IV. Il riso e l’argento. La moneta e il sistema fiscale
La politica fiscale e finanziaria
L’attività economica dello Stato e le sue interferenze in campo economico sono alcuni temi che rientrano nel discorso finanziario. Nei periodi Ming e Qing non esiste una organizzazione unitaria a livello centrale che si occupi della politica finanziaria e fiscale. Nominalmente è lo stesso imperatore che ha la direzione economica dello Stato. Il Ministero delle Finanze, che presenta una certa specializzazione in materia, da una parte non è l’unico organo a interessarsene, dall’altra non si limita a tali funzioni. Esso potrebbe infatti essere chiamato anche Ministero del Commercio e dell’Agricoltura. Il ministro delle Finanze, dopo l’abolizione del primo ministro, all’inizio della dinastia Ming, dirige gli affari fiscali ordinari, con funzioni prevalentemente esecutive e consultive, ma per ogni decisione deve ottenere l’approvazione del sovrano. L’ammontare delle imposte è stabilito secondo quote fisse, e le spese sono stabilite sulla base delle entrate e secondo quote e precedenti.
Il Ministero delle Finanze, hubu, ripartito su base territoriale anziché funzionale (una Direzione, qinglisi, per ogni provincia, con una struttura simile solo al Ministero delle Pene), è responsabile del censo della popolazione, della registrazione delle terre coltivate, della ripartizione e della riscossione delle tasse, e della gestione delle entrate statali, e quindi controlla il Tesoro dello Stato. Dal Ministero dipende l’Ufficio della Zecca, qianfatang che si occupa del conio delle monete nella Zecca governativa, baoquanju, i Tre Magazzini della Tesoreria (sanku), e l’Ufficio Generale dei Granai (cangchang yamen). Sempre delle mansioni ordinarie, con carattere finanziario, fanno parte la gestione delle imposte sul sale, sul commercio e quelle varie, la riscossione dei contributi speciali (juanna), la circolazione monetaria, il controllo dei prezzi, le disposizioni per le spese correnti.
Oltre al Ministero delle Finanze, sono coinvolti negli affari fiscali in diversa misura anche gli altri ministeri. Per esempio, il Ministero della Guerra provvede alla riscossione delle imposte fondiarie nelle regioni che all’origine della dinastia Ming hanno assegnato il compito dell’allevamento dei cavalli, e originariamente è responsabile per le entrate derivate dalle colonie militari. Il Ministero dei Lavori Pubblici o delle Opere Pubbliche, poi, che soprintende alle miniere, al conio delle monete e alle dogane interne, ed è addetto alle requisizioni di determinati prodotti e alla esecuzione delle corvées, si trasforma anch’esso in un ufficio fiscale che riscuote le imposte in argento, in sostituzione delle obbligazioni originarie. Inoltre questo ministero assume anche il ruolo di coordinamento sulle varie ordinazioni e le diverse Manifatture Imperiali. La frammentazione è resa ancora più evidente – durante i Ming – se si considera la duplicazione dei ministeri nelle due capitali (il Ministero delle Finanze di Nanchino ha una competenza solo territoriale, nel Nan Zhili), e l’inesistenza di un Tesoro centrale. Inoltre, in epoca Qing, per le finanze relative alle Bandiere, escluse le tasse fondiarie ordinarie – che fanno capo al Ministero delle Finanze centrale – esiste un ministero a Shenyang, Shengjing hubu.
Non esiste una netta distinzione fra casse dello Stato e Tesoro della «corona»: le fonti ufficiali distinguono invece in epoca Ming dodici neiku, due liku, tutti all’interno dei Palazzi Imperiali, gli waiku, al di fuori di essi, e quelli locali. Fra i neiku, un ruolo importante è assunto dal neichengyunku (Deposito del sale di Palazzo), inizialmente volto a raccogliere metalli, stoffe e pietre preziose per la corte, eccetto le riscossioni in argento che vengono ritirate a Nanchino per poi essere utilizzate per i pagamenti degli stipendi o le spese militari. Ma da quando, attorno al 1436, viene stabilita una parziale monetarizzazione delle imposte fondiarie, al posto di circa quattro milioni di dan di cereali da consegnare allo Stato in alcune province meridionali, vengono riscossi lingotti d’argento, chiamati jinhuayin, al tasso di un tael (liang) ogni quattro dan. Contemporaneamente viene creato il Tesoro del Ministero delle Finanze, hubu taicangku (anche chiamato Tesoro d’argento, yinku), in cui vengono riposte gran parte delle entrate fiscali dello Stato, in argento, provenienti dalle imposte fondiarie, quelle sul sale e sulle dogane interne. Dal 1481, una parte di tali fondi viene assorbito dal neiku per fare fronte alle crescenti spese della corte. L’aumento delle spese per la corte interna nel corso dei decenni porta il revisore jishizhong Xiong Mingyu a denunziare che nel 1616 mentre il Tesoro dello Stato è vuoto, quello per gli affari della corte è colmo.
In epoca Qing, il Tesoro statale è distribuito nei cosiddetti Tre Magazzini, sanku, cioè il Magazzino dell’Argento, yinku, il Magazzino dei Tessuti, duanpiku, e il Magazzino delle Tinture e della Carta, yanliaoku (che conserva tra l’altro anche tè, cera, rame, acciaio), ai quali si aggiunge l’Ufficio dei Granai, cangchang yamen. Controlli sui bilanci provinciali sono infine esercitati dal Censorato. Dopo lo sviluppo delle Dogane Marittime, dal 1861 queste passano al controllo dello Zongli yamen, il nuovo Ufficio per gli Affari Internazionali. Gli Uffici della Casa Imperiale, inoltre, attraverso le loro Direzioni, con a capo gli eunuchi (Ming) e i baoyi (Qing), hanno un ruolo importante in materia.
A livello locale, sono molteplici gli uffici con rilevanza finanziaria, come i circondari e gli ispettorati del grano, del sale, poi le Dogane, e gli Uffici Amministrativi Provinciali (buzhengsi), con i loro tesori per le spese locali, e i vari granai ai vari livelli. Questi ultimi, oltre al compito della riscossione e consegna delle imposte, garantiscono la supervisione di tutti i funzionari della provincia. Nelle province è quindi il commissario dell’Ufficio Amministrativo ad essere ritenuto responsabile della consegna delle imposte al governo, e non il governatore (o ispettore delegato, in epoca Ming). Le prefetture in epoca Ming sono divise in tre gradi, a seconda che le entrate fiscali siano pari o superiori a 200.000 dan di cereali, inferiori di 200.000 ma superiori a 100.000 dan, oppure inferiori a 100.000 dan. Il distretto è considerato come l’unità di esazione, mentre la prefettura come l’unità di controllo di calcolo, e la provincia come unità di transito. Così, sul magistrato di distretto gravano quasi tutte le incombenze fiscali, dall’esazione delle imposte fondiarie a quelle commerciali e alle licenze, fatta eccezione per le imposte sul sale e sulle dogane. Egli è inoltre responsabile per il funzionamento dell’ufficio, la polizia locale, i trasporti, ecc. Una parte delle imposte viene trattenuta dalle unità amministrative, cunliu, per le spese locali e soprattutto gli stipendi, oppure per far fronte a ordinativi del governo centrale, mentre il resto viene inviato alla capitale, qiyun. Molte delle sovrattasse, imposte varie e diritti di transazione agraria vengono gestiti direttamente dalle autorità locali.
Le spese a carico dell’erario statale, sia del Ministero delle Finanze che del Tesoro della Casa Imperiale, sono numerose e di vario genere: oltre alle spese per le rendite dei principi e della nobiltà imperiale e per la burocrazia e l’esercito, ingenti somme vengono utilizzate dalla corte per le sue necessità ordinarie (si pensi alle Manifatture Imperiali) e quelle straordinarie (il Qianqinggong, uno dei palazzi imperiali fatti erigere da Yongle, ad esempio, costa oltre venti milioni di liang, mentre la tomba di Wanli, fatta costruire fra il 1584 e il 1590, otto milioni di liang). La Direzione dei Banchetti Imperiali, Guanglusi, che si occupa dei rifornimenti e dei preparativi per gli intrattenimenti e i banchetti a corte, conta fra gli altri migliaia di cuochi. Anche se spesso gli acquisti e le ordinazioni si risolvono in pure e semplici requisizioni ed espropriazioni a danno dei mercanti, ad avvantaggiarsene sono spesso gli eunuchi e non l’erario statale.
Una delle voci più consistenti di spesa è costituita dagli stipendi per la burocrazia, la nobiltà e l’esercito (luxiang), come afferma la stessa Storia ufficiale. Tali assegnazioni avvengono sotto diversa forma. All’inizio della dinastia Ming, il pagamento delle prebende per i nobili viene fatto prevalentemente sotto forma di concessioni di terre pubbliche (guantian), poi, ma non esclusivamente, attraverso assegnazioni di riso e/o carta moneta. Stipendi e prebende partono da 50.000 dan annui per i principi imperiali, oltre a danaro, stoffe, sale e tè, a 5.000 dan per i duchi e a 1.500 dan per i marchesi. Ma nel 1396, lo stesso Hongwu riduce le prebende dell’aristocrazia, stabilendo che ad esempio i principi siano pagati per solo un quinto dell’assegnazione iniziale; ulteriori riduzioni seguono nel corso degli anni, anche a causa dell’eccessivo aumento del numero dei parenti della famiglia imperiale.
Tali cifre sono ingenti, se confrontate con gli stipendi annui stabiliti da Hongwu nel 1380, che vanno da 1.000 dan e 300 guan per i funzionari di livello superiore a 65 dan e 30 guan per quelli dell’ultimo livello. Nel 1403, è stabilito che gli stipendi della maggior parte dei funzionari siano pagati parte in riso e parte in danaro, ad eccezione di quelli dal nono livello in giù, compresi gli impiegati inferiori, per cui è prevista l’assegnazione di solo riso. Nel periodo Qing, per gli appartenenti alla nobiltà, sia civili sia membri delle Bandiere, viene fissata una scala di appannaggi annui sulla base del rango, che va dai 700 liang (più 350 dan di riso) a 45 liang (e 25,5 dan). Ai funzionari è assegnato uno stipendio base annuo dai 180 ai 31 liang, a cui si aggiungono ulteriori assegni (in sostituzione del riso, per quelli della capitale, e per «incoraggiare l’onestà» – da Yongzheng in avanti – per quelli locali). Yongzheng è anche il promotore di una riforma fiscale che permetta un flusso sufficiente di entrate sia a livello locale che centrale. Durante la dinastia Ming, infatti, è lasciato al governo locale il compito di reperire fondi per le spese della propria giurisdizione, con grossi rischi di corruzione. Ora, Yongzheng prevede uno specifico canale di introiti per le amministrazioni locali, distinguendo la base fiscale per la periferia e per il centro.
Nonostante le misure adottate dal governo Ming per ridurre i pagamenti in prebende e stipendi, il deficit si accresce col passare degli anni. Le spese per la difesa divengono eccezionalmente gravose con la decadenza del sistema militare e del monopolio del sale: occorre pagare gli stipendi dell’ormai numeroso esercito di mestiere, si devono fronteggiare le endemiche rivolte interne, e le continue scorrerie dei nomadi; a ciò si aggiunge la guerra di Corea che, fra il 1592 e il 1598, costa all’erario ben ventisei milioni di liang. Alla fine del XV secolo le spese militari per i distretti di confine ammontano già a 430.000 liang per anno; esse salgono, verso la metà del XVI secolo, a oltre un milione di liang, somma che raddoppia dopo pochi anni e triplica alla fine del XVI secolo, tanto da doversi ricorrere al tesoro della Casa Imperiale.
Come si è visto, una notevole quota delle finanze viene impegnata anche nell’assistenza e nei soccorsi in caso di calamità naturale o di particolari situazioni di disastro, cui lo Stato fa fronte con un notevole costo per l’invio di alimenti gratuiti o a prezzo speciale, con interventi vari ed infine con sgravi ed esenzioni fiscali. Non meno importante è l’opera di prevenzione attraverso numerose opere pubbliche, in cui il ruolo preminente è svolto dal controllo delle acque. Infine sulle finanze statali gravano le spese usuali, ma non per questo meno ingenti, per i premi e i doni imperiali a sudditi meritevoli e a stranieri, per le onorificenze e le ricompense al valor militare (shanggong).
Il bilancio dello Stato, che, durante la dinastia Ming, sino a tutto il XV secolo si mantiene in pareggio (con un’entrata annua ordinaria che si aggira intorno a circa due milioni e mezzo di liang), già durante il regno di Jiajing (1522-1567), è cronicamente in passivo, con un aumento delle spese annue, che variano dai tre ai cinque milioni (raggiungendo la somma di 5.950.000 nel 1551). Così all’inizio del 1568, da un’indagine ordinata dal nuovo sovrano Longqing, risulta che nelle casse dello Stato vi sono riserve per far fronte solo alle spese correnti di tre mesi e al pagamento degli stipendi di solo due mesi abbondanti. Nel 1635, le entrate fiscali ammontano a 6.800.000 liang, ma le spese superano le entrate con un deficit di un milione di liang. Quando il ribelle Li Zicheng si impadronisce della capitale, trova nelle casse dello Stato soltanto 117.000 liang d’oro e 130.000 liang d’argento. A fronte dell’aumento delle uscite, sembrano aumentare anche le entrate, che, presso il taicangku (Tesoro), da un milione prima del XVI secolo, salgono prima a due e poi a quattro milioni. Ma tale espansione è puramente illusoria, perché denota solamente un aumento della quota riscossa in argento. Quando anche il suo importo raggiunge i quattro milioni, non rappresenta che un dodicesimo del totale delle entrate fiscali, il cui valore monetario viene stimato intorno ai 37 milioni di liang.
Una fonte non indifferente per le entrate statali è costituita poi dalle varie imposte sul commercio, che in genere ammontano al 30% sulle vendite. Nel periodo Xuande (1326-1435) questo tipo di imposte subisce un notevole aumento, e vengono stabiliti 33 uffici delle imposte in prefetture dove il commercio è molto sviluppato. Le entrate per lo Stato in questo settore sono ora ben cinque volte superiori a quelle all’inizio della dinastia.
Il pedaggio per le navi, o la tassa sul tonnellaggio, chuanchao, è pagato dalle imbarcazioni che passano per il Grande Canale. Per i lunghi percorsi, il mercante può essere tassato più volte, o costretto a versare «contributi volontari». L’imposta sul commercio locale, shangshui, secondaria nel periodo Ming, nel tardo periodo Qing si trasforma nella più gravosa lijin (likin), introdotta nel 1853. Da questa si distingue quella sui negozi e botteghe, mentanshui, e quella sulla distillazione degli alcolici e dell’aceto, jiucushui. L’imposta di registro, fangdiqishui, per l’alienazione o l’ipoteca su beni immobili è pari al 3% del prezzo di vendita. Su alcune località viene imposta la tassa sui boschi, zhumu choufen, inizialmente sul 20% del prodotto ricavato, poi sul 5 o 10% del valore. Nelle aree dove la pesca costituisce un’importante attività, i pescatori vengono tassati con la yuke. Un’altra entrata deriva dalle miniere, kuangke, tramite l’imposta in natura di una percentuale sul prodotto. Le dogane marittime, fanbo choufen, gravano sul commercio internazionale che si svolge in alcuni porti come Canton, sia per i membri delle missioni tributarie, sia per i mercanti cinesi che commerciano con l’estero.
All’inizio del XIX secolo, i cereali riscossi come tributo ammontano a oltre sei milioni di dan, quantità che è il risultato di una serie di riduzioni progressive nel corso della dinastia Qing. Di questa cifra, circa la metà viene utilizzata per le varie spese relative al trasporto, e solo i rimanenti tre milioni abbondanti di dan arrivano alla capitale per essere riposti nei 13 granai di Pechino e nei 3 di Tongzhou. Essi servono a fare fronte alle necessità della corte, della burocrazia e delle truppe di stanza nella capitale.
Per inquadrare brevemente il sistema fiscale Ming, possiamo distinguere grosso modo tre tipi di obblighi dei sudditi: imposte sui consumi, imposte patrimoniali e oneri personali.
Secondo i dati ufficiali, che possiamo ricavare dal Qingshigao, all’inizio della dinastia Qing le entrate sono dai 24 ai 28 milioni di liang, più alcuni milioni di dan di cereali, che salgono alla fine del XVII secolo a 41 milioni di liang più sei milioni di dan di cereali. A queste entrate corrispondono uscite inferiori, in gran parte assorbite dalle spese militari, seguite dalle spese locali e poi per il mantenimento della corte.
Cifre superiori risultano da calcoli effettuati da studiosi. Secondo Wang Yeh-chien, il totale delle entrate supererebbe i 70 milioni di liang (tael).
Si nota la differenza fra i dati forniti dalle fonti ufficiali e quelli che si presumono effettivi. Una parte delle riscossioni tributarie evidentemente non risulta dai documenti ufficiali o comunque non arriva al governo centrale. Da stime sul prodotto nazionale lordo dell’impero verso la fine del XIX secolo, risulta che lo Stato è in grado di controllarne al massimo il 7%, di cui metà è gestito dall’amministrazione locale. Si conferma perciò lo stato di debolezza delle capacità finanziarie del governo, già notate nel periodo Ming.
Il principale sistema dello Stato per assicurare le entrate e contemporaneamente una perequazione fiscale fra i sudditi è costituito, in epoca Ming, da due tipi di registri, istituiti da Hongwu: i Registri delle imposte e delle corvées, fuyice, più comunemente conosciuti con la denominazione di Registri gialli, huangce, e i Registri catastali a squama di pesce, yulintuce. Tali documenti hanno l’obiettivo di offrire un quadro aggiornato della situazione agraria dell’impero, con periodiche revisioni (ogni dieci anni). I Registri gialli vengono isti...