Storia della letteratura greca
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Storia della letteratura greca

Dalle origini all'età imperiale

  1. 332 pagine
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Storia della letteratura greca

Dalle origini all'età imperiale

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La letteratura greca dalle origini all'età imperiale, attraverso i suoi grandi autori e i principali movimenti.Il volume contiene un profilo storico essenziale della letteratura greca antica così organizzato: dopo una sintetica introduzione storica, attraverso profili schematici ma adeguatamente informativi, il lettore è accompagnato a incontrare Omero (Iliade e Odissea), i maggiori lirici greci (fra cui Archiloco, Mimnermo, Solone, Saffo, Alceo, Anacreonte, Alcmane, Pindaro e così via), i grandi autori di teatro ancora oggi continuamente messi in scena e ripresi (Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane), i filosofi che hanno aperto le strade del pensiero occidentale (Socrate, Platone, Aristotele, i Cinici, gli Epicurei), i padri della storiografia (Erodoto, Tucidide, Polibio), dell'oratoria (Lisia, Isocrate, Demostene), della medicina (Ippocrate e Galeno), gli innovatori della poesia in età ellenistica (Callimaco, Apollonio Rodio, Teocrito), i movimenti letterari dell'età imperiale, la nascita di una letteratura cristiana nei primi secoli del Cristianesimo.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858115985

1. Il mosaico delle «pòleis»

1. I primi Greci: i Micenei

L’età del bronzo nell’area egea va dal 2800 al 1100 a.C. circa e si definisce Elladico per la Grecia, Cicladico per le isole dell’Egeo, Minoico per Creta. Mentre nell’isola di Creta andava fiorendo la civiltà minoica (1900-1450), testimoniata dalle rovine dei grandi palazzi (come Cnosso e Festo), sul continente il tenore di civiltà restava a un livello assai inferiore. Fra il 2000 e il 1800 popolazioni provenienti dall’Europa centrale giunsero in Grecia attraverso la penisola balcanica: indicate tradizionalmente come Protogreci o Achei, queste genti parlavano una lingua indoeuropea che, a contatto con gli elementi indigeni preesistenti, si trasformò nella lingua greca a noi nota. Il nuovo elemento etnico si affermò, e intorno alla metà del millennio, anche grazie ai rapporti con Creta, si determinò un graduale elevarsi del tenore di vita e prese consistenza la civiltà micenea, che si colloca cronologicamente fra il 1600 e il 1100 e prende nome dalla località di Micene, nel Peloponneso, dove si ebbero i primi importanti ritrovamenti archeologici.
I centri abitati del mondo miceneo erano caratterizzati da un palazzo, intorno al quale ruotava la vita economica della popolazione e del territorio circostante. L’organizzazione sociale era dominata da aristocrazie guerriere, guidate dai “sovrani” che vivevano nei grandi edifici fortificati. Gli splendidi manufatti artistici, le imponenti rovine dei palazzi e delle necropoli, l’evidenza di un’ampia attività commerciale documentano il grado di sviluppo cui era arrivata la civiltà micenea e la potenza dei signori che dominavano i vari centri. Nel periodo di maggiore fioritura, i secoli XIV e XIII, i Micenei si espansero per il Mediterraneo, conquistarono Creta e, con una frequentazione costiera fatta di empori commerciali, raggiunsero le isole dell’Egeo, la fascia costiera dell’Asia Minore e anche l’Occidente.
Mentre per il periodo precedente abbiamo testimonianze scritte scarse e per di più non ancora decifrate, per l’età micenea considerevoli documenti scritti sono stati trovati e decifrati. Le tavolette di argilla incisa, rinvenute negli archivi di grandi palazzi (Cnosso, Pilo, Micene, Tebe), recano per lo più registrazioni contabili, vergate in una scrittura sillabica (cioè nella quale a un segno corrisponde una sillaba) detta “Lineare B” (sviluppo della precedente “Lineare A” usata a Creta). Quando nel 1953 l’architetto inglese Michael Ventris, coadiuvato dal filologo classico John Chadwick, decifrò la “Lineare B”, si comprese che il miceneo era una forma arcaica di lingua greca e che i Micenei parlavano greco. La tecnologia scrittoria della “Lineare B” scomparve con la fine della civiltà micenea: mentre la lingua rimase la stessa, pur con forti evoluzioni, nel I millennio fu adottata un’altra scrittura, questa volta alfabetica. Dal II millennio a.C. a oggi, dunque, la documentazione della lingua greca copre un arco di tempo più lungo di ogni altra lingua indoeuropea. La continuità linguistica tra mondo miceneo e Grecia arcaica pone il problema della possibile continuità di forme poetiche: un problema spinoso, anche per il fatto che quanto abbiamo del miceneo attesta l’uso della scrittura per scopi pratici, essenzialmente amministrativi, ma nulla lo connette a testi letterari. Se resta un problema aperto la possibile continuità specifica di forme dell’espressione letteraria, non v’è dubbio che i contenuti mitologici della cultura greca dell’età del ferro affondino le loro radici nell’età del bronzo, cioè nel mondo miceneo del II millennio.
Verso la fine del XIII secolo la civiltà micenea cominciò a declinare e la caduta si consumò nell’arco dei secoli XII e XI, periodo nel quale furono distrutti i palazzi di Micene, Tirinto e Pilo. Il fenomeno fu graduale e si è parlato di cause naturali, come terremoti o incendi, oppure di conflitti interni fra strati diversi della popolazione, per esempio fra il signore e l’aristocrazia. Se gli indizi di distruzione violenta possono imputarsi a cause naturali o interne, rimane il fatto che i palazzi, diversamente che in precedenza, non furono più ricostruiti, segno di un netto peggioramento della situazione economica e culturale. Il crollo della civiltà micenea è connesso a un altro dibattuto problema della storia greca più antica, l’invasione dorica (cioè l’arrivo in Grecia dell’ultima etnia del mosaico greco, i Dori): un evento migratorio da includere nel generale contesto di spostamenti di popoli nel Mediterraneo orientale negli ultimi secoli del II millennio, che cambiò l’assetto etnico e politico della regione e segnò la cesura fra l’età del bronzo e l’età del ferro. Iniziarono i cosiddetti “secoli bui” (XI-IX) del Medioevo ellenico: il tenore di vita calò in modo impressionante, la popolazione diminuì, l’arte figurativa e l’attività architettonica si ridussero a livelli molto bassi, l’uso della scrittura venne meno. Anche se oggi non si parla più di rottura totale rispetto alla cultura micenea, una certa discontinuità è innegabile, marcata da «due fatti storicamente ineludibili: la fine dei palazzi micenei e delle società e culture palaziali, e la nascita di qualcosa di fondamentalmente nuovo nei secoli bui, la pòlis, cioè la realtà sociale e istituzionale intorno a cui ruota tutta la storia della Grecia classica» (D. Musti, Storia greca, Roma-Bari 1989, p. 74).
Sul finire del II millennio il contatto fra i popoli del Mediterraneo orientale sembra arrestarsi per un secolo circa, ma già tra X e IX secolo ci sono evidenti prove di scambi: presenze di cultura materiale di matrice orientale in Grecia, presenze greche e fenicie a Cipro. In questi due secoli si colloca un particolare fenomeno migratorio, definito “colonizzazione ionica” o anche “prima colonizzazione”, che vede gruppi di genti provenienti dalla Grecia spostarsi in alcune isole dell’Egeo e sulle coste occidentali dell’Asia Minore: secondo le ricostruzioni storiche tradizionali, genti eoliche (dalla Tessaglia e dalla Beozia) si insediarono nell’isola di Lesbo e sulla costa asiatica antistante, genti ioniche (dall’Attica e dall’Eubea) nelle Cicladi e sulla costa di mezzo dell’Asia Minore, genti doriche a Rodi, Cos e sulla costa antistante.

2. Alto e medio arcaismo: i Greci fra oriente e occidente

L’età arcaica della storia greca comprende il periodo che va dalla fine del Medioevo ellenico, segnata dalla reintroduzione della scrittura in Grecia (documentata dal 775-750 a.C.), alla conclusione delle guerre persiane (490-479 a.C.). Nei primi due secoli di quest’epoca, l’VIII e il VII, definiti anche “alto” e “medio arcaismo”, si verificano due fenomeni storici di vastissima portata: il compimento del processo di formazione della pòlis e la grande colonizzazione, cioè la fondazione di colonie in aree esterne alla penisola greca in Oriente e in Occidente. Le pòleis greche e magnogreche consolidarono il proprio potere nel corso del VI secolo fino alla fine delle guerre persiane, che segnano l’inizio dell’ascesa di Atene. Quest’ultimo periodo è anche denominato “basso arcaismo”.
Venuta meno la struttura economico-sociale dei palazzi micenei, durante i “secoli bui” si iniziò gradualmente il passaggio a quella della pòlis o città-stato autonoma, cioè alla forma socio-politica tipica del mondo ellenico nel corso delle età arcaica e classica. Il fenomeno giunse a compimento nel corso dell’VIII secolo, quando si realizzò il passaggio da un assetto di tipo monarchico a quello di comunità socialmente strutturate sotto il controllo dell’aristocrazia terriera o, in altri termini, alla città aristocratica. A quanto pare, gli insediamenti d’Asia Minore contribuirono con stimoli decisivi alla nascita della città-stato, anche sotto l’influenza dei modelli urbanistici del Vicino Oriente. Tuttavia pare verosimile che il modello comune di pòlis cui si giunge nell’VIII secolo sia il risultato di un lungo periodo, nel quale convivono e si contaminano modelli insediativi diversi. Ogni singola città, comprendente l’agglomerato urbano e il territorio rurale circostante disseminato di villaggi e fattorie, costituiva un soggetto statale autonomo e indipendente. Un tale “particolarismo” poteva portare a precarietà economica e rivelarsi pericoloso dal punto di vista militare: per ovviare a queste evenienze, fin da tempi remoti fiorì un tessuto di iniziative interstatali e panelleniche, come alleanze politico-militari e religiose (le anfizionìe, tra cui famosa e influente fu quella di Delfi). Tuttavia, fino alla fine dell’età classica i Greci non conobbero né cercarono un modello di Stato territorialmente esteso, benché i rapporti con i vasti e potenti regni orientali ne proponessero loro cospicui esempi.
Nella pòlis arcaica l’amministrazione cittadina cessava di essere in balía dell’instabile volontà dei monarchi ed era affidata a figure istituzionalizzate: pubblici magistrati (scelti tra i nobili) e l’assemblea del corpo civico più o meno ampio. Anche la forma urbanistica andò modellandosi sulle esigenze della comunità e assunse una tipica struttura con spazi destinati alle attività pubbliche. L’agorà (“piazza”) era il luogo d’incontro dei cittadini, dove si svolgevano attività di carattere politico ed economico (il mercato) e dove si trovavano templi e altri edifici legati al culto e all’amministrazione. L’acròpoli rivestiva il ruolo simbolico di cuore istituzionale e religioso: era la parte più alta della città, difficilmente accessibile e difesa da mura, così da costituire il baluardo di difesa in caso di attacchi esterni. Naturalmente, in una società essenzialmente agricola, il grosso della popolazione risiedeva nella campagna circostante (chòra), di cui la città costituiva il fulcro, senza che si avvertisse una forte separazione: l’idea di cittadinanza non era affatto associata al solo spazio urbano.
Un fenomeno caratteristico della storia sociale delle pòleis arcaiche sono i conflitti dovuti a ragioni economiche, come lo sviluppo del latifondo con conseguente impoverimento e indebitamento dei piccoli proprietari e la crescita di una classe mercantile che aspirava a un ruolo politico. A parte la valvola di sfogo rappresentata dalla colonizzazione, che consisteva in una fuoriuscita organizzata di parti del corpo civico in cerca di nuove terre, una forma interna di superamento delle crisi sociali consisteva nell’affidarsi a una figura carismatica di legislatore-riformatore al di sopra delle parti. Una crisi poteva sfociare nell’instaurarsi di una tirannide: il tiranno era un “uomo forte” di estrazione aristocratica che, spesso con l’appoggio di strati meno abbienti della popolazione, riusciva a sottrarre il potere ad altri gruppi dell’aristocrazia e affermava un dominio personale, legittimato da un largo consenso popolare. Il fenomeno interessò il VII e il VI secolo e produsse vere e proprie dinastie (anche se in genere non oltre le due o tre generazioni). A questi fenomeni di conflittualità interna e alle loro soluzioni socio-politiche restò estranea la città di Sparta, la cui organizzazione sociale, fatta risalire all’iniziativa del legislatore Licurgo (VIII secolo), escludeva a priori qualsiasi aspirazione al potere decisionale da parte di coloro che non appartenevano per sangue al ceto degli Spartiati (gli Spartani “originari”); inoltre, Sparta si era guadagnata l’autosufficienza economica occupando la vicina regione della Messenia in due successive guerre, tra la metà dell’VIII e la metà del VII sec. a.C.
Nel corso di quegli stessi secoli VIII e VII un fenomeno propriamente coloniale, definito “seconda” o “grande colonizzazione”, si produsse con ondate di ampia portata in due direzioni: verso Oriente, con la fondazione di città greche sulla costa egea dell’Asia Minore, spesso sul sito di insediamenti per lo più commerciali già sorti in età micenea e poi abitati dai Greci nell’XI e nel X secolo; e verso Occidente, con la colonizzazione dell’Italia Meridionale (Megàle Hellàs, Magna Grecia), dove per prima fu fondata Pitecussa, nell’isola di Ischia (ca. 770 a.C.), e della Sicilia, in cui la prima colonia greca fu Nasso, sulla costa nord-orientale dell’isola (734 a.C.). È probabile che a stimolare nuove fondazioni abbiano contribuito i motivi già ricordati di natura politica ed economica. In genere le colonie erano lontane dalla madrepatria, per cui, nonostante la naturale conservazione di forme culturali omogenee, normalmente avevano una completa e riconosciuta autonomia. Poiché la relazione fra madrepatria e colonia di solito si faceva via via più labile, non si può propriamente applicare alle pòleis un concetto di colonialismo che comporta un rapporto preferenziale stabile nel tempo.

3. Basso arcaismo: le «pòleis» emergenti

Rispetto al panorama politico frammentato ma sostanzialmente omogeneo del periodo precedente, il VI secolo segna il graduale emergere di alcune pòleis sul piano sociale, istituzionale ed economico. Alcune comunità, fra cui soprattutto Corinto, sviluppano ulteriormente e rafforzano la propria dinamica vocazione mercantile in ambito marittimo e coloniale. Sparta cristallizza in senso militare le antiche istituzioni oligarchiche e il proprio sistema socio-economico improntato a una rigida autarchia, non disgiunta da una crescente influenza sulle altre città peloponnesiache. Ma avvenimenti particolarmente incisivi si registrano nella storia interna di Atene, dove si pongono le premesse del ruolo egemonico politico-culturale esercitato dalla città nel V secolo, insieme al passaggio dalla democrazia moderata di marca aristocratica a una forma di “democrazia radicale”, con la definizione di un assetto in continua evoluzione in senso popolare. Solone, eletto verso il 594/3 a.C. arconte con funzione di diallaktès («intermediario, arbitro»), attuò un programma di riforme volte a scongiurare la spirale di conflittualità interna mediando tra le istanze dell’aristocrazia latifondista e la drammatica situazione di gran parte del corpo sociale: tra gli effetti vi fu che un maggior numero di cittadini ebbe accesso alle cariche politiche, a scapito del privilegio assoluto delle famiglie aristocratiche. L’avanzamento verso una forma costituzionale democratica non scongiurò la discordia civile. Tre decenni dopo Atene si unì al numero delle città soggette al dominio di un tiranno: Pisistrato prese il potere verso il 560, a quanto pare perdendolo e riacquistandolo una o due volte fino alla morte nel 528/7. Egli non abrogò le riforme istituzionali di Solone, dette impulso all’economia con un vasto programma di opere pubbliche e adottò un’interessata politica culturale volta a rafforzare il consenso. Dopo la sua morte, il potere passò ai figli Ippia e Ipparco, che nel 514/3 cadde sotto i colpi dei congiurati Armodio e Aristogitone: il regime allora si inasprì in modo insopportabile, fino alla cacciata di Ippia nel 510. Atene era matura per formalizzare sul piano istituzionale l’aspirazione popolare di partecipare al potere. Interprete di questo passo verso la democrazia fu Clistene nel 508/7 a.C. Ispirandosi alla politica soloniana, egli assestò il colpo decisivo all’antica struttura gentilizia su cui si basava lo Stato ateniese: alle quattro tribù tradizionali di carattere genetico, egli sostituì dieci tribù territoriali, definite cioè in base al luogo di residenza dei cittadini con una mescolanza di ceti sociali. Ciascuna tribù forniva per sorteggio cinquanta componenti all’assemblea legislativa, la boulè (Consiglio) dei Cinquecento, e contribuiva proporzionalmente e a rotazione alle diverse magistrature. A Clistene si attribuisce anche l’introduzione dell’istituto dell’ostracismo (la possibilità di comminare l’esilio per volontà popolare) quale antidoto contro gli abusi di potere.
Il VI secolo rappresenta anche il periodo di massima fioritura delle città greche dell’Italia meridionale e della Sicilia. Lo sviluppo di alcuni centri determina un fenomeno che resterà peculiare di quest’area del mondo greco, e cioè la tendenza all’espansione territoriale mediante la conquista e l’annessione di terre e città confinanti: questa propensione si manifesta pienamente nella fase finale del secolo, quando si interseca con l’affermarsi di regimi tirannici, spesso fondati, diversamente da quanto accadeva nelle analoghe esperienze della madrepatria, sul consenso del ceto aristocratico. Tra la fine del VI e l’inizio del V secolo si affermano tirannidi a Gela (Cleandro e poi il fratello Ippocrate, cui succedono Gelone, fino al 485, e poi suo fratello Ierone), a Siracusa (lo stesso Gelone, dal 485, al quale succede il fratello Ierone nel 478), ad Agrigento (Terone), a Imera (Terillo) e a Reggio (Anassila). La politica espansionistica dei tiranni seguì percorsi spesso tortuosi, nutriti di alleanze e conflitti, rapporti di parentela e intrecci dinastici, studiate politiche matrimoniali; inoltre dovette misurarsi con l’ostilità delle popolazioni indigene (Siculi e Sicani) e con gli interessi di Cartagine nell’isola.
Sullo scacchiere geografico opposto, nel mondo greco orientale, il VI secolo vide l’avanzata del potente impero persiano in Asia Minore. La politica espansionistica dei sovrani Ciro II il Grande (559-529) e Cambise (529-522) inglobò gli antichissimi regni di Lidia (546), di Babilonia (539) e d’Egitto (525) e arrivò fino alla costa egea dell’Anatolia, assoggettando anche le pòleis greche della fascia costiera. Il re Dario (522-486) mise in atto un programma di attacco militare al mondo greco, in almeno tre distinti momenti: la cosiddetta spedizione scitica (513), indirizzata contro gli Sciti dell’area danubiana ma che interessò anche la Tracia; un fallito tentativo di prendere l’isola egea di Nasso, che provocò la “rivolta ionica” delle città greche (499-494), conclusasi tragicamente con la distruzione di Mileto; e infine la prima guerra persiana, in cui le truppe ateniesi fronteggiarono e respinsero l’invasore nella pianura attica di Maratona (490). Atene intese la vicenda come un severo monito sulle mire della Persia nei confronti della Grecia. A questa consapevolezza rispose la preveggenza politica e strategica di Temistocle, che ottenne ingenti stanziamenti pubblici per l’allestimento di una flotta di triremi da guerra e per la costruzione di mura difensive per la città. Nell’estate del 480, sotto la guida di Serse I (485-465), un’imponente flotta persiana si affacciava nell’Egeo e un esercito di fanti e cavalieri penetrava da nord-est nella penisola greca: iniziava la seconda guerra persiana. Le pòleis, coalizzate in gran numero contro il comune nemico, evitarono lo scontro terrestre puntando su quello marittimo. Dapprima un contingente greco, guidato dallo spartano Leonida, rallentò la marcia dei Persiani nel passo montano delle Termopili, in Tessaglia; poi la parte della penisola a nord di Corinto fu evacuata e abbandonata alle devastazioni e ai saccheggi del nemico (anche l’acropoli di Atene fu invasa e incendiata). Dopo un primo confronto presso il capo Artemisio, al largo dell’isola Eubea, le navi persiane e greche vennero a battaglia nello stretto fra l’isola di Salamina e la costa sud-occidentale dell’Attica, dove gli alleati greci riuscirono a decimare la flotta nemica. L’anno seguente (479) il successo fu coronato dalla vittoria terrestre di Platea, in Beozia, e dalla vittoria navale al promontorio Micale, in Asia Minore. Per l’enorme impero persiano, eventi bellici così marginali non potevano produrre effetti gravi: la Persia restava la più seria minaccia per la Grecia e per questo le pòleis accolsero in gran numero l’invito ateniese a mantenere attiva una coalizione militare a scopo difensivo. In virtù della sua comprovata forza navale e dei meriti acquisiti nella decisiva battaglia di Salamina, Atene assunse la guida della coalizione, che prese il nome di Lega Delio-Attica, avendo sede nell’isola egea di Delo (478/7). Erano poste le premesse formali e materiali per l’egemonia ateniese dei decenni seguenti.

4. Circolazione delle idee e comunicazione letteraria

Forme di comunicazione e circolazione di idee fra le diverse comunità erano favorite dai traffici commerciali, dai movimenti di coloni attraverso il Mediterraneo, dalle occasioni ufficiali di relazione politica e diplomatica. Imp...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. La letteratura greca antica e la sua trasmissione
  2. Età arcaica
  3. 1. Il mosaico delle «pòleis»
  4. 2. L’epica
  5. 3. La lirica
  6. Età classica
  7. 1. Splendore e declino della «pòlis»
  8. 2. La «pòlis» allo specchio: il teatro
  9. 3. La letteratura filosofica e scientifica
  10. 4. Il racconto razionale dell’uomo: la storiografia
  11. 5. Discorsi nella città: l’oratoria
  12. Età ellenistica
  13. 1. Nuovi orizzonti
  14. 2. Il teatro oltre la «pòlis»
  15. 3. Poeti eruditi, eruditi poeti
  16. 4. La prosa ellenistica: una storia di naufragi
  17. Età imperiale
  18. 1. La civiltà greco-romana
  19. 2. Nel segno della retorica
  20. 3. La letteratura cristiana
  21. Bibliografia