L’uomo e le forme della socialità
Avvertenza: le note di questo saggio sono volutamente brevi e vogliono semplicemente rimandare il lettore ai testi più autorevoli e alle posizioni più recenti sull’argomento. Per una bibliografia più dettagliata dei temi trattati si rimanda a M. Detienne e J.-P. Vernant (1979) di J. Svenbro, in P. Schmitt Pantel (1987) e O. Murray (1989 a).
L’uomo è un animale sociale. L’uomo greco è una creatura della polis: questo è il senso della famosa definizione dell’uomo data da Aristotele. L’uomo aristotelico è infatti «naturalmente politico» (Politica, 1, 1253a). Ma la definizione di Aristotele era formulata nel contesto di una teoria etico-biologica, nella quale, per essere pienamente umani, bisognava esercitare pienamente tutte le potenzialità inerenti alla natura umana, e nella quale una gerarchia morale privilegiava il pensiero sulle emozioni. Dunque la percezione della polis come la forma di organizzazione sociale in cui l’uomo poteva realizzare meglio le sue potenzialità, subordinava le esigenze religiose, familiari ed emotive al più alto ordine politico nel quale esse si inserivano, trovandovi il loro posto.
La storia degli studi della organizzazione sociale greca è tutta una lotta, più o meno consapevole, per sfuggire da questa visione aristotelica della società greca verso un’immagine che ridimensioni l’importanza di quel fenomeno unico nella storia che è la polis e tenda a «depoliticizzare» l’uomo greco, per individuare il legame fra le forme di organizzazione sociale di quella cultura e quelle di altre società del mondo antico. In sintesi, questa è la storia degli studi sulla città greca, da Fustel de Coulanges (1864) a oggi.
.Il rapporto che si instaura fra l’uomo e la società è sempre dinamico: ogni specifica età dell’uomo ha un passato e un futuro e non c’è un uomo greco, ma una successione di uomini greci, come ci spiega Burckhardt nel quarto volume della sua Storia della cultura greca. Seguendo il suo esempio, distinguerò quattro tipi ideali, ovvero quattro età dell’uomo greco: l’uomo dell’età eroica, l’uomo agonale, il politico, il cosmopolita. Tali grossolane classificazioni cronologiche non hanno ovviamente validità assoluta, ma sono necessarie per comprendere, attraverso un’analisi diacronica, i rapporti sincronici che sono alla base delle varie forme sociali. Disegnare gli sviluppi sociali attraverso i secoli significa falsificare la storia della cultura, privilegiando la causalità sulla funzione, ed enfatizzare la continuità significa ignorare le trasformazioni fondamentali che si verificano dietro lo schermo del linguaggio e delle istituzioni.
Forme sociali e commensalità
I fenomeni sociali possono essere studiati da una varietà di punti di vista, ma sarà forse utile presentarne subito il rapporto con l’economia. Dietro la facciata delle forme sociali ci sono i rapporti economici, espressi dalla diversa distribuzione dei beni. Un’analisi marxista guarderà alla struttura sociale e quindi alle relazioni sociali come a una conseguenza della lotta per assicurarsi una fetta più grande dei beni. Successivamente, alcuni studiosi hanno sottolineato l’abbondanza delle risorse naturali nelle società primitive e di conseguenza l’importanza di attività sociali come il dono, la festa, il lusso, l’esibizione della ricchezza davanti agli uomini e agli dei. In entrambi i casi il surplus, grande o piccolo, viene consumato per creare una struttura sociale, che sostiene poi le attività culturali, politiche e religiose della comunità: sono le forme della redistribuzione del surplus, attuata con l’esibizione della generosità o del potere, che strutturano la società.
Dato il ruolo primario della terra e dei suoi prodotti nel mondo antico, è proprio il surplus agricolo che viene più comunemente usato per strutturare la società e la relativa cultura. La sua redistribuzione, attuata nelle feste religiose, crea, grazie al suo preciso rituale, un modello sociale che poi permea anche gli altri rapporti di quella società. In particolare, certi prodotti piuttosto rari divengono simboli di status privilegiati; il banchetto è ritualizzato e serve a definire la comunità come un tutto, oppure una classe al suo interno. In Grecia i prodotti più carichi di significato sono la carne e il vino, riservati per occasioni speciali e consumati nel contesto di certi rituali.
La carne è cibo sacro, riservato agli dei e agli eroi di un’età passata. Viene consumata prevalentemente durante cerimonie religiose, in relazione al sacrificio in cui l’offerta viene bruciata: gli dei ricevono il profumo delle interiora, mentre gli uomini festeggiano insieme, mangiando le parti commestibili dell’animale appena ucciso e bollito per renderne tenere le carni. Tali occasioni non sono rare; si tratta di ricorrenze comuni regolate da un complesso calendario delle festività. La loro funzione è quella di manifestare il senso di appartenenza del gruppo a una stessa comunità, accomunata in un’esperienza di piacere e di festa che include sia gli dei che gli uomini. L’adorazione degli dei è un momento di gioia e di sollievo dalla fatica che normalmente coinvolge tutta la comunità o una sua parte (come gli adolescenti o le donne) e che a volte arriva ad aprire le porte anche agli stranieri o agli schiavi. L’alcool è soprattutto una droga sociale, il cui rituale è collegato o al rafforzamento dei legami di un gruppo chiuso, o allo sfogo catartico di tensioni sociali in una sorta di carnevale della permissività. Il potere del vino e la necessità di esercitare un controllo sociale sul suo uso sono ben chiari alla cultura greca.
Il barbaro indulge a un consumo alcolico disordinato ed eccessivo; l’uomo greco, al contrario, si definisce proprio attraverso il consumo ritualizzato del vino che viene bevuto solo diluito con acqua e all’interno di uno specifico contesto sociale. Per ragioni che illustreremo in seguito, il vino mette in moto certi meccanismi che portano alla creazione di piccoli gruppi specializzati con funzione bellica, politica o edonistica. L’uso del vino come strumento di liberazione è meno comune, ma certamente ricorre in vari rituali connessi con Dioniso. Le donne, escluse dal consumo del vino in contesti comunitari e perciò descritte come dedite a un bere segreto e non strutturato, adoravano Dioniso in rituali nei quali ogni regola veniva messa da parte: la vittima sacrificale non veniva uccisa con il coltello ma fatta a pezzi, e divorata cruda anziché arrostita o bollita, mentre il vino, puro, veniva consumato nel disordine. Ma questa non era un’espressione di socializzazione, era piuttosto una liberazione delle tensioni create dagli stessi rituali sociali.
Dallo studio della cultura greca si può facilmente ricavare l’importanza della commensalità e dei rituali connessi con il mangiare e il bere. Da Omero in poi la poesia è sempre stata parte integrante del banchetto, soprattutto del suo sviluppo arcaico, il simposio. Per quanto riguarda l’accompagnamento musicale, il metro e il soggetto, la poesia greca antica va analizzata in relazione al luogo di rappresentazione, che è la festa religiosa per la lirica corale, ballata e cantata da gruppi di fanciulli o giovinette, oppure il circolo aristocratico riunito in occasione di libagioni per l’elegia e la lirica monodica. La ceramica greca e la pittura vascolare servivano soprattutto a soddisfare le esigenze di tali gruppi; forme e decorazione riflettono gli stessi interessi sociali espressi dalla poesia arcaica. L’ordinamento della commensalità pubblica e privata nei periodi arcaico e classico con il suo corpus di regole e privilegi scritti in forma di leggi o decreti rivela come fosse importante la commensalità nelle attività di tali associazioni. Più tardi lo sviluppo di una letteratura filosofica della commensalità nel mondo classico e postclassico ha creato una visione idealizzata di un’istituzione sociale, forse non più così centrale come era stata in passato, ma che continuava a essere abbastanza tipica della cultura greca da attrarre l’interesse di scrittori di cose antiche del periodo ellenistico e romano. I Deipnosofisti di Ateneo, vera enciclopedia della commensalità greca della fine del II sec. a.C., raffigurano il proprio oggetto rappresentandolo come una conversazione a un deipnon, nel quale i contenuti sono ordinati a seconda delle attività degli immaginari convitati.
L’uomo dell’età eroica
Nei poemi omerici il mondo è strutturato attorno ai riti di commensalità. Le caratteristiche essenziali della casa di un basilèus eroico sono il mègaron, o sala dei banchetti, e il magazzino, dove si conserva il surplus della produzione, per utilizzarlo in caso di feste o per farne dono a ospiti della stessa classe sociale del basilèus. Ulisse travestito dice di riconoscere la sua casa dall’uso che ne viene fatto per attività sociali connesse alla commensalità: «Molti uomini vedo che in essa stanno / a banchetto, perché un fumo vi aleggia, e vi risuona / la cetra, che gli dei hanno fatto compagna del pasto» (Odissea, 17, 269-71). Il basilèus intrattiene i membri della sua classe con «banchetti d’onore», e con tali mezzi egli acquisisce autorità e prestigio in un mondo in cui si lotta per l’onore. Il gruppo così individuato è un gruppo di guerrieri, il cui status si esprime, e la cui coesione si mantiene, proprio attraverso il banchetto. In un certo senso esso rimane rito sociale, connesso con i processi di autoidentificazione e di formazione da parte di un’élite aristocratica; ma questa élite è anche la classe dei guerrieri, la cui funzione è quella di proteggere la società.
I «racconti mendaci» di Ulisse, così come le metafore omeriche, sono forse più veritieri della narrativa in cui sono inseriti, poiché (in quanto scrittura di secondo grado) vogliono ricordare al pubblico la sua stessa esperienza. La relazione reciproca fra il banchetto e l’attività militare, sia pubblica che privata, è descritta bene nel racconto che Ulisse fa della sua vita di figlio...