V.
La fiction
1. Il posto della fiction nell’intrattenimento domestico e oltre
Fin dall’inizio di questo libro abbiamo descritto la televisione come un oggetto multigenere. Se intervistiamo le persone che escono da un cinema e chiediamo loro perché ci sono andate, risponderanno che l’hanno fatto per il loro intrattenimento, per passare piacevolmente un paio d’ore, magari nell’ambito di una serata trascorsa nel centro commerciale in cui è ubicato il multiplex; lo spettatore colto aggiungerà probabilmente motivazioni culturali, uscendo da un cinema del centro trasformato in una piccola multisala. Se invece interroghiamo i lettori dei quotidiani, le ragioni saranno essenzialmente informative. La televisione gioca su una miscela di motivazioni, probabilmente in proporzioni diverse per ciascuno spettatore in conseguenza di tante variabili culturali, sociali, di genere, di luogo; l’informazione, la cultura, l’intrattenimento entreranno comunque in questa miscela. In tempi più recenti, questo mutevole complesso di motivazioni si è indirizzato verso Internet.
Lo spettacolo di finzione fa parte dell’offerta televisiva dall’inizio dei suoi programmi per ragioni strutturali, perché è in linea con quel desiderio popolare di «passare piacevolmente un paio d’ore», questa volta senza uscire di casa e quindi con un più facile inserimento nelle abitudini domestiche e familiari. Per questo la televisione ha intrattenuto da sempre una dialettica con il cinema. Tale dialettica comprende la competizione per conquistare il pubblico, che è l’aspetto più noto, e ha trovato la trascrizione più alta nel film L’ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich; ma prevede anche forme di cooperazione: tutta la fiction televisiva americana è stata fabbricata a Hollywood (mentre la tv da studio è tradizionalmente gestita da New York), nei periodi liberi e con l’organizzazione produttiva dello studio system cinematografico.
Vi è però un’altra ragione, meno banale, per l’inserimento della fiction all’interno della tv. Quando assistiamo a uno spettacolo di finzione accettiamo per il nostro piacere di considerare provvisoriamente vera, per il tempo che passiamo nella sala, quella che notoriamente è invece una rappresentazione, una costruzione di fantasia, non vera ma verosimile, e cioè dotata di una sua interna coerenza. Accettiamo questa «sospensione dell’incredulità» nella previsione di un piacevole intrattenimento e/o di un arricchimento culturale. Il contratto che lega lo spettatore della fiction all’emittente è dunque un contratto esplicito e particolarmente forte, perché comprende una rinuncia (a criticare la scarsa verosimiglianza) in cambio di un’aspettativa di piacere; e dunque è molto vicino a quella fidelizzazione che la televisione va cercando con tanta cura.
Questo inserimento però non è semplice. Come abbiamo già detto, i personaggi dei programmi televisivi «guardano in macchina», cioè rivolti all’obiettivo, e attraverso questa lente guardano i telespettatori, li salutano, li ammoniscono, scherzano con loro, sollecitandoli ad una partecipazione, benché virtuale e illusoria. In una parola, li interpellano. Il cinema invece non guarda nessuno: gli attori mirano un punto lontano, sopra le teste degli spettatori, molto vicino alla finestrella da cui esce la proiezione. Salvo rare e ben studiate eccezioni, non è attraverso questo sguardo che il cinema convoca i suoi spettatori.
È interessante notare che nel teatro esistono tutti e due i tipi di sguardo, e forse un terzo. Il cabarettista che propone un suo monologo spesso interpella intensamente il suo pubblico: ma l’attore che recita in una commedia si rivolge solo ai suoi colleghi, che interpretano altri personaggi. Talvolta, e fin dalla remota antichità, anche in questo secondo caso l’attore si rivolge al pubblico, come per metterlo a parte di un segreto o mostrare un proprio sentimento, nascondendoli agli altri personaggi.
La televisione ha adottato pedissequamente, per la sua fiction, le regole dello spettacolo cinematografico di finzione, mentre nei programmi di varietà può ricorrere a quel terzo sguardo di ascendenza teatrale. Con qualche equilibrismo rischioso, ma riuscito, ha esercitato rapporti plurimi con i suoi spettatori, inviando sui loro schermi corpi e volti che entrano ed escono come Fregoli, talvolta nello stesso programma, passando dalla condizione di personaggio a quella di performer. Sostanzialmente, in tv, se qualcuno ti guarda interpreta se stesso, altrimenti è un attore che interpreta, per un giorno o per dodici stagioni, un personaggio in uno spettacolo di finzione.
2. Fiction scomparsa, ma forse no. Tv series, soap, telenovelas, sitcom
All’inizio la televisione propose una finzione che non poteva assolutamente rivaleggiare in spettacolarità con il cinema. In America i telefilm (tv series) erano cicli di episodi, girati anche in esterni, costruiti attorno alle avventure di uno o più personaggi, in cui a presenze fisse e a situazioni costanti o ricorrenti si aggiungevano, per ogni episodio, una o più guest stars (attori ospiti). Grazie alla loro presenza la sceneggiatura prevedeva qualche evento nuovo, che modificava il quadro fisso per poi ricomporsi immancabilmente alla fine dell’episodio, dandogli un senso compi...