Il Turco a Vienna
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Il Turco a Vienna

Storia del grande assedio del 1683

  1. 792 pagine
  2. Italian
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Il Turco a Vienna

Storia del grande assedio del 1683

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«Cominciò così la grande battaglia attorno alle mura di Vienna, il 12 settembre 1683, nel giorno di domenica benaugurante per i cristiani. Alle quattro del mattino, re Giovanni insieme con il figlio Jakub servì personalmente e con devozione la messa celebrata da frate Marco nella cappella camaldolese. Lo scontro si protrasse fino a sera per concludersi trionfalmente in Vienna liberata; all'alba del giorno dopo, sotto il ricco padiglione del gran visir conquistato dalle sue truppe, Giovanni III poteva scrivere una trionfante lettera alla sua regale consorte. Terminava così, dopo due lunghi mesi, l'incubo dell'assedio alla prima città del Sacro Romano Impero e capitale della compagine territoriale ereditaria asburgica. E, con esso, l'ultima Grande Paura provocata da un assalto ottomano a una Cristianità peraltro tutto meno che unita.»

Per Franco Cardini non ha senso parlare di un episodio pur rimasto nella leggenda come l'assedio di Vienna, se non calandolo nella storia secolare del confronto tra l'impero e i suoi vicini occidentali, gli Asburgo e Venezia. Un gelido Risiko di potenze che, un po' per propaganda un po' credendoci, trovavano comodo rivestire il perseguimento dei propri interessi con l'appello alla guerra santa. Alessandro Barbero, "Tuttolibri"

Prendetevela comoda. Sprofondate in poltrona e toglietevi l'orologio dal polso. Il libro di Franco Cardini non è di quelli che si affrontano con la rincorsa. È un affresco minuzioso, una lezione di storiografia: la destrutturazione del mito della 'guerra di civiltà', l'eterno duello tra la Croce e la Mezzaluna. Massimo Vanni, "la Repubblica"

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858119877
Argomento
History

1. Selva araldica

Invito al gioco

Croce e Mezzaluna, Aquile e Gigli, Soli e Leoni. Una «selva araldica» che si presta bene a presentare la situazione eurasiatico-mediterranea tra la fine del XIV e la prima metà del XVIII secolo, vale a dire nel lungo periodo che abbraccia quel che noi convenzionalmente definiamo Tardo Medioevo, Rinascimento e Prima Età Moderna: dalla crisi di metà Trecento sino alla vigilia della «rivoluzione industriale». Tempo di grandi scoperte geografiche e invenzioni tecnologiche, di rivoluzioni scientifiche e filosofiche, di mutamenti profondi nei gusti e nelle sensibilità non meno che nei modi tanto di pensare quanto di produrre, di consumare, di vivere. Tempo in cui si afferma, con il consolidamento del sistema coloniale e del cosiddetto «scambio asimmetrico», la prima fase di quella che oggi siamo abituati a chiamare «globalizzazione» e nella quale, con il passaggio dalle monarchie feudali agli stati assoluti e con lo sviluppo della Riforma, si configura il processo di secolarizzazione del potere e si va configurando lo ius publicum Europaeum. Tempo in cui si erodono ed entrano in crisi – pur incessantemente ridefinendosi – i grandi sistemi di pensiero politico-religioso e le correlative istituzioni socio-giuridiche a carattere universalistico, il papato e l’impero; mentre prepotente emerge una nuova visione del mondo fondata sui diritti e le prerogative dell’individuo. Tempo insomma in cui si profila la «civiltà occidentale» nel senso moderno di tale espressione: e addirittura l’inscindibile endiadi Occidente/Modernità.
Si tratta di tre-quattro secoli dominati, sul piano della politica e dei rapporti interstatuali, da una tensione che si traduce in una rete complessa e mutevole di alleanze e di rivalità. A un primo sguardo il complesso rapporto tra Cristianità e Islam che caratterizzava il medioevo, che era fatto senza dubbio di scontri militari ma anche d’un intenso scambio tanto commerciale quanto culturale e che al tempo stesso era gestito da una pluralità di soggetti interagenti tra loro – il mondo cristiano latino o «occidentale», quello greco-bizantino o «orientale», i califfati sunniti e sciiti, l’Islam iberico-maghrebino, il mondo tartaro e la sua progressiva islamizzazione –, sembra essere stato sostituito, a partire almeno dal Quattrocento, da un più semplice e brutale «equilibrio della paura». Nonostante l’obiettivo complicarsi della scena mondiale in seguito alla nascita e allo sviluppo, dal Nuovo Mondo all’Asia all’Africa, di realtà e di situazioni nuove, che a lungo parvero più o meno ininfluenti ma che avrebbero più tardi sempre più contribuito a modificare il quadro generale dei rapporti e degli equilibri, la lotta per l’egemonia si giocava ora nello spazio compreso tra Mediterraneo ed Europa centro-orientale e aveva come protagonisti due coerenti blocchi socio-politici e religiosi, peraltro molto articolati e tutto men che concordi al loro rispettivo interno. Da una parte la Cristianità occidentale, ormai tuttavia distinta in una quantità di soggetti statuali e lacerata dal conflitto tra chi era rimasto fedele alla disciplina della Chiesa di Roma e chi aveva intrapreso la lunga e difficile via della ricerca della purezza cristiana originaria, la reformatio deformatarum rerum che condusse in realtà a una lunga, dura e persino sanguinosa pluralità di proposte di ridefinizione del cristianesimo, talora profondamente innovatrici; dall’altra la nuova potenza ottomana che si presentava come un mondo compatto e coerente e che dava, vista dall’esterno, l’impressione di aver non solo egemonizzato, bensì addirittura fagocitato il vecchio Islam con le sue distinzioni, differenze, divisioni e rivalità, nonché metabolizzato la cultura e la società bizantine delle quali appariva – piacesse o no e fosse o meno sul momento compreso dai cristiani d’Occidente – come l’erede piuttosto che la distruttrice.
La lunga era degli scambi culturali e commerciali tra società cristiane e mondo islamico pareva nelle sue grandi linee esaurita, per lasciare il campo a una fase nuova fondata sul confronto diplomatico e politico da un lato, sul brutale equilibrio delle armi dall’altro: non tanto «scontro di civiltà» quanto «scontro di potenze», nel quale tuttavia l’elemento religioso, con tutto il peso d’un passato che veniva riconsiderato principalmente se non esclusivamente sotto il profilo del conflitto, era il più intenso e qualificante. Quello tra l’Europa cristiana quattro-settecentesca e l’impero sultaniale d’Istanbul, che ancora più radicalmente di quanto non si fosse presentato nei secoli precedenti è apparso agli osservatori moderni come un «duello tra la Croce e la Mezzaluna», non è stato comunque mai una «guerra di religione»: e difatti mai in realtà cristiani e musulmani si sono odiati, nelle loro pur lunghe, cruente e talvolta selvagge contese per mare e per terra, tanto tra i flutti dell’Egeo e dell’Adriatico o del Tirreno quanto tra i clivi e le selve balcaniche o nelle pianure danubiane, con quella sistematica ferocia e quella pervicace reciproca volontà di distruzione che ha distinto cattolici e ugonotti nella Francia del secolo XVI o papisti e riformati tra Irlanda, Scozia ed Europa centrale di quello successivo. Non c’è tuttavia dubbio che le lunghe contese guerriere fra turchi e barbareschi da una parte e spagnoli, italiani, tedeschi e polacchi dall’altra si configurassero come guerre, se non «di religione», quanto meno tra homines religio-
si
appartenenti a fedi tra loro diverse per quanto né storicamente, né teologicamente, né eticamente estranee fra loro; e tra due differenti tipi di società in entrambe le quali la fede costituiva comunque il fondamento della visione del mondo, dell’assetto giuridico, della morale condivisa. Per questo motivo i due sia pur tutt’altro che monolitici fronti in conflitto potevano senza dubbio riconoscersi nei rispettivi sistemi simbolici religiosi. Duello tra Croce e Mezzaluna, appunto, immaginate per una volta entrambe con tanto d’iniziale maiuscola: a patto tuttavia di tener presente che, mentre non c’è dubbio che la croce rappresenti in modo adeguato cristianesimo e Cristianità, la «mezzaluna» – cioè il «crescente» o «falce lunare» – dispone invece di uno statuto storico-simbologico molto complesso e tutt’altro che lineare, e che comunque non detiene all’interno dell’Islam quel valore assoluto, primario e pregnante che la croce possiede per i cristiani1. La croce, tuttavia, si presenta a sua volta caratterizzata da forme e fogge diverse, sovente in competizione o in alternativa se non in vera e propria lotta tra loro, in conseguenza del complesso sviluppo araldico ed emblematico di cui è stata oggetto nonché delle sue numerose variabili – talune molto antiche – all’interno delle varie confessioni nelle quali la religione cristiana si è andata articolando.
Sarebbe interessante, dal canto nostro, stabilire come, quando e perché la luna – e in particolare la falce di luna impropriamente chiamata in italiano «mezzaluna», vale a dire il «crescente» o «montante» dell’araldica, il hilal degli arabi – sia divenuta il simbolo principale dell’Islam. Presente in molti culti e in molti sistemi simbologici dell’Oriente antico e dell’Arabia preislamica, solo con gli ottomani assume sempre di più il ruolo di emblema dell’Islam: al punto tale che, ancor oggi, si parla indiscriminatamente – ad esempio per il medioevo – di «lotta fra la croce e la mezzaluna», nonostante il secondo di questi simboli sia certo presente, ma non in una posizione particolare, nell’emblematica islamica; e non risulti che, nell’immaginario europeo precinquecentesco, esso rivestisse un significato rinviabile in modo certo ed esclusivo all’Islam2. La luna indicava il mutamento, la natura femminile fondata sul ciclo mestruale, anche la volubilità e la follìa: in questo senso poté essere assunta nel mondo cristiano come simbolo negativo dell’Islam, «religione irrazionale». Ma in area cristiana era ben noto anche un uso positivo del crescente lunare, interpretato come simbolo di gloria e di fama: esso indicava il crescere appunto della reputazione e della considerazione. Renato d’Angiò aveva fondato nel Quattrocento un «Ordine del Crescente» che alludeva appunto al salire e al dilatarsi della gloria e della fama in coloro che ne venivano insigniti3. Numerosi grandi casati – come i senesi Piccolomini e Tolomei4, i fiorentini Strozzi, Canigiani, Pazzi (almeno fino al XV secolo), Govoni5 ed altri – presentavano il crescente come elemento della loro arme. Un crescente lunare d’oro in campo azzurro stellato figura tra le armi araldiche immaginarie dei re magi nei dipinti a partire dal Quattrocento6.
D’altro canto l’immagine apocalittica della Signora amicta sole, et luna sub pedibus eius, che era stata interpretata come Maria vittoriosa sull’Anticristo, aveva collegato da tempo Anticristo e Islam. Vedremo che tale interpretazione divenne corrente e consueta dopo la battaglia di Lepanto, consacrata alla Vergine del Rosario: allorché la luna, più che supporto ai piedi della Vergine alta nel cielo, divenne il simbolo malvagio del Nemico che essa calpestava. Secondo un testo gioachimita duecentesco, l’Expositio in Apocalypsim, figura dell’Anticristo nella sesta fase dell’Età del Figlio era il Saladino, che nel 1187 aveva riconquistato Gerusalemme strappandola ai cristiani. D’altronde lo stesso profeta Muhammad, secondo un altro testo gioachimita, il Liber Figurarum, è considerato l’Anticristo; e Innocenzo III, esortando nel 1213 i cristiani alla crociata, lo identifica con la Bestia dell’Apocalisse. Tali temi avevano di nuovo ricevuto grande attenzione e diffusione tra Quattrocento e Cinquecento.
Tuttavia, contro il parere espresso da Annio da Viterbo nell’opuscolo De futuris christianorum triumphis in saracenos, edito nel 1480, ai primi del Seicento il gesuita Benito Pereyra escludeva che il fondatore dell’Islam si potesse identificare con l’Anticristo; e in genere il mondo cattolico era contrario a tale identificazione perché si pensava che essa avrebbe compromesso lo schema escatologico della venuta dell’Anticristo alla fine dei tempi. Più articolati i pareri in area protestante, anche perché in quell’àmbito la pluralità delle Chiese e delle scuole consentiva un dibattito impossibile all’interno del cattolicesimo. Più tardi Tommaso Campanella avrebbe sottolineato con forza la connessione tra crociata ed escatologia, quindi tra la distruzione dell’Anticristo musulmano e l’instaurazione del regno millenaristico.
Fu comunque durante il Cinquecento che ...

Indice dei contenuti

  1. Prologo
  2. 1. Selva araldica
  3. 2. Il duello mediterraneo
  4. 3. Fluidi confini, mutevoli frontiere
  5. 4. Tra l’Ucraina e l’isola di Candia
  6. 5. Effemeridi danubiane
  7. 6. Al tempo della tregua
  8. 7. Splende sull’Oriente il sole d’Occidente
  9. 8. Marcia turca
  10. 9. «Auff, auff, ihr Christen!»
  11. 10. «Dies gloriae»
  12. 11. L’«estate indiana» della crociata
  13. 12. L’Ungheria liberata
  14. 13. Dal Reno al Danubio: l’intreccio dei fronti
  15. 14. Chi sale, chi scende
  16. 15. Del caffè viennese e di altre «turqueries»
  17. Epilogo
  18. Bibliografia
  19. Sigle e abbreviazioni
  20. Fonti
  21. Studi
  22. Cronologia 1645-1718
  23. Glossario
  24. Nota critica
  25. Cartine
  26. Ringraziamenti