La libertà dei servi
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La libertà dei servi

  1. 158 pagine
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La libertà dei servi

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Se essere cittadini liberi vuol dire non essere sottoposti a un potere enorme e assolvere i doveri civili, è evidente che gli italiani non possono dirsi liberi; ossia, sono sì liberi, ma liberi nel senso della libertà dei sudditi o dei servi.Gli italiani hanno dimostrato nei secoli una spiccata capacità di inventare sistemi politici e sociali senza precedenti. Anche la trasformazione di una repubblica in una grande corte è un esperimento mai tentato e mai riuscito prima. Rispetto alle corti dei secoli passati, quella che ha messo radici in Italia coinvolge non più poche centinaia, ma milioni di persone e le conseguenze sono le medesime: servilismo, adulazione, identificazione con il signore, preoccupazione ossessiva per le apparenze, arroganza, buffoni e cortigiane. Poiché il sistema di corte ha plasmato il costume diffondendo quasi ovunque la mentalità servile, il rimedio dovrà essere di necessità coerente alla natura del male, vale a dire riscoprire, o imparare, il mestiere di cittadini. Per quanto sia ardua, è la sola via. Il primo passo è capire il valore e la bellezza dei doveri civili.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858101360
Argomento
Economia

I segni della servitù

I servi si riconoscono per alcuni segni evidenti. Il primo, ci insegnano gli scrittori politici, è la paura. Chi vive sotto il potere arbitrario di un uomo non si sente sicuro, anche quando non è oppresso, perché sa che chi lo domina può togliergli la vita, o umiliarlo, o privarlo delle proprietà. Tiene gli occhi bassi, è incline alla menzogna e alla simulazione, e soprattutto è incapace di coraggio. Per contrasto, il segno distintivo della libertà politica è il sentimento della sicurezza intesa come assenza di timore. Nel magistrale ciclo pittorico di Ambrogio Lorenzetti nella Sala dei Nove nel Palazzo Pubblico di Siena (1339-1341), il timore sovrasta la città dominata dal tiranno, mentre la sicurezza campeggia sulla libera città. Il medesimo concetto si trova anche in Machiavelli: la “comune utilità che dal vivere libero si trae”, spiega, “è di potere godere liberamente le cose sue sanza alcuno sospetto, non dubitare dell’onore delle donne, di quel de’ figliuoli, non temere di sé”1. Sarà poi Montesquieu a inserire nell’opera classica del liberalismo moderno, lo Spirito delle leggi, il concetto che mentre il principio della tirannide è la paura, quello della repubblica è la tranquillità di spirito: “la libertà politica, in un cittadino, consiste in quella tranquillità di spirito che proviene dalla convinzione, che ciascuno ha, della propria sicurezza; e, perché questa libertà esista, bisogna che il governo sia organizzato in modo da impedire che un cittadino possa temere un altro cittadino”2.
Poiché non è una tirannide, né un governo dispotico, il potere di Berlusconi non si sostiene con la paura che instilla nei sudditi. Ha dimostrato di poter relegare ai margini le persone che lo combattono apertamente, e ricorre a dissuasive citazioni per danni da diffamazione contro chi lo accusa di gravi nefandezze. Ma in generale lascia la libertà di esprimere le proprie opinioni e di criticarlo. Si difende con l’immenso potere dei suoi mezzi di comunicazione, non con la repressione poliziesca. Più che impaurire vuole persuadere, oltre che comprare con i favori. Vuole essere insomma più amato che temuto, convinto, immagino, che in questo modo otterrà più fulgida gloria.
Accanto alla paura, un altro segno caratteristico della dipendenza è il servilismo, ovvero l’inclinazione a compia­cere un potente per ottenere o mantenere dei privilegi. Tiberio era appena salito al potere, narra Tacito, lo storico della Roma imperiale, e “a Roma era una corsa a superarsi nel servilismo” (ruere in servitium). Consoli, senatori, ­cavalieri, e i più illustri erano i più solleciti e i più ipocriti, con un’espressione studiata per non apparire lieti per la morte di Augusto o afflitti per l’inizio del nuovo regno, ­mescolavano lacrime, sorrisi, compianto e adulazione. Uno di loro, Valerio Messalla, arrivò al punto di proporre che “il giuramento di fedeltà a Tiberio venisse rinnovato ogni anno, e quando Tiberio gli chiese se avesse presentato la proposta dietro suggerimento rispose che nelle questioni riguardanti lo Stato seguiva soltanto la sua coscienza, ­anche se rischiava di urtare qualcuno”. Era questa, commenta Tacito, “l’unica forma di adulazione non ancora inventata”3.
L’esempio classico è stato tuttavia superato ai giorni nostri quando un consigliere comunale di Roma si è sentito in dovere di proporre di dedicare una strada o una piazza alla mamma di Silvio Berlusconi come riconoscimento “ad una persona semplice che grazie alla sua dedizione ha concorso a scrivere una pagina della nostra storia recente contribuendo alla decisione del figlio di scendere in campo. Una scelta questa condivisa in 16 anni da milioni di cittadini. È fondamentale infatti che non si perda il ricordo di quelle persone comuni che, con il loro coraggioso contributo quotidiano, hanno determinato una svolta del nostro paese”4. Nessuno, che io sappia, aveva mai pensato di dedicare una piazza o una via alla madre di Garibaldi, di Cavour, di Mazzini o di Carlo e Nello Rosselli, o a qualcun altro dei nostri grandi. Ma, come affermava il senatore sotto Tiberio, certe idee sgorgano dal comando imperioso della coscienza morale, certo non dal desiderio di compiacere il potente figlio.
Leggiamo ora alcune pagine del ministro della Cultura Sandro Bondi tenendo presente che la prima regola del buon adulatore è di proclamarsi amico e non adulatore: “I miei sentimenti sono autentici e non sono macchiati né dall’ipocrisia né dalla piaggeria. Il fatto di voler bene a Berlusconi non significa non avere una propria autonomia politica”. E ancora: “Il partito deve supportare ma non sostituirsi al leader. Faccio un esempio. Sul tema dell’aborto io ho preso un’iniziativa molto forte, accanto a Giuliano Ferrara. Ma Berlusconi ha dato libertà di coscienza e non voleva che Forza Italia avesse una linea troppo caratterizzata sui temi etico-morali. E allora ho fatto un passo indietro, modulando diversamente le mie posizioni, in modo che fossero compatibili con quelle di Berlusconi”. E infine: “Io non dico mai no a Berlusconi. Ma c’è sempre un confronto vero fra noi”.
La rivendicazione dell’autonomia di giudizio non attenua tuttavia la profonda identificazione interiore: “Lui mi dà del tu, io gli do del lei. Non riesco a dargli del tu. Però dentro il mio cuore il lei si trasforma in tu, in un sentimento che oltrepassa questa vita. Mi dà fastidio quando ci sono persone che lo conoscono appena e subito gli danno del tu e lo chiamano Silvio. Mi dà molto fastidio”. Accanto all’identificazione non può mancare la disponibilità al sacrificio: “Nei momenti di più aspra contrapposizione ideologica e politica fra la sinistra e Berlusconi io dovevo mettere il mio corpo in mezzo”. Né, s’intende, deve fare difetto l’esaltazione dell’ineguagliabile grandezza del signore: “Berlusconi ha fatto una cosa miracolosa, prodigiosa. In pochi mesi ha fondato un partito, ha sbaragliato la gioiosa macchina da guerra di Occhetto, ha vinto le elezioni ed è diventato premier. Una cosa che nessuno poteva immaginare. Aveva intuito che c’era un vuoto che si era determinato nella vita politica italiana dopo il crollo del muro di Berlino e soprattutto dopo Tangentopoli. Un vuoto che lui poteva colmare”; “la vita e la libertà sono due fissazioni che guidano l’azione di Berlusconi. Non so se conti di più la vita o la libertà... È assolutamente privo della capacità di odiare e di avere sentimenti negativi verso le persone. Anche verso quelle persone che gli hanno fatto del male... Ha una naturale predisposizione all’espansione della vita, a far leva sull’ironia, l’immaginazione, la fantasia”; “lui non è confrontabile con nessuno perché è un leader politico assolutamente nuovo e originale... può far pensare a Malagodi oppure a De Gasperi”5.
Un documento ancora più eloquente dello spirito servile che il potere enorme genera è la trascrizione della telefonata intercorsa fra Berlusconi e Agostino Saccà, direttore generale della rai e poi di Raifiction. Nonostante Berlusconi all’epoca non fosse presidente del Consiglio e guidasse l’opposizione al governo Prodi, Saccà gli dà del “lei”. Berlusconi usa invece il “tu”, tanto per chiarire le rispettive posizioni. Esauriti i preliminari, Saccà offre un pregevole esempio della tecnica di ingrandire la gloria del potente:
S: Presidente! Buonasera... come sta... Presidente...
B: Si sopravvive...
S: Eh... vabbè, ma alla grande, voglio dire, anche se tra difficoltà, cioè, io... lei è sempre più amato nel Paese...
B: Politicamente sul piano zero...
S: Sì.
B: ...Socialmente mi scambiano... mi hanno scambiato per il papa...
S: Appunto, dico, lei è amato proprio nel Paese, guardi glielo dico senza nessuna piangerìa [sic!]...
B: Sono fatto... oggetto di attenzione di cui sono indegno...
S: Eh... ma è stupendo, perché c’era un bisogno... c’è un vuoto... che... che lei copre anche emotivamente... cioè vuol dire... per cui la gente... proprio... è così... lo registriamo...
B: È una cosa imbarazzante...
S: Ma è bellissima, però6.
In televisione l’impegno dei giornalisti a celebrare il signore è particolarmente attento ed efficace. Il Tg1 del 12 aprile 2009, domenica di Pasqua, una settimana dopo il terremoto che ha colpito l’Aquila e alcuni paesi nei dintorni, è un documento della propensione dei giornalisti, anche quelli che non lavorano per Mediaset, a presentare i servizi in modo da esaltare le virtù del signore. Alle 20.22 la telecamera riprende in primo piano una signora sdentata che dice “Me so’ vergognata de guardà il Presidente... me so’ dovuta mette la mano davanti alla bocca... ho detto scusi non ce l’ho i denti...”; voce della giornalista Emma D’Aquino fuori campo: “Anna, 73 anni, è divenuta l’ambasciatrice di San Demetrio, paese distrutto dal terremoto. La sua storia inizia quando incontra il presidente del Consiglio Berlusconi”, continua la voce della giornalista, “sono tanti quelli che nel terremoto hanno perso tutto e all’uomo politico avanzano delle richieste. Lei a Berlusconi racconta come tanti altri anziani di aver perso la dentiera in quei momenti drammatici”. Ora la D’Aquino si rivolge direttamente alla signora Anna: “il Presidente che le ha risposto?”; Anna: “Eh ma poi io me so’ sentita un po’ emozionata, non ho sentito niente”. Evidentemente delusa dalla risposta vaga, la giornalista ne suggerisce all’anziana una migliore: “Le ha detto che la aiutava con i denti?”; “Sì, ha detto l’aiuto... ordino i dentisti, che ne so... ho sentito una cosa del genere però non ci ho dato peso, ecco... che non credevo che si riferisse a me...”. Incalza la giornalista: “E invece era proprio lei...” (scorrono immagini dei medici di fronte all’autoambulanza); “da Roma un gruppo di medici dell’Istituto Eastman le ha preparato in poche ore una protesi nuova di zecca...” (immagini dei medici che mettono la protesi nella bocca della signora Anna). La giornalista si rivolge ora al medico: “Ma com’è possibile che per fare una protesi ci vuole tanto tempo e qui la fate in un paio d’ore?”. Risponde Alberto Falconieri dell’Eastman: “Abbiamo messo in atto delle strategie che rendono la cosa possibile quando tutto è portato all’estremo...”. Si vede ora la signora Anna mentre si avvia ad entrare in una grande macchina nera di rappresentanza. “È pronta per incontrare il Presidente?”. Risposta di Anna: “Ma con questa macchina, ma che onore... andiamo, andiamo”.
Se anche non provvedessero i giornalisti, Berlusconi sarebbe perfettamente in grado di celebrarsi da solo. Sabato 8 agosto 2009 ha parlato per 47 minuti di fila alla conferenza stampa di bilancio dei primi 14 mesi di governo. Chiede – scherzando? – ai giornalisti se sono contenti delle nomine dei direttori “che ho fatto io”. Dice che nessun governo ha fatto in così poco tempo tutto quello che ha fatto il suo: Alitalia funziona, c’è la pace sociale e chi perde il lavoro ha sempre il sostegno dello Stato, per il terremoto dell’Aquila “dopo 4 minuti eravamo in pista e ora molti sono partiti in crociera, c’è una grande contentezza di tutti. Siamo avanti di tre giorni sul cronoprogramma. I cittadini avranno prati verdi, fiori, alberi di alto fusto, sculture in ogni giardino e nel frigo troveranno una torta, lo spumante e un biglietto beneaugurante. Nel letto ci saranno lenzuola cifrate”. Spiega che le case saranno realizzate a tempo di record, “anche grazie a un mio colpo di genio, derivante dalle mie esperienze di costruttore: spezzettare le commesse e introdurre tre turni di lavoro”. In politica estera Ber...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. La libertà dei servi e la libertà dei cittadini
  3. La corte
  4. I segni della servitù
  5. I presupposti della servitù
  6. La via della libertà