Informazione e potere
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Informazione e potere

Storia del giornalismo italiano

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Informazione e potere

Storia del giornalismo italiano

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Nei rapporti tra potere politico, economico e finanziario e mondo giornalistico italiano esiste una prassi di lungo periodo, declinata dal fascismo in forme mai viste prima ma non pienamente rimossa neanche dalla transizione alla democrazia repubblicana. Si tratta di una delle conseguenze della particolare connotazione storico-politica di un paese come il nostro, nel quale una ristretta oligarchia ha guidato tutti i passaggi decisivi della vita economica e politica e ha riprodotto un modello spiccatamente gerarchico nella distribuzione della ricchezza e del potere, anche a livello di influenza sui canali di informazione. A questa condizione ha fatto non di rado da corrispettivo la malcelata aspirazione di vari celebrati rappresentanti del mondo giornalistico italiano di entrare a far parte di quella stessa ristretta oligarchia, in una logica di non alterazione e anzi spesso di salvaguardia dei rapporti di potere.Mauro Forno prende in esame gli ultimi centocinquant'anni di storia italiana e analizza le maggiori questioni che hanno attraversato il giornalismo italiano: i periodici d'informazione, confessionali e di partito, le strutture governative di controllo, il sindacato di categoria, la propaganda di guerra e l'esperienza fascista, l'istituzione dell'albo, le leggi repubblicane sulla stampa e l'editoria, fino all'avvento della televisione e del giornalismo online.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788858104057

1. Le premesse

All’alba di una storia

L’apertura di una nuova era per la storia dell’editoria si lega a un preciso luogo, Magonza, e a una specifica figura, il tipografo tedesco Johann Gensfleisch zur Laden il quale, di rientro da Strasburgo, dove aveva lavorato come orafo, attorno al 1450 diede vita al primo esemplare di Bibbia stampato con «caratteri mobili».
Sebbene le lontane radici di questa tecnologia di stampa non vadano probabilmente ricercate in Europa ma in Asia, il sistema adottato da Gutenberg, come era all’epoca soprannominato il tipografo in questione (dal nome della casa, Hof zum Gutenberg, in cui era nato), permise la realizzazione in Occidente di «una separazione e un’estensione delle funzioni umane» sino a poco tempo prima inimmaginabili1, rendendo il prodotto stampato una delle pochissime merci realmente riproducibili in serie2.
Elizabeth Eisenstein, in un lavoro pubblicato negli Stati Uniti alcuni anni fa, ha addirittura sostenuto la tesi che la nascita del capitalismo andrebbe collegata a quella della moderna stampa3.
Indipendentemente dal peso attribuito a simili interpretazioni, la scoperta di Gutenberg – in un contesto europeo in cui i processi di centralizzazione e di razionalizzazione amministrativa stavano ponendo fine al vecchio sistema feudale e contribuendo all’affermazione degli Stati moderni – rese possibile lo sviluppo delle prime timidissime espressioni di «giornalismo» ante litteram.
Fu il caso dei cosiddetti avvisi e fogli di notizie – pubblicazioni quasi sempre dedicate a una specifica informazione o a un particolare fatto – che in Italia nacquero attorno al 1470 senza una frequenza regolare di pubblicazione.
Col trascorrere dei decenni i fogli di questo genere assunsero nuovi caratteri. Attorno agli anni Sessanta del Cinquecento a Venezia si diffusero i broglietti, il cui nome derivava dalla piazza antistante il Palazzo Ducale (il brolo), in cui la gente si incontrava per fare affari o anche solo per scambiarsi pettegolezzi.
Non molte di queste espressioni si sono fino ad oggi conservate. Le poche esistenti rappresentano tuttavia dei documenti di notevole interesse, capaci di dare conto, nonostante lo scarso credito che all’epoca era da taluni ad essi attribuito (come del resto avveniva per chi – gazzettanti, novellisti, fogliettanti, menanti – li compilava), di una stagione in cui anche la diceria, la maldicenza, le vicende private avevano iniziato ad assumere il valore di merce da vendere sul mercato4.
Dal canto loro i pubblici poteri si preoccuparono sin dall’inizio di sfruttare a proprio vantaggio il crescente potenziale di questi strumenti e di attivare su di essi severi controlli, arbitrarie interferenze e pesanti discriminazioni, attraverso – ad esempio – la concessione del privilegio di stampa (che rimase una prerogativa di tutti i maggiori paesi dell’Occidente sino almeno alla fine del Settecento).
Se pur in forme ancora poco mature, queste primordiali espressioni di «giornalismo» diedero insomma molto presto l’impressione di poter diventare un potente mezzo di condizionamento delle coscienze e delle opinioni. E il proliferare delle commissioni e degli uffici di revisione – prima ecclesiastici e poi civili – lo comprova in maniera evidente.
I primi anni del Seicento, quando iniziarono a diventare oggetto delle attenzioni dei compilatori non solo i fatti eccezionali ma anche le informazioni correnti, segnarono la nascita di un altro aspetto significativo, poi divenuto peculiare del giornalismo «moderno»: il carattere periodico delle pubblicazioni, all’interno delle quali le notizie iniziarono a essere disposte secondo un criterio gerarchico.
Dal punto di vista tecnico, il cronista del Seicento lavorava senza grandi supporti di personale, potendo contare al massimo sulla collaborazione di qualche aiutante. Spesso doveva occuparsi personalmente del reperimento delle informazioni (attraverso corrieri o qualche canale privilegiato), della loro stesura, del lavoro di tipografia, della correzione delle bozze, dell’invio alla censura, dell’amministrazione finanziaria e della vendita.
Relativamente moderni e indipendenti dal potere politico furono in Olanda i cosiddetti corantos: fogli a cadenza settimanale o bisettimanale generalmente attivi grazie al lavoro di un certo numero di corrispondenti che, avvalendosi dell’efficienza della rete di comunicazione nel paese, inviavano notizie – soprattutto di tipo politico e diplomatico – dai principali centri. Col tempo si diffusero edizioni di corantos anche in altre lingue, la cui cadenza fissa e sufficientemente ravvicinata permise la nascita di un’altra figura tipica del giornalismo «moderno», quella del «lettore abituale», vale a dire del soggetto che, sottoscrivendo un regolare abbonamento, dava modo a questi periodici di programmare meglio il proprio futuro.
Con l’accrescersi, sia pure parziale, dei diritti dei cittadini e sulla scia della parziale limitazione dell’assolutismo monarchico, soprattutto in Inghilterra iniziarono ad affermarsi altre tipologie di pubblicazione – meno legate al potere e più attente ai fatti di cronaca – e anche i primi embrionali spazi pubblicitari, che permisero ai giornali di sganciarsi parzialmente (o totalmente, nel caso dei fogli gratuiti, finanziati dagli inserzionisti privati) dagli introiti derivanti dalle vendite e dagli aiuti interessati dei regnanti.
Nella Penisola italiana questi primi fogli a cadenza periodica nacquero tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del Seicento in centri come Venezia, Firenze, Genova, Roma, Bologna, Milano e Torino.
Il XVII secolo si chiuse con un avvenimento di un certo rilievo per i destini del giornalismo e della carta stampata: nel 1695 il governo inglese, non rinnovando il cosiddetto Licensing Act (provvedimento con cui, nel 1662, era stato ribadito il regime di censura preventiva), pose il suo sigillo su una nuova dialettica tra stampa e potere5. Il successo fu solo parziale per i fautori della libera informazione. Esso non mise infatti in discussione il diritto di intervento a posteriori su quanto stampato e nemmeno il regime di tassazione sulle pubblicazioni periodiche. Tale atto rappresentò tuttavia un primo passo verso quella concezione liberale della stampa che avrebbe fatto dell’Inghilterra il principale avamposto di una vera e propria «cultura della notizia».
Nel 1702 nacque a Londra il primo quotidiano a cadenza «regolare» della storia della stampa, il «Daily Courant», che in un Advertisement pubblicato sul numero di apertura espresse esplicitamente l’aspirazione a un’informazione «corretta», in cui fossero sempre citate le fonti delle notizie e fossero adeguatamente separati i fatti dalle opinioni.
Fu questa una delle prime compiute esposizioni di quella deontologia professionale giornalistica che avrebbe in seguito costituito un punto di riferimento per tutta la stampa cosiddetta «indipendente» e contribuito all’affermazione di quella «cultura della notizia» destinata a diventare, assieme al criterio delle «cinque w», una sorta di regola aurea del giornalismo moderno6.
Accanto a questi significativi segnali, proprio l’Inghilterra divenne anche teatro di un altro interessante processo: lo sviluppo di un giornalismo di tipo «culturale», non alieno da aspirazioni «moralistiche e pedagogiche», di cui furono espressioni alcuni settimanali come «The Weekly Review» (1704) e «The Examiner» (1710), ma anche il trisettimanale «The Tatler» di Richard Steele (1709) e il quotidiano «The Spectator» (1711), fondato dal politico, scrittore e drammaturgo Joseph Addison.
Lo «Spectator» raggiunse in poco tempo la ragguardevole tiratura di 3-4.000 copie, caratterizzandosi per un taglio prettamente letterario, rivolto a un pubblico intellettuale e della borghesia colta, ma anche per un’idea di base interessante. Gli autori, a partire dalla convinzione che il dialogo – declinato in forme giornalistiche – potesse migliorare la convivenza sociale, immaginarono di ambientare ciascun numero in un club, in cui esponenti di varie categorie sociali si confrontavano con passione, riservando al giornalista un ruolo di spettatore imparziale.
Il modello di Addison, distaccato e aristocratico nei contenuti, ma di stile brillante e alieno da pregiudizi ideologici, divenne ben presto molto imitato in tutta Europa7.
Nel 1785 un intraprendente uomo d’affari, John Walter, diede vita a Londra a un quotidiano destinato a percorrere una lunghissima esperienza: «The Universal Daily Register» (poi divenuto, nel 1788, «The Times»). La testata, manifestando un crescente distacco dalla vecchia impostazione grafica, tipica dei libri, riprese in parte il modello applicato da John Bell sulle pagine di un altro quotidiano londinese, «The Morning Post», con le colonne spezzate in brevi paragrafi, separati da linee continue. Lo stile di scrittura appariva tuttavia meno ampolloso e ricercato e l’informazione meno approssimativa.
Due anni dopo, con la Costituzione federale di Filadelfia e – nello specifico – con l’approvazione il 25 settembre 1789 del Primo emendamento, nelle ex colonie d’Oltreoceano fu disposto il divieto, per il Congresso, di fare leggi che potessero limitare il diritto di informazione8. A partire ...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Le premesse
  3. 2. Dal 1861 alla crisi di fine secolo
  4. 3. Dall’Italia giolittiana all’ascesa del fascismo
  5. 4. La stampa della rivoluzione e del regime
  6. 5. Dal crollo di Mussolini agli anni di piombo
  7. 6. L’era della televisione e il mondo digitale
  8. Sigle e abbreviazioni