Palinsesto
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Palinsesto

Storia e tecnica della programmazione televisiva

  1. 212 pagine
  2. Italian
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Palinsesto

Storia e tecnica della programmazione televisiva

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Il palinsesto è la sequenza di tutto ciò che viene trasmesso in televisione nella giornata, nella settimana, nel mese. Ma è anche un mosaico di contenuti eterogenei, è un processo di composizione sempre presente per gli addetti ai lavori, è l'elemento che definisce l'identità e il 'sapore' dell'offerta per gli spettatori. Luca Barra affronta per la prima volta in modo sistematico il tema del palinsesto: gli strumenti e le regole del buon programmatore, le logiche che sottostanno alla sua composizione, l'evoluzione storica dei palinsesti italiani, gli effetti del digitale e del multichannel. Un volume fondamentale per comprendere l'elemento principe della grammatica televisiva e i suoi sviluppi futuri.

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Informazioni

1. Definizioni

La tv è uno strumento tecnico [...] in base al quale una certa organizzazione
fa pervenire a un pubblico, in determinate condizioni di ascolto,
una serie di servizi, che possono andare
dal comunicato commerciale alla rappresentazione dell’Amleto.
Ora, parlare in blocco di ‘estetica’ di un tale fenomeno,
sarebbe come parlare di estetica di una casa editrice.
Umberto Eco (1964: 322-323)
La perdita dell’oggetto, il ricatto del contenuto, l’alterazione ideologica,
la prevaricazione degli intenti sui risultati, questo hanno prodotto: lo schiacciamento delle cose,
dei gesti, degli errori in una dimensione che non è più né falsa né autentica, ma solo fungibile.
L’unica caratteristica che conta è l’adattabilità al processo di assemblaggio.
Edmondo Berselli (1994: 154)
Guardare la televisione. L’azione è semplice, scontata, persino banale: radicata stabilmente nelle pratiche quotidiane, messa oggi in questione nelle forme (e piattaforme) ma certo non nella sostanza. L’espressione, invece, lo è meno: una sineddoche, che utilizza una totalità per indicarne solo una parte, una porzione. Il medium nel suo complesso, invece di un segmento, anche confuso, di ciò che viene trasmesso, o al posto di un singolo programma, contenuto dai bordi e dall’identità piuttosto chiari. Si guarda la televisione, l’insieme indistinto della sua multiforme proposta; solo di rado, invece, si vede un testo specifico, sintonizzandosi al momento giusto e restando davanti allo schermo fino alla fine.
Guardare la televisione. La frase più ovvia porta nascosti con sé alcuni tratti distintivi del mezzo, che a differenza di altre forme comunicative si cristallizza solo di rado in un oggetto testuale (un libro, un film, una canzone, persino un sito) ma sottolinea la sua natura continua, di servizio sempre disponibile, di tecnologia domestica che diventa (nel complesso) forma culturale. Nel suo consumo televisivo, lo spettatore dà meno valore al contenuto rispetto al fatto stesso di guardare, di stare davanti a un’offerta complessiva, di scegliere di cambiare canale. E, allo stesso modo, la produzione organizza il broadcasting secondo blocchi di dimensione maggiore, cercando di attrarre e trattenere a lungo il pubblico.
Il risultato è che i programmi televisivi non sono (quasi mai) entità singole: anche quando sono indicati per nome, i contorni sfuggono e l’esperienza di visione non è «pura». Di più, i testi non sono (mai) soli, isolati, appoggiati come unità individuali su una rete e ricevuti come tali dagli spettatori. Ogni contenuto, anche in presenza di pause o intervalli, è inserito in una sequenza: una successione ordinata e coerente di programmi, ciascuno dotato di un ruolo e un senso per chi guarda. A un programma ne segue un altro, e poi un altro ancora. Ogni prodotto televisivo si trova situato in un contesto, delineato dal simbolo della rete, da ciò che è stato trasmesso prima (o anche molto prima) e da ciò che sarà mandato in onda dopo (o anche molto dopo). Grazie al contesto i programmi aumentano di valore, perché l’insieme dell’offerta televisiva significa qualcosa in più della semplice somma delle singole parti. Ogni testo è poi composto in una programmazione, un gruppo di elementi molteplici e variegati, ciascuno con formati e funzioni comunicative differenti. Non si tratta di semplice giustapposizione, ma dell’adozione consapevole di un principio ordinatore, più o meno legato al raggiungimento di particolari obiettivi, in costante tensione con l’unicità, individualità e singolarità dei testi.
Nella televisione italiana, questo principio ordinatore, che agisce sui contenuti trasmessi dal medium e insieme, di conseguenza, sulle pratiche del loro consumo, si chiama palinsesto. Un termine arcaico, cui già negli anni Cinquanta si è aggiunto un significato contemporaneo, come mostra in modo chiaro la definizione molteplice del dizionario Devoto-Oli: «1. Manoscritto per lo più pergamenaceo in cui la scrittura primitiva sia stata raschiata e sostituita con un’altra (spesso disposta trasversalmente rispetto alla prima). 2. scherz. Vecchio scritto reso illeggibile dalle cancellature e dalle correzioni. 3. Prospetto sinottico dei programmi della radiotelevisione, a volte comprendente le ore e i minuti stabiliti per le singole trasmissioni radiofoniche e televisive; estens. programmazione televisiva». La parola scelta dai primi dirigenti della Rai per indicare la griglia di base che regola le trasmissioni, impostasi poi comunemente nell’uso degli addetti ai lavori e del pubblico, cerca di nobilitare il mezzo appena nato mediante il ricorso a una tradizione umanistica condivisa da quei professionisti di buona cultura, e richiama i codici e le pergamene manoscritte, cancellate e poi riscritte nuovamente, attraverso le cui stratificazioni sono giunti molti testi greci e latini: il termine greco palímpsestos significa infatti «raschiato di nuovo», con la combinazione dell’avverbio pálin, «di nuovo», e di pséstos, participio passato del verbo psáo, «raschiare, sfregare». Che sia stata compiuta per eccesso di seriosità, con l’intenzione di giustificarsi o invece con un retrogusto ironico e scherzoso, la scelta si è rivelata comunque estremamente efficace a indicare con chiarezza il nuovo strumento, caratterizzato proprio da correzioni e modifiche costanti.
Come una pergamena da cui in controluce affiorano le tracce di scritture precedenti, allo stesso modo il piano giornaliero o settimanale delle trasmissioni televisive reca segni di gomma e correzioni in altri colori, riporta schemi impiegati in precedenza cui si aggiungono novità e cambi in corsa, tiene assieme svariate decisioni e punti di vista, porta i segni di lunghe elaborazioni e improvvisi ripensamenti. Come un palinsesto classico, quello televisivo può essere impiegato per ricostruire le logiche e i criteri della programmazione, e analogamente presenta lacune e passaggi difficili da ricostruire. Inoltre, proprio come i copisti medievali trascrivevano pazientemente i codici, anche l’attività di messa in forma di un palinsesto è un’operazione che richiede calma e prospettiva, che opera strategicamente sul lungo periodo e tatticamente nel giro di poche ore. Ed è un processo continuo, dettato dalla messa in onda in ogni minuto del giorno, ogni giorno della settimana, e tendenzialmente infinito: se l’uso del termine fatto dal discusso antropologo Cesare Lombroso – che nel suo Palinsesti del carcere, pubblicato a Torino nel 1888, chiama in questo modo le scritte dei carcerati sulle pareti delle loro celle, il sovrapporsi delle tracce di detenzioni successive – non ha probabilmente avuto alcun impatto sui primi dirigenti del servizio pubblico, la dimensione «forzosa» del palinsesto fornisce almeno una piccola suggestione.

1. Un oggetto molteplice

Il palinsesto porta strutturalmente con sé, nella parola che lo identifica, le operazioni continue di aggiustamento e riscrittura che ne caratterizzano l’elaborazione, la sensazione costante che tutto possa essere corretto e non vi sia nulla di definitivo (almeno fino alla messa in onda), ma anche la presenza di un ulteriore significato garantito proprio dalla sovrapposizione, un valore che emerge da un ordine e una combinazione sempre mutevoli (e spesso mutati), e va a completare quello dei singoli programmi. Il termine è così «evocatore di elaborate riscritture, di sovrapposizione di segni, di uso intensivo delle risorse» (Rizza, 1989: 9), a descrivere un oggetto multiforme, instabile e contraddittorio: mettendo in fila alcune fra le suggestioni, il palinsesto affiora come «desiderio di cancellare i segni altrui, tabula rasa da riempire, imposizione di una scrittura sull’altra, ma anche compresenza di scritture, riaffiorare di tracce che si pensavano raschiate, luogo di sedimentazione e di provvisorietà, territorio del pastiche e della contaminazione» (ibid.). La griglia di programmazione crea senso grazie alla logica combinatoria e alle scelte sui tasselli da cancellare o da inserire, sovrapponendosi come un ulteriore strato all’ordine degli addendi e almeno in parte ridefinendoli: «la scrittura del palinsesto è sempre una riscrittura, e quindi una manipolazione più o meno graduata, più o meno evidente, dei testi» (ivi: 44). Le modifiche non sono neutre, né nei loro risultati né nelle motivazioni che le guidano, ma dovute «a ripensamenti, cancellazioni, pressioni politiche» (Morcellini e Sorice, 1999: 247), a logiche e punti di vista distinti, ai vari modi di esercitare un controllo o perseguire un’idea. Ancora, la riscrittura non è solo un dato, che si trova sulla griglia di programmazione, ma un’azione, un intervento attivo su quella griglia: come nel palinsesto dei filologi si conducevano le operazioni, «potenzialmente senza fine, di scegliere quale testo sacrificare al nuovo manoscritto, di cancellarlo restituendo alla pergamena il suo valore di spazio vuoto, di sovrapporre una nuova scrittura destinata, a sua volta, a essere cancellata in un secondo momento» (Aroldi, 2005: 247), allo stesso modo quello televisivo è il risultato di scelte, considerazioni, valutazioni esercitate costantemente dai programmatori e da altri soggetti con ruolo decisionale, sulla base di criteri propri o di (presunti) comportamenti del pubblico. Infine, come i codici e le pergamene, il palinsesto è fragile, destinato a scomparire una volta trasmesso: costruirlo è, ricorrendo a una metafora, «scrivere sull’acqua [...], materia fluida per eccellenza, dove ogni segno è destinato a durare l’attimo in cui lo si traccia, per poi scomparire nei gorghi che il gesto stesso ha generato» (Aroldi, 2007: 46).
La ricostruzione dell’etimologia del termine, e dell’insieme di implicazioni e presupposti che contiene, aiuta a comprendere meglio il ruolo cruciale e la complessità del palinsesto nel contesto televisivo. Al tempo stesso, però, l’adozione di questa parola è una specificità italiana: altre lingue, altri mercati e altri professionisti hanno infatti compiuto scelte differenti, spesso altrettanto interessanti. In tedesco, il termine è piano, lineare: l’insieme della programmazione è, semplicemente, das Fernsehprogramm, appunto «programma (lista, elenco) televisivo», mentre l’operazione di composizione del palinsesto è indicata come Programmgestaltung, la «configurazione» di tale programma. La lingua francese e quella spagnola, invece, adottano il termine «griglia», chiamando il palinsesto rispettivamente grille e parrilla, a volte specificato con l’aggiunta del genitivo «di programmazione», ma più spesso impiegato da solo. Infine, in inglese la parola usata è schedule, «orario, piano, tabella», mentre il verbo che ne regola la costruzione è scheduling, in alternativa a un più ampio (e vago) programming che non si limita a indicare la scelta delle collocazioni orarie ma include le attività (spesso connesse) di produzione dei programmi. Ogni lingua e ogni paese sembra così concentrarsi su un solo elemento, che isola alcuni aspetti della forma o del ruolo del palinsesto e solo combinato insieme agli altri ne dà un quadro completo: i termini tedesco, francese e spagnolo mettono in evidenza il risultato, l’oggetto fisso e stabile che si compone al termine delle varie operazioni, ora nella monodimensionalità della lista e del programma degli spettacoli, ora invece nelle due dimensioni di una griglia fatta di righe e colonne; la parola inglese indica in particolare la funzione, lo scopo per cui l’oggetto è impiegato, e collega la griglia a una dimensione temporale, al fluire del tempo nelle sue scansioni; infine, la definizione italiana, inequivocabilmente più articolata e fantasiosa, sottolinea il processo di costruzione dell’oggetto, la sua connaturata mobilità e instabilità, la ricchezza delle scelte possibili e la stratificazione delle convenzioni e abitudini.
A rendere ancora più denso il termine, e il suo significato, interviene inoltre una certa libertà di utilizzo: la parola è impiegata dagli addetti ai lavori ma anche dalla generalità del pubblico, il «valore semantico si estende o si restringe a seconda dei contesti» (Aroldi, 2007: 29), e possono emergere sfumature diverse, o persino incomprensioni. La definizione di palinsesto è composita, intrecciata e stratificata proprio come il manufatto filologico a cui fa riferimento, e può essere utile tracciare le sue differenti occorrenze, le metafore impiegate, le confusioni e i tratti distintivi, le specificazioni e i vari modelli, a tentare di mettere insieme un quadro comunque inevitabilmente incompleto, sempre in progress.
Innanzitutto, in termini generali, il palinsesto opera su tre livelli: ha una dimensione sintattica, legata alla disposizione degli elementi in un ordine secondo regole e strategie, dove funziona come una «tessitura che mette in relazione i segni» (Aroldi, 2001: 245), i programmi e gli altri contenuti, come una «struttura relazionale che decreta i rapporti tra gli elementi che contiene» (Rizza, 1986b: 18); ha una dimensione semantica, dal momento che la disposizione influenza i significati dei prodotti e i modi della loro ricezione (e successo) da parte del pubblico; infine, ha una dimensione pragmatica, di «marca» caratterizzata da scopi comunicativi (Bettetini, 1984: 37) e impiegata nello sviluppo e mantenimento di una diretta relazione con gli spettatori, attraverso indicatori e testi ad hoc. Ma al di là di questa tripartizione, che distilla tre obiettivi che comunque procedono spesso insieme, inscindibili, il palinsesto è poi stato definito, pensato, utilizzato attraverso una grande varietà di letture e interpretazioni, che mettono in evidenza singoli aspetti (magari tralasciandone altri) e nel loro complesso danno forma all’oggetto.

1.1. Macro-testo, mosaico, ordine

Il palinsesto è un macro-testo. Se l’unità base della testualità televisiva è il programma, come vuole il senso comune, ma come è già almeno in parte posto in discussione dalle modalità stesse del guardare la televisione, allora la griglia di programmazione è il testo di secondo livello che lo contiene, un «testo dei testi» che trascende i singoli contenuti e li mette assieme in una costruzione più complessa. L’ordine, la collocazione e la composizione dei singoli programmi creano collegamenti trasversali, «relazioni di natura contestuale e, soprattutto, intertestuale. Ogni testo si manifesta comunicativamente in compagnia di altri testi che lo precedono, lo seguono o addirittura ‘escono’ contemporaneamente su canali diversi» (ivi: 38). E, come risultato, «il palinsesto generale e le sue parti si offrono all’analisi come altrettanti ‘macro-testi’ per ciascuno dei quali è possibile fare ipotesi su un corrispettivo ‘macro-spettatore-modello’ di azienda, di rete, di fascia oraria» (Pozzato, 1995: 174). Il «testo al quadrato» è così un oggetto a sé stante, con caratteristiche, modalità comunicative e obiettivi propri, in accordo (oppure in disaccordo) con quelli dei materiali che lo compongono. Il palinsesto trascende le singole specificità in vista di un risultato comune e condiviso, le organizza e ne fa persino un punto di forza: un «macro-testo di successo [...], strutturazione in grado di prevedere, anticipare e assecondare le attese e le aspettative del pubblico, andando incontro alla situazione e alle condizioni di fruizione che lo caratterizzano per garantire la massima ‘felicità’ comunicativa ai singoli testi» (Aroldi, 2001: 252); una «matrice di innumerevoli combinazioni possibili» (ivi: 247), e un insieme di rimandi da un testo a un altro, e poi a un altro ancora, come nella metafora impiegata (in ambito esclusivamente letterario) da Genette (1982).
Il palinsesto è un mosaico. Proprio come, nella lettura di Marshall McLuhan, «l’immagine televisiva è un mosaico di puntini chiari e scuri» e il medium «chiede in ogni istante di ‘chiudere’ gli spazi del mosaico con una convulsa partecipazione dei sensi che è profondamente tattile e cinetica» (McLuhan, 1964: 334) e «tatua il suo messaggio direttamente sulla nostra pelle» (McLuhan, 1969: 31), allo stesso modo il flusso della programmazione mette insieme contenuti disparati e chiede allo spettatore (consapevole o meno, poco importa) di unirli e tenerli assieme. I programmi, le pubblicità e i testi promozionali danno varietà al flusso, ma vanno a comporre un quadro dove ogni tessera è attentamente posizionata dai programmatori per ottenere un effetto preciso sul pubblico che lo riceve. A volte i contenuti presuppongono una collocazione preferenziale, e allora il «supertesto televisivo» diventa un «puzzle» da ricostruire con impegno (Capello, 2001: 145). Il mosaico prevede poi un bordo, una soglia che lo definisce (Genette, 1987), una cornice «capace di governare le parti che lo compongono» (Rizza, 1989: 9): i tasselli delinean...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Definizioni
  3. 2. Tecniche
  4. 3. Storie
  5. 4. Prospettive
  6. Bibliografia