La società digitale
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La società digitale

  1. 208 pagine
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La società digitale

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Come ha fatto Internet a svilupparsi tanto negli ultimi dieci anni, senza alcun governo e alcun coordinamento? Che cosa succede quando centinaia di milioni di persone hanno a disposizione una grande infrastruttura di comunicazione per scambiarsi conoscenza e organizzarsi tra loro? La tecnologia ci ha trasformati in cittadini che vivono in un doppio sistema di regole: quello dello Stato e quello dello spazio condiviso della società digitale. Oltre un miliardo di individui connessi tra loro stanno rapidamente delineando nuovi equilibri globali e una vera metamorfosi del sistema di valori, idee, identità culturali, politiche, sociali. Con alcune costanti, che ci permettono di intuire la direzione che stiamo prendendo.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788858102169

Capitolo 1. Sistema operativo

Alexis de Tocqueville fu il primo ad assimilare la grammatica della stampa
e della tipografia. Riuscì a decifrare il messaggio dei mutamenti che stavano per avvenire in Francia e in America come se lo leggesse ad alta voce su un testo che aveva sottomano. [...] In Inghilterra invece la forza delle antiche tradizioni orali della common law era tale che l’uniformità e la continuità della nuova cultura visiva della stampa non potevano prendere
il sopravvento. Di conseguenza l’avvenimento più importante della storia inglese non si è mai verificato: non c’è
mai stata, cioè, una rivoluzione inglese sulle linee della francese.
Marshall McLuhan

Internet, il sistema operativo della società digitale

Walter Trevis, professore di letteratura inglese all’Università dell’Ohio, nel 1958 scrisse un raccontino di fantascienza intitolato The Big Bounce, il grande rimbalzo. La storia, che si sviluppa in poche pagine, racconta del ten­tativo di realizzare una gomma da cancellare che non consu­masse la carta per sfregamento. Ma qualcosa va storto e la gomma dimostra di avere una proprietà particolare: assor­be energia durante i rimbalzi e quindi la utilizza per ge­nerare moto e saltare sempre più in alto. In un paio di battute, i protagonisti fantasticano su un motore che utilizzi quella palla per la propulsione e su come una simile scoperta potrebbe rivoluzionare il mondo, portando persino l’irrigazione nei deserti. Sono poche righe: il resto del racconto narra l’inseguimento della pallina, sfuggita al controllo.
Si tratta di un ottimo esempio di racconto di science-fiction: l’autore costruisce un mondo dalla fisica perfettamente credibile, modificando solo «un particolare», in questo caso la seconda legge della termodinamica, secondo cui il moto consuma energia. Ma si tratta anche di un ottimo esempio di come il cambiamento generale possa nascere da piccole scoperte, spesso casuali o comunque mirate alla soluzione di qualche altro piccolo problema. Nel racconto, i due professori pensano di utilizzare direttamente la palla all’interno di motori. La scienza, successi­vamente, ne avrebbe astratto e decodificato i principi molecolari, disegnando chissà quale mondo futuro.
Nel panorama della socialità umana, governata dalle regole che consentono lo scambio di informazioni tra individui, si sta realizzando uno «scarto» simile, la cui portata ancora non possiamo comprendere del tutto. C’è stato un improvviso aumento di scala nella capacità di trasmettere, archiviare e ricercare informazioni. Un enorme motore di interpretazione e di costruzione di significati sta percorrendo il mondo e le società in tutti i loro settori. Modificandoli dall’interno.
Dopo decenni di sviluppo, prima delle infrastrutture fisiche, poi delle applicazioni software (il Web, i motori di ricerca), Internet negli ultimi anni è arrivata ad una prima maturità, alla completezza di funzionamento che nei primi anni Novanta aveva immaginato Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web. Con i weblog la Grande Rete è diventata un ambiente in cui «pubblicare» è facile come leggere, marcando in maniera definitiva il passaggio dall’era dei media di massa all’era del medium per le masse. Ma non solo. I weblog hanno fornito un punto di identità preciso agli individui, permettendo uno sviluppo più rapido e stabile delle relazioni tra milioni di persone. Era il tassello che mancava.
Da un punto di vista meramente funzionale è «sempre» stato relativamente facile pubblicare sul Web. I fornitori di accesso hanno realizzato sin dai primi anni del Web piccole applicazioni (chiamate Content Manager System) che consentivano ai loro clienti di aggiornare i propri siti semplicemente scrivendo il testo. All’applicazione, al sistema di gestione dei contenuti, spettava il compito di formattar­lo in base a un set di regole e di pubblicarlo sul Web. Tuttavia, su numeri ristretti, si trattava solo di una soluzione tecnica a un problema tecnico.
Verso la fine degli anni Novanta i ragazzi di Pitas.com, un gruppo di sviluppatori, ebbero l’idea di realizzare uno di questi sistemi e di metterlo a disposizione, gratuitamente, del grande pubblico. In breve molti altri (individui, aziende, centri di comunicazione) seguirono l’esempio. Oggi è impossibile dare numeri precisi, ma si sa che ­alcune decine di milioni di individui nel mondo usano questi servizi e dispongono di un canale personale di pubblicazione, che consente la distribuzione di testi, audio e video. Ma i dati di stock non sono interessanti come quelli di flusso: le ultime ricerche indicano che si aggiunge un nuovo individuo ogni secondo1. E benché si tratti di dati «calcolati», servono bene a fotografare una tendenza. Ma più ancora vale la considerazione della «possibilità»: oggi ogni individuo può disporre di un suo canale di ­comunicazione pubblico, a costi effettivamente molto bassi (ovvero quelli di accesso alla Rete).
La storia della diffusione di queste applicazioni non basta a ricostruire il valore complessivo che noi oggi diamo al loro nome («weblog» o «blog», nella sua forma contratta). Le scienze sociali, ma anche il buonsenso, ci insegnano che «nessun oggetto, nessuna cosa, ha esistenza o rilievo nella società umana se non per il significato che gli uomini possono dare loro»2. Infatti ciò che caratterizza, in una cultura, i pantaloni come indumenti maschili o le gonne come indumenti femminili non deriva affatto dalle caratteristiche funzionali o produttive del capo di abbigliamento.
La «storia dei weblog», dunque, non si completa con l’esame della soluzione tecnica e della sua diffusione. I weblog hanno messo a sistema Internet, popolando in maniera definitiva3 quella che prima era una infrastruttura di comunicazione e rendendola un’applicazione sociale. Attraverso il «punto di presenza personale», milioni di individui hanno cominciato ad influire sull’organizzazione della Rete e ad utilizzarla come «il sistema operativo» della società digitale.

La società che si disegna dal basso

Oggi siamo testimoni di una trasformazione in tutti i settori della società. Ma si tratta di una trasformazione che, per la prima volta nella storia umana, non nasce dall’alto o dai poteri forti, non nasce per volontà di pochi o sotto la guida di chi ha risorse e mezzi per investire. Tutte le grandi «ere» che gli storici della società utilizzano per scandire i tempi della civiltà sono sempre state avviate da menti geniali (pensiamo alla follia di Cristoforo Colombo o al coraggio di Einstein) o da grandi mezzi e grande potere. La tecnologia ha sempre inciso nel determinare gli assetti sociali: per fare pochi esempi, la capacità di produzione di sostentamento ha favorito la rinascita delle città in Europa nel Medioevo, la macchina a vapore ha consentito la nascita delle industrie, i mezzi di comunicazione di massa hanno disegnato la società dei consumi. Ma la società lati­fondista non è stata un progetto dei contadini, la rivoluzio­ne industriale non è stata certo un’idea degli operai e milioni di persone non hanno progettato il consumo di massa. Fino ad oggi le società sono state modificate dai grandi capitali, dal potere politico o dai poteri forti che volevano e imponevano il cambiamento.
La spinta dal basso che registriamo in questi anni, invece, avviene a diversi livelli. Il primo, potremmo definirlo come quello dell’architettura di funzionamento:
Tecnologicamente Internet non fa altro che spostare i bit dal punto A al punto B. Niente di più semplice. Internet non sa e non è interessata a sapere quale informazione è contenuta nei bit. Non sa se sono bit commerciali, bit religiosi o bit televisivi. A differenza della rete telefonica, Internet non offre servizi costruiti nella Rete. Si poteva anche prevedere vent’anni fa che Internet avrebbe avuto bisogno di un motore di ricerca. E si poteva disegnare Internet dotandola intrinsecamente di un sistema di ricerca. Invece chi ha disegnato Internet l’ha costruita in modo aperto, in modo tale che chiunque abbia l’idea di scrivere un’applicazione, la possa realizzare e rendere disponibile. Il risultato di questa decisione sul design della Rete è stato quello di fare dell’Internet il più grande mercato aperto per l’innovazione dall’invenzione del foglio di carta bianco.
[...] Non abbiamo ancora finito di inventare tutto quello che si può fare con questo regalo della storia. Non dobbiamo chiedere il permesso a nessuno per connetterci ad Internet e per implementare un’idea: chiunque può inventare nuovi servizi e metterli a disposizione di chiunque altro. L’innovazione fiorisce – e il futuro arriva – proprio a causa del fatto che Internet manca di funzionalità preconfezionate4.
Sebbene lo stesso sviluppo delle tecnologie elettroniche negli ultimi trent’anni del secolo scorso sia il risultato di ricerche e investimenti partiti da grandi gruppi imprenditoriali (in parte persino da organizzazioni militari), oggi Internet sostituisce le gerarchie con i network. Questa trasformazione è tanto una questione organizzativa quanto una questione culturale, perché c’è sempre un nesso pro­fondo tra il modo in cui i processi sociali sono organizzati e i valori di cui essi sono portatori.
Ma la spinta dal basso non avviene solo all’interno dell’architettura aperta della Rete. All’esterno, nel cosiddetto mondo unplugged, la diffusione delle tecnologie nel tessuto sociale si deve innanzitutto all’opera di ricerca e di divulgazione di milioni di persone. Anche all’interno delle aziende, soprattutto nelle piccole e medie imprese, che sono la quasi totalità del sistema produttivo italiano, l’innovazione è generalmente partita dai livelli inferiori e non dalla lungimiranza dell’imprenditore. Quasi sempre un collaboratore, un dipendente, ha portato «faticosamente» la tecnologia e le sue logiche all’interno dell’organizzazione, innescando un dialogo spesso doloroso (ma sempre produttivo) tra innovazione e tradizione. E come nelle imprese, la stessa cosa è successa nelle famiglie, nelle associazioni, nei circoli di amici. È innovazione che non nasce da ideologie (come il dualismo basso/alto potrebbe far pensare): piuttosto nasce dal passaparola e, spesso, dal «dono» del tempo di qualcuno che viene investito per insegnare a qualcun altro che c’è una possibilità diversa o per dimostrare a qualche scettico che qualcosa è possibile. I governi e i centri di potere inseguono faticosamente (o ancora non hanno cominciato ad inseguire) proprio perché la spinta, partendo dal basso, risale lentamente le gerarchie tradizionali. Partita dai geek, passata per gli individui più aperti e sensibili all’innovazione, la società digitale si è estesa ad un numero importante di cittadini. Dopo una fase di osservazione critica, oggi stanno entrando a farne parte i mediatori culturali e i livelli quadro dei ce...

Indice dei contenuti

  1. Nota dell’autore
  2. Prologo. Tecnologie della doppia cittadinanza
  3. Parte primaLa grammatica dei network
  4. Capitolo 1. Sistema operativo
  5. Capitolo 2. Network sociali
  6. Capitolo 3. Network che si danno una forma
  7. Parte secondaCose che cambiano
  8. Capitolo 4. Conoscenza
  9. Capitolo 5. Media
  10. Capitolo 6. Mercati
  11. Capitolo 7. Individui
  12. Capitolo 8. Politica
  13. Epilogo. Una nota e 95 tesi
  14. Bibliografia