Razzisti a parole (per tacer dei fatti)
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Razzisti a parole (per tacer dei fatti)

  1. 160 pagine
  2. Italian
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Razzisti a parole (per tacer dei fatti)

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Da vu' cumprà a vu' lavà, da letterature etniche a campi nomadi, quando parliamo usiamo espressioni che ci sembrano normali, ma che invece sono banali, approssimative, contraddittorie. E non fanno che dimostrare un'evidenza che vorremmo nascondere: che spesso siamo razzisti, proprio a partire dal linguaggio."Non sono razzista, ma non ne posso più"; "Non sono razzista, ma sto diventando intollerante"; "Non sono razzista, ma i neretti nel parcheggio dell'Ipercoop hanno rotto"."Non sono razzista, ma…", è una frase molto diffusa in Rete e nel parlare comune, anche quello politicamente corretto. Federico Faloppa, con esempi tratti dal linguaggio politico e mediatico degli ultimi vent'anni, mostra quanto nessuno sia al riparo dall'imbarbarimento verbale, e quanto ci appaia ormai accettabile ciò che invece dovrebbe ancora indignarci.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858103319

Zingari: basta la parola

Sopprimiamoli, anche i bambini sono zingari piccoli.
(Vittorio Aliprandi, consigliere comunale di Padova, 2 dicembre 2010)
Tra tutte le cosiddette etnie, non c’è dubbio che la più stigmatizzata sia oggi quella dei «rom» (o dei «nomadi», o degli «zingari», termini che dai più, ma anche da chi fa informazione, sono considerati sinonimi). A dirlo sono i sondaggi: quelli che ogni tanto qualche quotidiano commissiona ad agenzie o istituti di ricerca. Come il sondaggio svolto da Ipr Marketing per «la Repubblica» nella primavera del 2008, secondo il quale per circa il 70% degli intervistati «immigrati» e «nomadi» erano gruppi indesiderati, e la vera priorità sociale era quella di risolvere «il problema dei Rom e degli immigrati», magari – nel caso dei primi – smantellando i «campi» ed espellendoli in massa dall’Italia («la Repubblica», 15 maggio 2008)1. O come il sondaggio effettuato nello stesso periodo dall’Ispo di Renato Mannheimer – poi trasmesso a diversi media – secondo il quale, per l’81% del campione, l’«etnia» più antipatica agli italiani era quella degli «zingari», seguiti a ruota dagli albanesi (74%) e dai romeni (64%), mentre la palma dei più simpatici andava a filippini e senegalesi.
Certo, si era nel pieno dell’ondata xenofoba – anzi, razzista – contro rom e romeni: quella iniziata all’indomani del 30 ottobre 2007, il giorno dell’omicidio di Giovanna Reggiani da parte del rom romeno Nicolae Romulus Mailat (anche se il processo a suo carico avrebbe messo in luce parecchie zone d’ombra)2. Omicidio che finì per condizionare le campagne elettorali dei mesi a venire (in particolare quella per l’elezione del sindaco di Roma)3, per giustificare i «censimenti» forzati degli «zingari» nella primavera del 2008, per aprire – a seguito di un processo xenofobo di assimilazione4 – quella caccia (mediatica, ma non solo) al romeno che si sarebbe protratta almeno fino al 2009, con impressionante convergenza di opinioni e di linguaggio tra destra e sinistra.
Come quando, all’indomani dello «stupro di Guidonia» – una ragazza fu stuprata da cinque uomini di nazionalità romena –, all’onorevole della Lega Nord Piergiorgio Stiffoni, che definì i romeni un «popolo di stupratori», fecero eco il quotidiano di area dalemiana «il Riformista» (28 gennaio 2008), che titolò Branco rumeno un fondo di Peppino Caldarola, e dopo qualche settimana «La Stampa», con un editoriale di Luca Ricolfi che avrebbe fatto discutere per l’uso di un’affermazione («Basandosi esclusivamente sulle denunce, quel che si può dire è che la propensione allo stupro degli stranieri è 13-14 volte più alta di quella degli italiani») che, erroneamente, naturalizzava un fenomeno tutt’altro che chiaro e oggettivo5.
Mala tempora, si dirà, quei mesi a cavallo fra l’ottobre del 2007 e l’estate del 2008. Ma non è che oggi le cose siano molto cambiate, che la percezione degli italiani sia molto diversa. Almeno a leggere, di nuovo, i sondaggi. Prendiamo quello pubblicato dal quotidiano «Il Foglio» il 21 febbraio 2011. Alla domanda «Parliamo delle diverse etnie che vivono in Italia e che talvolta danno problemi con la sicurezza e l’ordine pubblico. Quali sono tra queste quelle che lei teme di più? Ne indichi al massimo due», le risposte sono state: zingari (39%), albanesi (36%) e romeni (33%). Oppure si prenda lo studio voluto nel 2010 dalla Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, reso pubblico col titolo Io e gli altri: più di due giovani su tre proverebbe «antipatia» nei confronti di rom e sinti, e la maggioranza di questi addirittura una «forte antipatia»6. O ancora, si sfogli il rapporto conclusivo dell’Indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Camminanti condotta sempre nel 2010, e sempre su campione statistico, dalla Commissione diritti umani del Senato. Il 47% degli italiani avrebbe un’immagine decisamente negativa degli zingari, mentre sarebbero ben di più quelli che credono che gli zingari siano nomadi (84%), che vivano soltanto di furtarelli e sfruttando i minori (92%), e che vogliano vivere nei campi, meglio se isolati dal resto della città (83%)7.
Stigma e avversione netti, quindi. Ma basati su che? Non certo sulla conoscenza diretta. Perché i dati ci dicono che la stragrande maggioranza delle risposte (circa l’80%) contenute nell’inchiesta Io e gli altri non si basa su esperienze personali, su contatti concreti. Ma piuttosto sul sentito dire, sul luogo comune: quello che vuole gli «zingari» tutti uguali, tutti ugualmente brutti, sporchi e cattivi. E colpevoli.
Ora, occorrerebbe soffermarsi sul luogo comune. Che non veicola necessariamente una falsità (da rifiutare a priori, da negare): perché sarà pur vero – ce lo racconta cum grano salis Luca Cefisi in Bambini ladri. Tutta la verità sulla vita dei piccoli rom, tra degrado e indifferenza (2011) – che tra gli «zingari» esistono comportamenti devianti (quale gruppo, d’altronde, non ne annovera?). Semmai, veicola una banalità: una generalizzazione di comportamenti individuali assurti – grossolanamente, falsamente (è ancora Cefisi a ricordarcelo) – a caratteristica di gruppo. E spesso non solo anticipa la conoscenza, ma la sostituisce. Anzi: la impedisce, la rende vana. E allora, da banale il luogo comune diventa fattuale. Mentre invece i fatti sono altri: e sono troppo spesso misconosciuti.
Quanti di quelli che li giudicano sanno effettivamente qualcosa degli, sugli «zingari»? Pochi, pochissimi. Se così non fosse, saprebbero che la maggior parte di essi è ormai stanziale da tempo. (E comunque occorrerebbe distinguere tra sinti, in minoranza, ancora parzialmente nomadi; e rom, nella quasi totalità, prevalentemente stanziali. E occorrerebbe anche distinguere tra gruppi diversi, insediatisi in periodi diversi.) Saprebbero che la metà di essi sono cittadini italiani (con buona pace di chi vorrebbe gli zingari fuori dall’Italia). E che, soprattutto, non sono «milioni» – come credono quattro intervistati su dieci, quale che sia l’inchiesta di riferimento – ma circa 160-170.000: lo 0,25% della popolazione italiana (ripeto: lo 0,25%, la percentuale più bassa tra i paesi europei)8. E di questi nemmeno un terzo, poco più di 50.000, vive effettivamente nei famigerati «campi»9.
Certo, occorrerebbe anche vedere come sono fatti questi sondaggi, queste inchieste. In che modo possono orientare – con domande chiuse, retoriche – le risposte. Per rendersene conto, basta rileggersi la domanda di prima, quella pubblicata dal «Foglio», che chiede al lettore di associare – senza riserva alcuna – «etnie» a «problemi con la sicurezza e l’ordine pubblico». O magari prendere, a caso, una delle domande che affollano il web per pseudo «sondaggi» (condotti senza alcun metodo statistico) ad uso e consumo di commentatori e bloggers. Come quello proposto dal quotidiano online «SiciliaLive» il 1° settembre 2010:
Si parla tanto, sulla scorta delle ultime vicende di cronaca, di rom e di integrazione. Noi la buttiamo giù piatta, con un nuovo sondaggio e una domanda chiara e cruda. I rom di Palermo... 1) Andrebbero sistemati in case o in un campo decente; 2) dovrebbero essere rimandati a casa.
Che tipo di risultati potranno mai venir fuori da un’inchiesta così?
Sembra che – salvo (rare) eccezioni – l’informazione sia fatta per avallare ciò che il lettore in qualche modo già pensa, immagina, vuole sentirsi dire. Dando credito, per esempio, al luogo comune. Come? Rimettendolo costantemente in circolo. A sfogliare certi giornali, salta subito agli occhi una certa sovrarappresentazione. Che ci dà l’impressione che gli «zingari» siano ovunque: una minaccia costante, numericamente pericolosa, onnipresente. E non solo in periodi di «bolle informative», di «cicli di attenzione»10, ovvero a seguito di episodi di cronaca che in misura più o meno evidente vedono coinvolti degli «zingari». Prendiamo ad esempio un quotidiano molto diffuso a Torino: «Cronaca qui» (circa 40.000 copie vendute nell’area metropolitana, dato dell’ottobre 2010), politicamente orientato a destra, ma piuttosto popolare tra lettori di ogni tipo. Nei soli mesi di novembre e dicembre 2010, gli articoli sugli «zingari» si contano a decine. Solo in un paio di giorni – nel quotidiano più letto in città dopo «La Stampa» – non si è trovato alcun riferimento agli «zingari». In tutti gli altri casi, c’era infatti almeno una notizia che li riguardava.
È un’informazione che ripete stilemi e modalità (l’uso massiccio di virgolettati per riportare la vox populi esasperata della cittadinanza, che peraltro rimane quasi sempre anonima; sillogismi e paragoni che si basano su premesse discutibili; iperboli, titoli costantemente «urlati»), che tenta di oggettivizzare opinioni, supposizioni:
Il fatto. Scippata in strada mentre va in chiesa. Gettata a terra e picchiata selvaggiamente. Ottantenne alla fermata del bus massacrata di botte dagli zingari «son certa che fossero degli zingari [...] l’ho detto anche ai poliziotti...» («Cronaca qui», 12 dicembre 2010).
Qui l’assunto del paratesto (occhiello, titolo, sottotitolo) viene messo in dubbio già dall’articolo stesso, perché gli aggressori – così si legge – avevano dei caschi, e quindi non erano facilmente riconoscibili, e perché non viene citato nessun altro indizio o testimonianza – salvo quella, confusa, dell’aggredita – che possa far pensare effettivamente a degli «zingari». Ciò non toglie nulla alla gravità dell’episodio: ma perché chiamare in causa sempre «i soliti sospetti», se non si hanno le prove?
Ci sono, ovviamente, luoghi comuni che si ripetono. C’è l’idea della finta indigenza (e del rovesciamento di prospettiva: in realtà «loro» stanno benone, con tutte quelle Mercedes e Bmw, con tutti quei privilegi; siamo noi, «comuni mortali», che stiamo male). C’è l’idea del degrado. E c’è soprattutto l’idea dello sporco, del germe estraneo, del contagio, perché gli zingari sono una minaccia per la salute – tanto fisica quanto morale – del corpo sano della società. Lo sappiamo da tempo: da quando, nell’Ottocento, il termine «zingaro» divenne sinonimo di «colera» nelle Romagne paludose11.
Fanno in questo senso riflettere – rimanendo in Italia – le ordinanze comunali o regionali in materia di igiene pubblica che dagli anni Settanta in poi hanno posto al centro la «questione degli zingari». Solo negli anni Settanta, in Veneto, circa un centinaio di ordinanze comunali su 136 riguardanti l’espulsione degli zingari erano basate su motivi sanitari12. Nel veronese, da cui proviene tra l’altro l’espressione dialettale onto come un zingaro, «sporco, sudicio come uno zingaro»13, queste politiche avrebbero spesso coinciso con mirate campagne di stampa, che tendevano a rappresentare gli zingari come «gente [che] vive in sporche tende di foggia vagamente indiane, dove l’unica cosa umana è la sporcizia» («L’Arena di Verona», 8 dicembre 1972), e «[individui] che infestano la città» («L’Arena di Verona», 17 febbraio 1979)14.
Porre l’accento sul tema de...

Indice dei contenuti

  1. «Non sono razzista, ma»
  2. Si fa presto a dire razzismo
  3. Soltanto parole?
  4. Dagli al negro!
  5. C’era due volte il «vu’ cumprà»...
  6. Immigrato a chi?
  7. «Discriminazione transitoria positiva»
  8. Clandestini si nasce o si diventa?
  9. Etnico è bello?
  10. Zingari: basta la parola
  11. Quelli che l’emergenza
  12. «Vox populi»