Quel che è di Cesare
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Quel che è di Cesare

  1. 134 pagine
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Quel che è di Cesare

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«In fondo la critica più radicale al potere assoluto e al cesarismo si trova nel Vangelo, perché a Cesare si restituisce la moneta e non si consegna mai la persona, la sua libertà e la sua dignità».Rosy Bindi racconta il suo impegno di cattolica che ha scelto la politica e va al cuore del principio di laicità. In un colloquio franco e diretto affronta le questioni cruciali della nostra democrazia. Scommette sul dialogo tra credenti e non credenti per superare reciproche scomuniche e afferma l'attualità del cattolicesimo democratico. Rilancia la dimensione etica della politica come servizio e ricerca del bene comune.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788858102398
Argomento
Economia

Eluana e altre storie

D. Ci vorrebbe tanta più laicità nella bioetica. Quando la vita e la morte irrompono sulla scena della politica, allora bisognerebbe avere il coraggio di pensare a norme senza tossine ideologiche e dipendenze esterne. Sul fine-vita, soprattutto, la politica è chiamata a confrontarsi con il dolore e ciascuno di noi chiede parole umane, vicine, affidabili. I cattolici non dovrebbero evitare di imporre la loro visione, e fare forse un passo indietro?
R. Sulla vita e sulla morte, prima della politica, riflette ogni donna e ogni uomo. Non sarebbe né corretta né laica una pretesa di silenzio o di arretramento dei cattolici. Il pensiero dei cristiani ha sempre resistito alla rimozione della morte: «Tu conoscerai il mistero della vita e della morte», si legge nella Bibbia. Il cuore della nostra religione è la morte e la resurrezione di Cristo, lo scandalo di un Dio che si fa uomo e degli uomini condivide ogni cosa, si sottomette alla morte e la vince con la resurrezione. Ma non vince solo per sé. Come dice san Paolo: non vale la nostra fede, se Cristo non è risorto, se noi non risorgeremo. Per quale motivo i cristiani dovrebbero tirarsi indietro?
È inevitabile che nella politica irrompano i sentimenti, il dolore, le domande ultime e più radicali sul significato della vita. È la novità di temi scomodi che ci interrogano anche sul senso di onnipotenza dell’uomo. I padri costituenti non avrebbero mai immaginato di doversi dare risposte sulle «provette», sulla fecondazione assistita, sul confine tra la vita e la morte. C’è un tale salto di qualità sulle possibilità del genere umano che è difficile sfuggire a questi interrogativi anche nella sfera pubblica. La nostra organizzazione sociale e l’intreccio sempre più evidente nella medicina tra saperi, tecniche e poteri economici rendono quanto mai difficile delimitare il confine delle scelte individuali che prima o poi, lo abbiamo visto in tante occasioni, finiscono per coinvolgere anche la comunità. La politica è sempre più consapevole che non può sottrarsi al compito di trovare risposte e soluzioni che uniscano e non dividano. E in questa ricerca dovrebbe procedere in modo autonomo ma non autoreferenziale, ascoltando la società e con grande rispetto per tutti.
D. La religione cattolica ha un punto di vista dogmatico sul tema della vita: non ha forse trasformato il diritto naturale in una vera e propria ideologia?
R. Non nego ci sia, come anche in passato, la tentazione, da parte di alcuni, di presentarsi come gli unici depositari della verità e di volerla imporre al resto dell’umanità, rifiutando il confronto con i mutamenti culturali. Ma proprio i cristiani dovrebbero sapere che anche la verità è interpellata dalla storia e non dovrebbero coltivare la presunzione di avere la risposta già pronta ma assumere sempre un atteggiamento di ricerca, misericordioso e aperto alla condivisione con gli altri. Il dialogo del gennaio 2004 a Monaco, presso la Katholische Akademie in Bayern, tra il filosofo Jürgen Habermas e l’allora cardinale Joseph Ratzinger sul diritto naturale e sul rapporto tra fede e ragione, testimonia questa possibilità. Tra le tante suggestioni di quel confronto, merita attenzione ciò che il cardinale disse a proposito del reciproco controllarsi di ragione e religione. Consapevole che la cifra del nostro tempo è il pluralismo delle culture e delle religioni, Ratzinger si chiede se non sia possibile trovare fondamenti etici in grado di favorire non solo la coesistenza delle culture ma anche un ethos comune intorno a cui costruire una condivisa responsabilità giuridica. Il cardinale non approfondisce questo interrogativo, ma penso che noi abbiamo di fronte due strade: possiamo rispondere dogmaticamente alla sfida dell’interculturalità, imbracciando ciascuno la propria verità come un’arma puntata contro l’altro, scavando così nuovi fossati tra credenti e non credenti. Oppure, possiamo tutti riconoscere che una verità sull’uomo esiste e non va inventata. È una verità razionale che può essere scoperta e condivisa. Guai a presumere di possedere la verità, guai a rifiutarsi di cercarla...
D. Qual è il contributo del pensiero dei cristiani?
R. All’albero della vita ci si avvicina con il senso del limite e non dell’onnipotenza. Noi non siamo i padroni ma i custodi della vita, e questo atteggiamento mi pare fecondo anche per chi non è credente. Il custode, infatti, tratta le cose con lo stesso amore che avrebbe se fossero sue, ma non le «spadroneggia» proprio perché non sono una sua proprietà. Nei confronti di ciò che è più sacro dovremmo sentirci, indipendentemente dalle nostre convinzioni, come dei custodi, almeno per preservare la vita e la libertà delle generazioni future. Tutti, dagli scienziati ai medici ai politici, dovremmo adottare comportamenti responsabili e prudenti, improntati all’accoglienza, alla solidarietà e alla giustizia.
D. Ma non è una morale «naturalizzata» quella che la Chiesa propone, segnata da un forte pregiudizio antiscientista? E non vede la contraddizione – che ha fatto notare più volte Eugenio Scalfari – nell’atteggiamento della Chiesa di fronte alle possibilità offerte dalla scienza? Se pensiamo alla fecondazione assistita e al testamento biologico, da una parte c’è il «no» a ciò che fa nascere e dall’altra il «sì» all’accanimento nell’uso di biotecnologie da parte di una medicina che non sa guarire ma non lascia morire.
R. Pregiudizi contro la scienza non direi. Evitiamo di semplificare fino alla banalizzazione. Però non mi convince chi attribuisce alla scienza – tanto più la scienza contemporanea, fortemente condizionata dal mercato e dalle tecnologie – una pretesa di neutralità rispetto all’etica. E non penso neppure che la vita e la natura siano una sorta di «terra di nessuno» in cui scegliere a proprio piacere cosa fare e cosa non fare. La Chiesa ha una posizione ineccepibile e coerente: è evidente sia il «no» all’eutanasia sia il «no» all’accanimento terapeutico e, per certi versi, anche un figlio a tutti i costi implica un certo accanimento terapeutico. In questi due «no», insomma, non vedo contraddizione.
Ma non sono solo i cattolici a fare pasticci tra scienza ed etica. Ricordo bene il ragionamento di chi considera ondivago l’atteggiamento della Chiesa, che in nome del diritto naturale accetta di prolungare la vita anche con mezzi artificiali e però li rifiuta nei casi di fecondazione assistita. È un ragionamento del tutto speculare a quello di quei laici che esaltano e sfruttano qualunque opportunità della tecnica per avere un figlio e però vi si oppongono quando si tratta di sostenere la vita. Anche loro rischiano di scivolare nel dogmatismo. Visto che siamo tutti d’accordo nel rifiutare l’accanimento terapeutico, più utile sarebbe discutere su quando esso cominci. Ogni singolo caso, ogni vicenda, apre interrogativi che non possono essere liquidati con la presunzione di certezze. Ciò che davvero ci divide è l’eutanasia.
D. Il caso di Eluana Englaro è stato una ferita nella vita civile italiana per la manipolazione politica e la propaganda attorno al calvario di quel corpo di donna. Il 9 febbraio 2009 Eluana è morta, tre giorni dopo la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiali, autorizzata da una sentenza e dai pronunciamenti della Cassazione, e dopo diciassette anni di esistenza vegetativa. Prima di ogni altra considerazione, lei che è una persona di fede non pensa che ci sia stata una crudeltà, una mancanza di pietà in quella vicenda? Oscar Luigi Scalfaro, in una conversazione che ho avuto con lui, si chiedeva: «Quale cristianesimo è quello che cammina con le scarpe chiodate sulla pancia della gente?».
R. Nella vicenda di Eluana c’è stato un tasso di strumentalizzazione enorme. Si sono sentite parole, violente e inaccettabili, che mal si conciliano con la compassione, con il rispetto per il dolore di una famiglia. Il corpo di una giovane donna è stato trasformato in un terreno di scontro ideologico e battaglia politica. Non ho certezze sulla storia di Eluana, ma penso che mi sarei comportata in modo diverso dalla sua famiglia. Però non mi sento di giudicare il padre e provo ancora una grande pena e una grande sofferenza per la gogna pubblica a cui è stato sottoposto negli ultimi giorni di quella tragedia. Ho sentito anche parole pietose e misurate da parte dell’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi. Purtroppo il turbamento di molti credenti, anche di quelli che con le migliori intenzioni sono andati a pregare a Lecco e Udine, non si è tradotto in uno stile coerente ed è finito nel tritacarne di una ignobile spettacolarizzazione del dolore e in un’oscena gazzarra politica.
D. Silvio Berlusconi, il capo del governo di centrodestra, ha usato le ragioni della fede e la sacralizzazione di quel corpo, e si è spinto fino a dire che Eluana avrebbe potuto partorire. L’epilogo politico della vicenda ha coinciso con uno scontro durissimo tra presidenza della Repubblica e governo, che ha adottato un decreto legge poi bloccato dal Quirinale: una forzatura procedurale e istituzionale senza precedenti, che si è accompagnata alla rappresentazione di un partito della vita contro un partito della morte.
R. Berlusconi ha usato il dramma degli Englaro con il cinismo che distingue il suo modo di fare politica e di governare. Insofferente delle regole, dei pesi e contrappesi della democrazia, si è presentato come l’uomo della Provvidenza che avrebbe salvato Eluana e, cavalcando l’emotività, ha cercato di imporre una brusca torsione costituzionale. La vita della ragazza è stata solo un pretesto per scardinare il sistema parlamentare e azzerare il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica. Senza troppi giri di parole ha minacciato di voler cambiare la Costituzione e il messaggio al paese era chiaro: qui comando io. Ma non si difendono la dignità e la vita di una persona mettendo in discussione i fondamenti della democrazia, con un conflitto tra i diritti e il diritto. Volevano farci credere di votare per la vita e invece avremmo votato un atto di ritorsione contro il presidente Napolitano e contro la divisione dei poteri. Era una partita truccata: per questo avevo deciso di non partecipare al voto sul disegno di legge del governo.
D. In questa partita è entrata la gerarchia ecclesiastica; alcuni cardinali, da Ruini a Poletto, hanno sostenuto che la legge dello Stato non può opporsi a quella di Dio.
R. Anch’io penso che la legge di Dio sia superiore alle leggi umane, nel senso che si colloca in un ordine «altro» rispetto a quello degli ordinamenti del mondo. Chiamato a dividere una eredità, Gesù dice: «Amico, non sono qui per fare da giudice ai vostri affari, o da mediatore nella spartizione dei vostri beni» (Luca 12, 13-14); il che non significa che il Vangelo si oppone o è indifferente alla legge ma che non si lascia imbrigliare nei suoi limiti. D’altra parte, in un tempo pluralista e secolarizzato, nessuno può pretendere di trasformare la legge superiore che guida la propria coscienza e le proprie scelte in una norma dello Stato imposta anche a chi non la condivide. Leopoldo Elia parlava a questo riguardo di «leggi facoltizzanti» che non impongono comportamenti ma consentono di fare scelte secondo la coscienza di ciascuno. Anche queste vanno contro la legge di Dio? La laicità e la democrazia sono valori anche per la Chiesa, e mi dispiace quando la Chiesa lo dimentica. La destra si serve del linguaggio dei valori cristiani per costruire un pezzo della propria identità e le gerarchie hanno sostenuto un governo che mirava a ottenere – anche a costo di uno strappo costituzionale – una legge su misura per Eluana. Ma è uno scambio perdente per la fede e per la laicità, ci guadagna solo la politica peggiore che strumentalizza e manipola con estrema spregiudicatezza l’etica cristiana, imponendola con una legge dello Stato.
D. Tuttavia questo è ancora un esempio di conflitto tra fede e norma.
R. Ho la consapevolezza che c’è un crinale strettissimo. Come in montagna, sono questi i passaggi più pericolosi: non hai una corda né di qua né di là; hai lo strapiombo da una parte e dall’altra, e non puoi stare fermo. Devi camminare ma devi procedere con grandissima prudenza tra la vita e il rispetto della dignità della vita. La domanda «è vita, ma che vita è?» è comprensibile, sacrosanta e spesso diventa anche la molla per nuovi progressi e nuove cure. Ma non puoi mai rischiare di usare la dignità della vita contro la vita stessa. Ormai il rapporto tra la vita e la morte non si risolve più nell’attimo che fuga ogni dubbio, ma è caratterizzato da lunghi spazi in cui si convive con la malattia e si sperimenta il limite. La società deve imparare a fare i conti con questa realtà. Dove ci si ferma? Ogni volta che a questa domanda sento rispondere con le certezze definitive di una parte o dell’altra, quando vedo accapigliarsi chi dice «vita comunque», «vita fino all’ultimo barlume», con chi invece afferma «no alla vita incosciente», allora so che siamo fermi sullo strapiombo.
D. Sul testamento biologico in Italia si coltivano le divisioni tra credenti e non. L’alimentazione e l’idratazione artificiali sono da considerare accanimento terapeutico? Renderle obbligatorie non diventa il dogma contro cui si infrange la volontà individuale se espressa nel testamento di fine-vita?
R. Oggi un malato cosciente può rifiutare qualunque trattamento e sarebbe incostituzionale costringerlo a tenere contro la sua volontà anche un sondino per idratarsi. La pretesa della maggioranza di escludere dal testamento biologico l’idratazione e la nutrizione artificiali è una grave forzatura che ha poco a che vedere con l’essere o non essere credenti. Ma il testamento biologico non può autorizzare ora per allora forme mascherate di eutanasia. Il paziente deve esprimere la sua volontà ma dentro un confine che vieti pratiche che favoriscono l’eutanasia.
Non ho certezze su quando e in che modo ci sia accanimento terapeutico, credo che si debba rispettare la volontà della persona e lasciare ai medici di valutare quando applicare quella volontà nella situazione concreta, in un rapporto di fiducia e di ascolto con i familiari del malato. Abbiamo a disposizione tecniche che non migliorano lo stato di salute ma conservano quel poco di vita: su quali basi scegliamo di interrompere o continuare a sostenere quella vita? E una volta stabilito un criterio, chi ci assicura che non verrà applicato in situazioni in cui le persone non possono difendersi? È vero che Eluana non si è potuta difendere da quello che ad alcuni appariva un accanimento terapeutico, ma non si è potuta neppure difendere dalla decisione di porre fine alla sua esistenza. E però ...

Indice dei contenuti

  1. Laici e credenti: il reciproco sospetto
  2. Fede e politica. Gli anni della formazione
  3. I cattolici sono ancora democratici
  4. Storia vera dei Dico
  5. Eluana e altre storie
  6. Zona di confine: fede e norme
  7. Dalla Costituzione all’8 per mille
  8. Una destra nel nome di Dio
  9. Il mondo in casa
  10. L’economia dei «senza Dio» e il bene comune
  11. Un partito laico