1407. La fondazione del Banco di San Giorgio
di Giuseppe Felloni
1. Introduzione
Sebbene il vecchio Banco di San Giorgio sia deceduto due secoli fa, nel 1805, il suo ricordo è ancora vivo a Genova. È vivo nelle sue pietre, si pensi al palazzo del Consorzio autonomo del porto che ne fu la sede; è vivo nei bassorilievi in marmo che costellano i frontoni delle case del centro storico, con san Giorgio in lotta con il drago; è presente nella cultura cittadina, dove trattando del passato una segnalazione della casa è d’obbligo, e lo è anche nei libri italiani e stranieri di storia della finanza e della banca. Ci sono addirittura due grandi storici, lo statunitense Charles P. Kindleberger, che forse è la massima autorità in materia, e il francese Fernand Braudel, notissimo per i suoi studi sul Mediterraneo, che considerano quella di San Giorgio la prima banca moderna e un embrione di banca centrale che precede di quasi tre secoli la Banca d’Inghilterra.
2. Le premesse storiche
Come accade sovente, forse sempre, la nascita di una nuova istituzione pubblica non si verifica in tempi di bonaccia per sperimentare ulteriori miglioramenti di una situazione già buona. Al contrario, essa è un tentativo per modificare una situazione che minaccia qualche meccanismo essenziale della vita sociale; è allora, quando sorge una difficoltà grave e ineludibile, che lo Stato deve intervenire ed escogitare qualche nuovo strumento per superare l’ostacolo. L’istituzione della Casa di San Giorgio rappresenta precisamente un mezzo per risolvere un problema ormai improcrastinabile. Per Genova tale problema è il dissesto delle finanze pubbliche, i cui introiti non bastano più a pagare le spese ordinarie dello Stato, che ammontano a circa 50.000 lire, e tanto meno gli interessi passivi, che sfiorano le 300.000 lire, sei volte tanto.
La mole disastrosa del debito pubblico è dovuta per tre quarti alle spese sostenute a partire dalla metà del XIV secolo per le guerre contro Venezia (1351-55, 1372-80, 1403). Tra esse va ricordata la cosiddetta guerra di Chioggia del 1380, un evento assolutamente singolare ed emblematico dei capricci della vita; infatti, dopo aver occupato Chioggia i genovesi stringono d’assedio Venezia ma, quando la città sta per capitolare, giunge in suo soccorso la flotta del Levante, che blocca i genovesi e li costringe alla resa, rovesciando in modo drammatico quella che sembrava una conclusione vittoriosa. A proposito del conflitto tra Genova e Venezia va comunque ricordato che il rapporto di forza tra le due repubbliche è molto diverso; in base al criterio demografico, l’elemento più affidabile per valutare le rispettive potenzialità, la popolazione di Venezia è infatti il doppio di quella di Genova. Se si considera che quest’ultima, per quanto minore della rivale, riesce a tenerle testa per anni, per decenni e addirittura a minacciarla da Chioggia, risulta evidente che la resistenza e aggressività di Genova hanno comportato un costo molto più elevato che nel caso di Venezia. Per il residuo quarto, il debito pubblico genovese del primo Quattrocento è l’eredità di un passato che risale alle origini del Comune.
Com’è noto, a partire dal 1100 Genova ha conosciuto una straordinaria espansione economica che ne ha fatto una delle culle del capitalismo. Stranamente quando si parla di capitalismo si pensa all’industria, che ha la sua esplosione iniziale nell’Inghilterra del Settecento; ma esiste anche un capitalismo finanziario, ossia un sistema economico basato largamente sulla disponibilità di capitali liquidi, e Genova ne è stata una delle culle, forse la più precoce. Non va però dimenticato che l’arricchimento dei privati è stato reso possibile dall’affermazione politica di Genova a livello territoriale e come potenza marittima in ambito mediterraneo; in altri termini, la ricchezza privata è molto cresciuta, ma grazie alle spedizioni militari e alla difesa dei mari che sono state pagate interamente dallo Stato. Per disporre delle grandiose quantità di denaro necessarie per crescere territorialmente e far prosperare la sua gente, il governo genovese ricorre a una finanza creativa, priva di riscontri in altri paesi, ed elabora due strumenti originali che gli permettono di raccogliere dai privati grandi masse di denaro da rimborsarsi non entro pochi mesi, ma nel giro di parecchi anni o addirittura a tempo indefinito. Questi strumenti finanziari si chiamano «compera» e «luogo» e costituiscono due invenzioni genovesi escogitate sotto l’urgenza del bisogno e tanto rispondenti alle necessità statali da essere alla base di tutti i debiti pubblici odierni.
Per capire la natura della compera è sufficiente pensare a ciò che preme anzitutto a un prestatore di denaro: il pagamento dell’interesse e il rimborso del capitale; ambedue questi elementi dipendono dal reddito di cui il debitore dispone. In altre parole, un privato può indebitarsi solo nella misura in cui può garantire i suoi obblighi verso il creditore; quando egli ha impegnato tutti i redditi in prestiti, la sua capacità di indebitamento si esaurisce; ciò è sempre accaduto ed è vero anche per i nostri tempi. In posizione ben diversa è lo Stato, che da questo punto di vista è un debitore ideale perché ha una capacità illimitata di indebitarsi; essendo dotato di potestà sovrana, ogni qual volta ha bisogno di un prestito, può istituire una nuova imposta con cui procurarsi un reddito e pagare gli interessi. Così, l’aumento del debito pubblico si accompagna alla moltiplicazione del carico fiscale.
È precisamente questo il mezzo con cui lo Stato genovese si procura denaro e, come si è ac...