Diritto e religione
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Diritto e religione

  1. 336 pagine
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Diritto e religione

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Il diritto ecclesiastico, finora centrato sul rapporto fra Stato e religioni, deve oggi trovare risposte adeguate alle domande che emergono da un contesto sempre più multireligioso e multiculturale. Concordato, otto per mille, obiezioni di coscienza, insegnamento della religione, matrimonio fra persone dello stesso sesso, simboli religiosi, testamento biologico sono questioni che riguardano non solo le relazioni tra Stato e Chiese, ma anche la libertà delle coscienze e il diritto di ciascuno a essere se stesso. Questa nuova edizione, arricchita con aggiornamenti giurisprudenziali, normativi e bibliografici, propone un primo bilancio della gestione della contemporanea politica ecclesiastica italiana, collocandola nel più ampio spazio europeo.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858116463
Argomento
Diritto

1. «Diritto ecclesiastico» o «diritto e religione»?

1. Di che cosa parliamo?

Lo studio di ciascuna disciplina comporta la conoscenza preliminare degli aspetti terminologici che le sono propri. In genere bastano poche parole per illustrare un settore disciplinare. Non cercheremmo mai il racconto della nascita di Roma in un manuale di storia contemporanea. Se cercassimo lumi sulla disciplina del contratto non apriremmo un manuale di diritto penale, né frequenteremmo un corso di biologia molecolare per apprendere nozioni circa l’utilizzo di un computer. Non così nel nostro caso. Non è facile capire a prima vista cosa sia il diritto ecclesiastico. Non a caso da qualche tempo si discute se cambiargli nome e qualcuno propone di usare l’espressione diritto e religione, prendendola in prestito dall’anglosassone Law and Religion. La dizione «diritto ecclesiastico» si usa ormai solo in Italia. Anche in Spagna, dal 2010, si è cominciato a dire derecho y factor religioso. La questione non è meramente nominalistica. La ricerca di un nome più adatto esprime la necessità di rinnovare l’identità della disciplina, perciò riguarda direttamente i contenuti e, in parte, il metodo. Nelle università italiane si continua a usare l’espressione «diritto ecclesiastico» più per inerzia che per decisione. Fosse per me, la sostituirei senza indugio con «diritto e religione»: se non altro perché comunica meglio il contenuto di quanto ci apprestiamo a studiare10.
L’espressione «diritto ecclesiastico» evoca questioni religiose, ma si confonde spesso col diritto canonico, che è invece propriamente il diritto della Chiesa cattolica. Solo chi ha studiato Giurisprudenza (ma non sempre!) sa che diritto canonico e diritto ecclesiastico sono cose diverse. Confonderle è sbagliato: anche se l’errore è giustificabile, perché sopporta l’eredità di un passato in cui ecclesiastico connotava l’appartenenza alla sola Chiesa cattolica. Ancora oggi diciamo «ecclesiastici» per indicare il clero o i religiosi, e definiamo «ecclesiastiche» le faccende che hanno a che fare con la Chiesa. Del resto nel Medioevo lo jus ecclesiae coincideva col diritto canonico: un apparato normativo distinto dal diritto civile, ma che in connessione con questo costituiva quel diritto comune che reggeva la Respublica omnium christianorum. In quei tempi non si faceva troppa differenza; tutti i cives erano anche fideles e osservavano regole che miravano a raggiungere un unico obbiettivo comune: la salvezza ultraterrena dell’anima.
Col passare del tempo, però, le due espressioni hanno cominciato a marcare ambiti normativi diversi. La progressiva autonomia della sfera civile da quella religiosa ha provocato una graduale affermazione delle potestà e delle competenze civili in materie prima considerate di pertinenza ecclesiastica. Così il diritto canonico ha finito per contrassegnare solo le norme interne alla Chiesa cattolica, mentre il diritto ecclesiastico le norme dell’ordinamento civile relative alle questioni religiose. Per meglio chiarire questa differenza, nell’Ottocento si aggiungeva all’espressione «diritto ecclesiastico» l’aggettivo «civile», così si distingueva bene dal diritto ecclesiastico in senso stretto (ossia il diritto canonico)11.
Oggi quindi l’espressione «diritto ecclesiastico» si riferisce a norme statali e contraddistingue un ambito diverso sia dal diritto canonico sia dal diritto delle altre esperienze religiose. Anzi, per la sua origine storica rappresenta quasi un settore contrapposto rispetto a quello degli ordinamenti confessionali. Non a caso la produzione di norme civili in materie precedentemente affidate alla regolamentazione di autorità religiose risulta come una sorta di segnavia della costruzione dello Stato come entità autonoma. Lo Stato che conosciamo oggi è anche il risultato di un processo di secolarizzazione che gli ha consentito di separarsi dalla religione per regolare direttamente aspetti in precedenza riservati all’esperienza religiosa: si pensi alla scuola, all’assistenza sociale e sanitaria, al matrimonio, alle persone giuridiche ecc.12. La produzione di norme di diritto ecclesiastico si presenta per certi versi come una vera e propria apposizione di confini da parte dello Stato verso le Chiese13: per questo motivo esso vanta una forte impronta laica che, talvolta, ha avuto accenti di vero e proprio anticlericalismo. Torneremo su questi aspetti quando affronteremo il tema della laicità dello Stato.
Considerata quindi l’evoluzione storica, l’autonomia scientifica del diritto ecclesiastico è relativamente recente14. Come detto, risale all’Ottocento e nasce, pressoché contemporaneamente, in Italia e Germania: due contesti europei contraddistinti da una marcata presenza religiosa cristiana (cattolica la prima, protestan­te l’altra). I primi studiosi del diritto ecclesiastico furono ovviamente cultori di altre branche del diritto. Talvolta studiosi di diritto privato oppure di storia del diritto, che si dedicavano anche al diritto ecclesiastico. Questa circostanza rende ragione della perdurante interdisciplinarità della nostra materia, che non si riferisce ad un settore circoscritto dell’ordinamento, ma trova posto ogni volta che lo spazio giuridico si incontra con fattispecie religiosamente significative15. Per questa ragione l’ecclesiasticista, per far bene il suo lavoro, è obbligato a studiare teologia, storia, filosofia, e nel campo giuridico deve conoscere strumenti e concetti che altre discipline coltivano in modo più specifico. Non è facile possedere tutti gli strumenti necessari. Di questa necessità si fa però virtù: da una parte godiamo della ricchezza di stimoli che provengono da un ambiente culturale mai chiuso in se stesso; dall’altra tocchiamo spesso con mano la debolezza con cui il diritto trova soluzioni a vicende che vedono coinvolti aspetti etici e religiosi, intrecciati con la storia e la cultura di un popolo.
Lo studio del diritto ecclesiastico affascina proprio perché mette continuamente di fronte alla polarità fra diritto ed etica, fra legge e coscienza, fra cultura e religione. In modo particolare propone la tensione, che molti avvertono, fra il dovere di obbedire alla propria coscienza – talvolta orientata dal rispetto di norme confessionali – e l’obbligo di obbedienza alla legge civile. Tale è un po’ il sale di questa materia, perché, seppure in molti casi gli imperativi di coscienza coincidono con quelli giuridici, sovente appaiono in opposizione. Ne facciamo esperienza quotidianamente. Fino a non troppi anni fa vivevamo in società culturalmente omogenee, che quindi producevano norme non troppo distanti dal sentire comune. Il problema era semmai quello di garantire il diritto alla diversità proposto da minoranze per lo più ben identificate. Ma le attuali società multietniche appaiono contraddistinte da una forte diversità culturale e religiosa. Inoltre si è decisamente accentuato il senso della individualità personale, giungendo ad un pluralismo etico che propone continue, potenziali contraddizioni fra ciò che in coscienza può essere personalmente considerato giusto e ciò che, invece, è giusto secondo la legge.
Il terreno della bioetica esemplifica bene questa realtà: la legge può consentire l’aborto, che per le religioni è, viceversa, sempre ingiusto, oppure concedere il divorzio, che ad esempio i cattolici non ammettono. Talvolta la legge può obbligare a condotte vietate dalla religione, come il servizio militare laddove permanga la coscrizione obbligatoria. In definitiva, oggi chiunque può trovarsi nella condizione di dover operare un bilanciamento fra l’obbligo di rispettare la propria coscienza e quello di osservare la legge. Interviene qui il diritto ecclesiastico. Esso si basa evidentemente sul diritto positivo, ma ha il pregio di aprirsi verso orizzonti più vasti, che coinvolgono i sentimenti profondi della persona umana cogliendoli nella loro fase espressiva (infatti, un sentimento che resta celato nel proprio cuore è irrilevante per il diritto, ché regola fenomeni concreti, rapporti interpersonali e non intrasoggettivi). In questo senso il diritto ecclesiastico si preoccupa di valorizzare la dignità umana e la libertà di ogni persona, quale ne sia il credo16.
Può sembrare un’affermazione scontata, ma non è stato sempre così17. La dignità della persona umana costituisce, per certi versi, tanto il fondamento quanto la funzione di ogni ordinamento giuridico; si tratta però di un presupposto non ancora del tutto esplicito18. Ad esempio, la Costituzione italiana fa riferimento alla «pari dignità sociale» di tutti i cittadini, che è cosa diversa dalla «dignità umana»19, come tale richiamata invece nell’art. 1 del Grundgesetz20. Eppure la dignità umana va concepita in stretta connessione col principio di uguaglianza, cui in effetti è correlata, sebbene l’una e l’altro restino distinti21. La centralità della dignità di ogni vita umana costituisce ormai un punto di non ritorno dell’esperienza giuridica occidentale, come dimostra il richiamo esplicito che troviamo nell’art. 2 del Trattato sull’Unione europea (Tue), che lo configura come uno dei valori fondativi dell’Unione e, al tempo stesso, uno dei «valori comuni» agli Stati membri, «in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». In tale prospettiva la salvaguardia della dignità umana costituisce un valore «supercostituzionale»22, che il diritto ecclesiastico odierno deve valorizzare come un compito proprio, poiché enfatizza la dimensione unitaria dell’umanità: fatta di corpo e spirito.
So bene che l’espressione «dignità umana» appare «circondata da un corposo alone di ambiguità. Alla zona grigia che inevitabilmente assedia ogni formulazione giuridica valutativa si aggiunge, infatti, la difficoltà di valutare il principio alla luce di tempi caratterizzati da mutamenti convulsi e forse poco attenti al ricco e stratiforme spessore della storia»23. Tale ambiguità è in parte accresciuta dalla distinzione che ricorre fra «persona» e «individuo», termini talvolta utilizzati in maniera contrapposta. Quando si parla di «individuo» e di «diritti individuali» si tende spesso a sottolineare un aspetto egoistico; i diritti individuali si mostrano come elementi conflittuali che pongono l’uno contro l’altro: i miei diritti contro i tuoi. Quando al contrario si parla di «diritti personali» la dimensione individuale sembra stemperarsi in una logica più comunitaria, che rafforza la componente sociale della vita comune condotta da donne e uomini che non si relazionano tanto accampando diritti, quanto mescolando questi insieme ai doveri di solidarietà sociale. Gli individui possono anche vivere da soli, mentre le persone hanno bisogno le une delle altre. Se l’individuo basta a se stesso, la persona umana ha bisogno di relazioni. In tal modo si compie il «passaggio dal soggetto astratto alla persona situata nel contesto caratterizzato dalle condizioni concrete della sua esistenza»24.
Non c’è dubbio che l’esistenza umana non sia un fatto meramente biologico. La vita umana è intessuta di sentimenti, emozioni, memorie, tali da collocare l’esistenza di ciascuno in uno spazio sacro. Ogni persona, a prescindere dalla sua origine o condizione, è sacra. Tale sacertà si esprime in termini ampi, tali da superare la sola dimensione religiosa per aprirsi ad un senso civico che richiama i valori più alti, quelli che appunto trascendono gli aspetti e gli interessi individuali perché si allargano alla dimensione collettiva. Non è un caso che la Costituzione italiana qualifichi come «sacro» proprio il dovere di difesa del...

Indice dei contenuti

  1. Premessa alla presente edizione
  2. Introduzione alla prima edizione
  3. 1. «Diritto ecclesiastico» o «diritto e religione»?
  4. 2. La Costituzione repubblicana e la religione
  5. 3. La libertà religiosa individuale
  6. 4. La libertà religiosa collettiva
  7. 5. Contenuti e limiti della libertà religiosa
  8. 6. Il sistema dei rapporti fra Stato e confessioni religiose: la bilateralità incompiuta
  9. 7. Diritto e religione fra multiculturalismo, globalizzazione e intercultura
  10. 8. Libertà, diritti e doveri delle coscienze