I vandali in casa
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I vandali in casa

Cinquant'anni dopo

  1. 318 pagine
  2. Italian
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I vandali in casa

Cinquant'anni dopo

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Vandalo è chi distrugge l'antico. Ma non solo. Vandalo è chi distrugge l'antico perché la città assuma una fisionomia più consona a interessi privati e non pubblici, perché il suo territorio venga spremuto al pari di una risorsa dalla quale ricavare quanto più reddito possibile. La degradazione della storia e della sua eredità, la manomissione della natura non sono solo violazioni inammissibili di quanto il passato ha elaborato. Sono anche uno dei modi di essere dell'Italia in quegli anni. Questo libro dà il tono di un paese che sarebbe potuto essere diverso da com'è.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858117866

Prefazione. Antonio Cederna e l’Italia sventrata (di Francesco Erbani)

Il primo articolo di Antonio Cederna sul «Mondo» appare a pagina 5 del settimanale diretto da Mario Pannunzio. È datato 2 luglio 1949. Si intitola La terra di nessuno. La terra di nessuno è il nostro patrimonio artistico: è il Museo di Palazzo Venezia a Roma, chiuso per ospitare l’Assemblea Mondiale della Sanità; sono i musei siciliani senza un soldo; è l’Ara Pacis a Roma, costretta «tra le rovine della sua ridicola gabbia color del dentifricio»; sono le pitture delle necropoli di Chiusi e di Orvieto, che rischiano di cadere a pezzi; sono gli affanni della Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma, che ha in dotazione un milione l’anno per la manutenzione, i restauri, la luce, il riscaldamento e con quel che avanza può a malapena sottoscrivere qualche abbonamento a una rivista straniera; e poi c’è la via Appia Antica, dove se un antiquario ha bisogno di un piedistallo per adattarvi una testa del I secolo a.C. da vendere a un collezionista americano può procurarselo in un qualche sepolcro...
Sono i temi che accompagnano Cederna per i diciassette anni di collaborazione al «Mondo», una collaborazione iniziata quando il periodico muoveva i primi passi (La terra di nessuno esce sul numero 20) e chiusa quando questo terminò le pubblicazioni, nel marzo del 1966. Ma non sono i soli argomenti di cui Cederna si occuperà durante l’intenso lavoro di cronista delle vessazioni che il territorio italiano andava subendo in quegli anni e nei successivi. Ai maltrattamenti patiti dalle bellezze artistiche si aggiunsero quelli inferti ai centri storici, al paesaggio e poi alle città, la cui crescita, agli occhi di Cederna, stava assumendo caratteri informi, guidata da direttrici speculative e strutturalmente diversa da quella che esse avevano conosciuto nei secoli precedenti.
Cederna sottolinea il profilo sistematico di questo processo. La degradazione della storia e della sua eredità, la distruzione dell’antico e del bello, la manomissione della natura e dei suoi equilibri non vengono lette solo come violazioni inammissibili di quanto il passato ha elaborato ed esteticamente definito, trasmettendolo alle generazioni successive e impegnandole a tutelarlo come il luogo in cui è consegnata parte della loro identità. Questo basterebbe a imporre la salvaguardia, che è prodotto di civiltà e di civiltà moderna in specie. Ma non è sufficiente a spiegare l’atteggiamento di Cederna che si sbaglierebbe a ridurre alla sola componente conservativa. Le violazioni Cederna le interpreta come uno dei modi di essere dell’Italia di quegli anni, le mette costantemente in rapporto con il tipo di sviluppo che l’Italia aveva intrapreso, con la fisionomia che andavano assumendo – o confermando – le sue classi dirigenti, l’amministrazione statale, dai livelli più alti a quelli semplicemente esecutivi, le burocrazie comunali, combattendo con i suoi interventi chi giudicava quelle manipolazioni alla stregua di un danno collaterale, l’accidentale e inevitabile corollario, e non una delle condizioni perché il cammino del paese procedesse esattamente in quel modo. Chi vilipende l’antico, insiste, non lo fa perché gli oppone il moderno, ma perché ha in mente un’idea di città e di sviluppo che ha poco di moderno e molto invece di urbanisticamente distorto e di distorto in generale.
«Il Mondo» è la cornice in cui le riflessioni di Cederna si distendono. E non è difficile cogliere quel di più di significato che il settimanale attribuisce ai suoi interventi: è un contesto nel quale si schierano Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi (per indicare soltanto due fra i tanti collaboratori cui spetta di dettare le linee-guida della testata) e che consente agli argomenti di Cederna di agganciarsi al più ampio dibattito sull’economia, la società e la politica italiana, la cultura, la cultura accademica, l’ambiente delle professioni. I gangster che scorrazzano sull’Appia, le grandi famiglie proprietarie di immense porzioni del territorio di Roma, gli azionisti e i dirigenti della Società Generale Immobiliare che orientano lo sviluppo della capitale nella direzione da essi auspicata, i pianificatori-burocrati che sventrano il centro di Milano sono i prototipi di un’economia semifeudale, che al rischio imprenditoriale preferiscono la rendita fondiaria e immobiliare e si affiancano a quelle figure che compaiono nelle denunce di Ernesto Rossi contro il capitalismo monopolista e parassitario, il quale fonda le sue fortune sui privilegi e non sull’espansione industriale. Come pure gli intrecci fra le amministrazioni capitoline, la finanza vaticana, l’aristocrazia «nera» e l’estrema destra sono uno degli obiettivi di Cederna e di tutta la pattuglia del «Mondo», che difende la laicità dello Stato dalle ingerenze della Chiesa cattolica e contrasta le tentazioni reazionarie che gravano sul centrismo italiano.
Roma, così come emerge dai racconti che ne fa il settimanale di Pannunzio, è il luogo nel quale si è riversata una retorica patriottarda che ha origini lontane e che il fascismo ha reso più visibile. Qui si è gonfiato il ventre di un’Italia che non ama le regole e che accoglie un’immensa burocrazia assieme a un’aristocrazia ancora potente e a un vistoso notabilato ecclesiastico, accanto ai quali lievita un avido ceto di costruttori, di industriali del settore pubblico, di dirigenti statali. È la Roma raffigurata nei volti paffuti e ineleganti, nelle pance prorompenti delle vignette di Mino Maccari e Amerigo Bartoli. Ed è la Roma la cui immagine il milanese Cederna, il laico, irriverente Cederna contribuisce a definire, svelando un aspetto rilevante della sua fisionomia, ancora rivestita, per molti italiani, dagli abiti magniloquenti e monumentali imposti dal fascismo. Già il cinema neorealista aveva bandito dai suoi set la Roma imperiale, sostituendole i grigi paesaggi della periferia che dilaga. Nel 1955, inoltre, esce Ragazzi di vita, il primo prodotto della personalissima scoperta che di Roma compie il friulano Pier Paolo Pasolini («stupenda e misera città», la definisce nella poesia Il pianto della scavatrice), il quale dal suo arrivo nella capitale, nel 1950, ha esplorato il centro della città e poi via via si è spinto nei nuovi quartieri accompagnato da Sandro Penna, da Sergio Citti e da altri, inseguendo le lingue che vi si accumulano, verso le zone di espansione che ancora pochi romani conoscono: Casilina e Trionfale e poi Primavalle, Quarticciolo, Pietralata, Tiburtino. Ma la solennità dell’Urbe si scioglie letteralmente di fronte alla descrizione che Cederna delinea del corpaccione burocratico che l’abita, di quell’ambiente da vetrina cinematografica che popola le sue notti, e soprattutto del ceto politico-affaristico che, agganciato al Vaticano e alle proprietà terriere dei diversi ordini religiosi, è il protagonista della scena pubblica cittadina e delle sue traversie urbanistiche.
Cederna è uno dei tanti intellettuali che approdano a Roma nel dopoguerra, attirati dalle occasioni di lavoro (il cinema, più tardi la televisione, e poi le riviste, le organizzazioni politiche – il Pci, in primo luogo). Proveniente dalla Versilia è un altro intellettuale che ha l’occhio lungo sulle sofferenze fisiche della città: Manlio Cancogni, giornalista dell’«Espresso», il settimanale nato nell’ottobre del 1955, che nel dicembre di quello stesso anno e poi nel gennaio successivo e quindi ripetutamente nel corso del 1956 firma gli articoli sulla speculazione edilizia e sulla Società Generale Immobiliare che recano come logo sovrastante il titolo la dicitura «Capitale corrotta = Nazione infetta». Ma di quegli stessi anni è il film di Luigi Zampa L’arte di arrangiarsi (1954), in cui Alberto Sordi interpreta un siciliano giunto a Roma in cerca di fortuna e che, in compagnia di un giovane sceneggiatore che gli propone un soggetto per un film, va sulla terrazza del Gianicolo. Qui lo sceneggiatore gli mostra la Roma che vuole raffigurare e con un cannocchiale per i turisti inquadra i palazzi che crescono alla rinfusa in periferia. Poi cambia scena e punta su piazza del Popolo. A un tavolino del caffè Rosati si vede un signore distinto, vestito di chiaro con il cappello e il bastone da passeggio. Ecco, dice pressappoco lo sceneggiatore, quel signore è il proprietario dei terreni dove costruiscono la nuova Roma e sta guadagnando un sacco di soldi. Ogni minuto che passa i suoi terreni crescono di valore e da quando l’abbiamo inquadrato è già più ricco di qualche milione.
Cederna è parte dell’ambiente cui dobbiamo la definizione dell’immagine di Roma oltre la fuliggine degli stereotipi. E che sia Roma il luogo sul quale Cederna spende la gran parte delle proprie energie è confermato proprio dai Vandali in casa, il volume in cui egli raccoglie, nel 1956, una selezione degli articoli fino ad allora comparsi sul settimanale diretto da Pannunzio. Il libro si divide in tre parti che Cederna intitola «Il sacco di Roma», «I gangster dell’Appia» e «L’Italia a pezzi». Due terzi del libro sono dedicati alla capitale e questa proporzione rispecchia, grosso modo, quella fra gli articoli che complessivamente ha pubblicato per «Il Mondo». Roma è la grande metafora dell’Italia di quegli anni. Ma nei Vandali in casa Cederna seleziona gli articoli che ha scritto su Ravenna e su Lucca, su Assisi e Venezia, su Vicenza, sull’abbazia di Grottaferrata e poi su Milano, la città che nel passaggio di un articolo ancora definisce «nostra». In tutti questi interventi si delinea il profilo di un’Italia che ha fretta di crescere ignorando se stessa, che dissipa l’antico e le qualità non solo estetiche che da esso promanano, consumando suolo e paesaggi. Cinquant’anni dopo la sua uscita (e a dieci anni dalla scomparsa di Cederna), torna con I vandali in casa un libro che ha intonato il controcanto di questo mezzo secolo di storia italiana. È pur sempre una raccolta di articoli comparsi su un settimanale – alcune parti sono invecchiate, qualche previsione si è rivelata fortunatamente infondata – ma il libro dà il tono di un paese che sarebbe potuto essere diverso da com’è stato, prefigura un’alternativa possibile che, mezzo secolo dopo, come il negativo di una fotografia, spiega l’Italia di oggi.
Antonio Cederna nasce a Milano il 27 ottobre del 1921 da una famiglia della borghesia imprenditoriale. Suo nonno Antonio aveva origini modeste. Era nato nel 1841 a Ponte, in Valtellina. Patriota e sostenitore di Giuseppe Garibaldi, aveva combattuto con le camicie rosse nel napoletano e poi, nel 1886, aveva fondato un cotonificio a Gratosoglio, oggi periferia milanese. Era uomo di montagna, esperto esploratore alpino e autore di approfondite relazioni nelle quali correggeva i dati delle carte redatte dall’Istituto geografico militare. Fu promotore del Club alpino valtellinese e fece costruire un rifugio a quota 2650 metri che ancora porta il suo nome. Si impegnò anche in un’opera di fitti rimboschimenti sulla montagna che sovrasta Ponte.
Un ritratto della famiglia si deve a Camilla, la terza delle quattro sorelle di Antonio, nata nel 1911 e diventata, dalla seconda metà degli anni Cinquanta, la firma di punta dell’«Espresso», sulle cui pagine denunciò i depistaggi nelle indagini sulla strage di piazza Fontana a Milano e poi seppe cogliere, dietro i tic e le amicizie pericolose del presidente Giovanni Leone, lo sfacelo di un’intera classe dirigente. Nel Mondo di Camilla1 c’è il racconto della famiglia Cederna, delle sorelle (Maria Sofia, che sposa Leonardo Borgese, Rachele, morta a vent’anni di scarlattina, e Luisa), del piccolo Antonio, del padre Giulio, descritto come un uomo ombroso e ruvido, ma dotato di anima poetica. Giulio, laureato in chimica industriale, lavora nell’azienda di famiglia, ma poco prima di morire di cancro, a quasi sessant’anni, nel 1939, ne viene estromesso o, forse, si lascia estromettere, cedendo le proprie azioni a un cognato molto più abile negli affari e che di fatto aveva assunto la guida del cotonificio. Anche Giulio ama le montagne valtellinesi, che sono lo specchio delle sue cupezze. Camilla lo ricorda chiuso nello studio, curvo su una scrivania liberty mentre con inchiostro e acquerelli disegna libri per bambini: fiori alpini, funghi, ma anche il corpo umano, quasi voglia compilare un’enciclopedia naturale, di cultura materiale, a misura dell’infanzia. E d’altronde la casa di Ponte in Valtellina l’ha ornata delle sue pitture: un albero con quattro uccellini saldamente attaccati a un ramo, mentre un altro spicca il volo (i quattro piccoli Cederna viventi e la sorella morta); un grande gioco dell’oca e, lungo le pareti, collane e mazzi di rododendri che incorniciano un medaglione in cui spiccano le montagne Orobiche e Retiche, la corona dei paesaggi valtellinesi.
Moglie di Giulio è Ersilia Gabba. Anche lei ha origini nel mondo garibaldino: suo padre, Luigi, per quarant’anni professore di chimica al Politecnico di Milano, è stato ammiratore del generale morto a Caprera. Ersilia è una donna colta, ama leggere e fin da ragazza ha una spiccata sensibilità sociale. È cattolica rigorosa, appassionata seguace del modernismo. Si laurea in letteratura tedesca ed è fra le prime milanesi a iscriversi e a terminare l’università.
Tonino, come Antonio Cederna viene chiamato in casa, studia alle elementari in una scuola vicino a casa (la famiglia abita in via Porta Nuova, poi dopo la morte del padre si trasferisce in via Brera). Ama disegnare e le sue cose migliori le incolla su un quaderno che conserverà per tutta la vita. Usa matite e pastelli e i suoi soggetti preferiti sono gli animali. Più avanti negli anni Tonino illustra su un quaderno i canti dell’Iliade e dell’Odissea, oltre alle scene di un film che gli era rimasto impresso, La cena di Enrico VIII, con Charles Laughton2. Datato 1933 è un ritratto di Leonardo Borgese che, di spalle, dipinge su una tela appoggiata a un cavalletto. Borgese, allora ventinovenne, è da un anno il marito di Maria Sofia Cederna, ed è ...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione. Antonio Cederna e l’Italia sventrata (di Francesco Erbani)
  2. Nota del Curatore
  3. Introduzione
  4. I vandali in casa
  5. Le ville distrutte
  6. La macchia d’olio
  7. Il Sacco di Roma
  8. I malati sulla strada
  9. Monte Mario venduto
  10. I gangster dell’Appia
  11. La città eternit
  12. Cerotti per un massacro
  13. La valle di Giosafat
  14. Com’era, dov’era
  15. Lo stadio nelle Catacombe
  16. San Francesco in torpedone
  17. Lo sventramento di Lucca
  18. La morte a Venezia
  19. Requiem per Milano
  20. Il rudere inventato
  21. L’inutile rovina
  22. Distruggiamo le chiese
  23. L’architetto neo-romanesco
  24. Lo sventratore
  25. Il Leviatano immobiliare
  26. Postfazione. L’Italia possibile di Antonio Cederna (di Francesco Erbani)
  27. Il paesaggio e i vandali