconda I tre modelli
  8. 5. Il modello mediterraneo o pluralista-polarizzato
  9. 6. Il modello dell’Europa centro-settentrionale o democratico-corporativo
  10. 7. Il modello nord-atlantico o liberale
  11. Parte terza Il futuro dei tre modelli
  12. 8. I punti di forza e i limitidell’omogeneizzazione
  13. Conclusioni
  14. Bibliografia