Introduzione al diritto del paesaggio
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Introduzione al diritto del paesaggio

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Introduzione al diritto del paesaggio

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Il paesaggio è «la forma, ossia l'aspetto visibile del territorio, per come si presenta e viene percepita da chi osserva; ed è la risultante di due fattori: la struttura naturale dei luoghi e l'azione umana, che nella storia hanno interagito, conferendole una specifica identità». Nella tematica del paesaggio si intersecano sia le problematiche delle materie collegate – beni culturali, governo del territorio, ambiente – sia quelle istituzionali, dei poteri rispettivi dello Stato e delle Regioni e degli enti locali nell'esercizio delle funzioni di tutela. Il diritto del paesaggio viene qui indagato, in modo originale, come settore autonomo e peculiare della scienza giuridica.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858115091
Argomento
Diritto

VI. L’autorizzazione paesaggistica

6.1. I vincoli e l’autorizzazione paesaggistica

L’autorizzazione paesaggistica è un istituto cardine (M.R. Spasiano; G.D. Comporti) del diritto del paesaggio e si pone in stretta correlazione con i vincoli paesaggistici (di tutti e tre i tipi e dei vari generi: «nudi», «vestiti» e «rivestiti»). Come si è anticipato nel capitolo 3, l’autorizzazione si pone anche come provvedimento autonomo e presupposto rispetto ai diversi titoli (ad esempio, il permesso di costruire) che legittimano le trasformazioni urbanistiche ed edilizie.
Iniziamo dal rapporto tra vincoli paesaggistici e autorizzazione.
L’asse su cui passa la correlazione è il divieto, posto dall’art. 146, comma 1, del Codice: «I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettere d) e 157, non possono distruggerli né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione»; al divieto si accompagna «l’obbligo» (comma 2) di ottenere la previa autorizzazione prima di avviare gli interventi progettati.
Il testo della disposizione è ricco di rinvii ad altre norme; si rende quindi necessaria una lettura più distesa ed esplicativa.
1. I destinatari del divieto sono tutti coloro che hanno la disponibilità materiale delle aree e dei beni paesaggistici.
2. I comportamenti oggetto di divieto (e, come si dirà, di sanzioni) sono non solo, ovviamente, la distruzione del paesaggio, ma anche l’introduzione di modificazioni che rechino pregiudizi ai valori oggetto di protezione. Il danno (pregiudizio) sembra riferito non solo al bene inteso in senso materiale, in particolare al suo aspetto e alla sua forma visibile (facies), ma, in termini più ampi, «ai valori [...] oggetto di protezione». Il riferimento implicito è sicuramente ai «valori storici, culturali, naturali, morfologici estetici espressi dagli aspetti e caratteri peculiari degli immobili e delle aree» di cui all’art. 138, comma 1, sulla base dei quali è stata formulata la proposta di dichiarazione (vincoli «del primo tipo»). Naturalmente il riferimento vale anche per i beni assoggettati a vincoli «del secondo tipo» o «del terzo tipo». È da chiedersi, allora, se con la formula usata dal legislatore – il divieto di modificazioni, in funzione della tutela dei valori «espressi» dai beni – si sia inteso tutelare qualcosa di diverso e di ulteriore rispetto all’aspetto fisico dei luoghi o se, invece, la formula stessa abbia solo la portata, e lo scopo, di ricordare che i beni paesaggistici, intesi come «segmenti» del paesaggio, sono protetti nella loro configurazione fisica perché espressivi di valori. L’interpretazione preferibile è la seconda, almeno nel presente «stato delle cose»: quasi tutti i vincoli sono «nudi», essendo stati posti mediante provvedimenti privi di specifiche prescrizioni d’uso dei beni vincolati. In assenza di una disciplina puntuale che – per ciascun bene o area vincolata – stabilisca non solo i limiti delle trasformazioni fisiche (cioè dello jus trans-formandi), ma anche i tipi di attività umane svolgibili «su» di esso (i contenuti dello jus utendi, il diritto di utilizzazione), è infatti assai difficile assegnare all’espressione «modificazioni», usata dal Codice un senso diverso da quello di trasformazioni dell’aspetto dei luoghi.
3. I beni oggetto dell’obbligo di previa autorizzazione, ex art. 146, comma 2, sono quelli tutelati dalla legge (i «contesti» dell’art. 142) o in base alla legge (quelli dell’art. 136), in forza della dichiarazione di interesse paesaggistico; oppure in forza del piano paesaggistico – art. 143, comma 1, lettera d – nonché i beni di cui all’art. 157. Prima di accennare a quest’ultima categoria è utile sottolineare che la formula usata dal Codice conferma quanto si è detto in conclusione del capitolo precedente: non solo per i vincoli «del secondo tipo», ma anche per quelli «del primo» e «del terzo tipo», imposti mediante provvedimento amministrativo, la fonte del loro regime giuridico peculiare è sempre la legge (cioè il Codice stesso) e, dunque, essi – appartenendo alla medesima categoria generale, normativamente individuata – non comportano indennizzi per i proprietari. L’art. 157 ha esplicitamente fatto salvi («Conservano efficacia a tutti gli effetti») tutti gli atti e provvedimenti «a effetto vincolatorio» adottati in forza delle leggi previgenti: dalle dichiarazioni notificate in base alla legge n. 778/1922; agli elenchi compilati e alle dichiarazioni notificate ai sensi della legge n. 1497/1939; ai provvedimenti di riconoscimento delle zone di interesse archeologico emessi in base alla «legge Galasso» (n. 431/1985); agli elenchi compilati o integrati ai sensi del T.U. (D.Lgs. n. 490/1999) e alle dichiarazioni notificate e ai provvedimenti di riconoscimento di aree archeologiche emessi ai sensi del medesimo T.U. del 1999 e, infine, ai provvedimenti di vincolo temporaneo (sino all’adozione dei piani paesaggistici) adottati dalle Regioni entro i centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge n. 431/1985. Soprattutto è da sottolineare che – in forza dell’art. 139, comma 2, e dell’art. 157, comma 2 – anche per le aree e i beni oggetto della sola proposta di dichiarazione e per quelli, ex art. 142, che siano stati perimetrati deve essere richiesta e ottenuta l’autorizzazione. Ciò significa che la tutela anticipata – divieto di trasformazione + obbligo di autorizzazione – si applica non solo, come si è visto, per i beni per i quali, dopo la proposta, è in itinere il vincolo «del primo tipo» (si parla, in gergo, di vincolo «in cottura»), ma anche per i beni oggetto di vincolo «del secondo tipo», purché siano stati individuati, cioè la Regione ne abbia compiuto la perimetrazione, anche «prima» di approvare il piano paesaggistico. Proprio per salvaguardare i beni paesistici la perimetrazione e la sua pubblicazione possono, infatti, avvenire anche nel corso dell’elaborazione del piano stesso, non appena i pianificatori abbiano compiuto la ricognizione e localizzazione dei beni appartenenti alle categorie e «contesti» di cui all’art. 142.

6.2. Evoluzione della natura giuridica dell’autorizzazione paesaggistica nei modelli normativi succedutisi nel tempo

Come si dirà nei paragrafi successivi, il Codice prevede più modelli di procedimenti autorizzatori paesaggistici, uno «ordinario» ed uno «semplificato»; infine per alcuni casi, è previsto l’esonero dall’onere di chiedere e ottenere l’autorizzazione.
Prima di esaminare i vari modelli è necessario soffermarsi sulla natura giuridica dell’autorizzazione paesaggistica, che è l’atto con cui il procedimento autorizzatorio si conclude (salvo il caso di diniego).
Nel diritto amministrativo esistono più specie di autorizzazioni (M.S. Giannini). Il tratto comune a tutte è che con l’autorizzazione un’amministrazione consente lo svolgimento di un’attività privata, dopo averne accertato la compatibilità con gli interessi pubblici (F. Fracchia), come configurati da norme primarie (nel nostro caso: il Codice), e/o da atti amministrativi generali (ad esempio, di pianificazione), e/o da atti presupposti (nel diritto del paesaggio è la dichiarazione di pubblico interesse – adottata dopo l’entrata in vigore del Codice, nel 2004 – recante le prescrizioni d’uso del bene: vincolo «vestito»).
In altre parole: in linea generale l’amministrazione competente a rilasciare l’autorizzazione deve valutare la compatibilità/conformità dell’attività che il privato chiede di svolgere con gli interessi pubblici che ineriscono a quel certo settore (nel nostro caso, l’interesse alla rigorosa tutela del paesaggio).
In concreto: deve verificare la conformità dell’intervento o dell’attività che si chiede di autorizzare con la disciplina amministrativa di settore, la quale può esser contenuta direttamente nella legge, oppure in atti amministrativi adottati «a valle» della legge (regolamenti, oppure atti di pianificazione, o – ancora – normative tecniche o di buona pratica, o, infine, provvedimenti singoli). Nel decidere se rilasciare, o negare, l’autorizzazione l’amministrazione deve attenersi anche ai criteri e alle regole generali della disciplina di settore (quindi la sua libertà di decisione è, in diversa misura, limitata).
Applicando i principi generali del diritto amministrativo, ora sommariamente richiamati, al diritto del paesaggio viene immediatamente in rilievo che sino all’approvazione del Codice (2004) l’amministrazione si è trovata a decidere, nei singoli casi, in ordine alla tutela dei beni vincolati, pressoché in assenza di criteri e regole di comportamento prefissati. Ciò in quanto nel previgente T.U. del 1999, ma – invero – anche nel Codice stesso, i principi e criteri normativi di tutela sono enunciati, come si è visto, in termini assai generali, per categorie astratte (ad esempio, assicurare la conservazione), ma non vengono forniti indirizzi operativi specifici.
Nello scenario descritto l’amministrazione titolare del potere di autorizzazione – in assenza di parametri prefissati – ha, tuttora, nella quasi totalità dei casi, un’ampia discrezionalità nel decidere se un’opera da realizzare in un’area vincolata sia compatibile, o meno, con la tutela del paesaggio (e può anche subordinare il rilascio dell’autorizzazione a condizioni).
Il modello «a regime», prefigurato dal Codice, prevede invece che nel procedimento autorizzatorio l’amministrazione competente debba verificare la conformità del progetto di modificazione del paesaggio alle prescrizioni contenute:
– nei provvedimenti di dichiarazione di pubblico interesse, vincoli «vestiti» o «rivestiti»;
– e/o nei piani paesaggistici.
L’autorizzazione viene quindi a essere – nel modello normativo – in funzione di controllo del rispetto della vigente, puntuale disciplina del paesaggio contenuta in uno o più atti – il vincolo vestito, o «rivestito», e/o il piano – i quali «condizionano» giuridicamente, in modo cogente, il comportamento dell’amministrazione competente a rilasciarla.
È palese la divaricazione rispetto al modello originario, nel quale era (e, di fatto, è) amplissima la discrezionalità dell’amministrazione nel valutare la compatibilità del progetto con la tutela delle parti di paesaggio assoggettate a vincolo.
Il beneficio per l’uniformità dell’amministrare e per la qualità della tutela è di immediata evidenza: a situazioni analoghe dovrebbero corrispondere comportamenti simili, riducendo i rischi di un’amministrazione libera di essere troppo impediente o, all’opposto, troppo acquiescente. In realtà, ai fini dell’esercizio di questa funzione di controllo, il problema principale è costituito dai parametri – dai criteri di giudizio – in base ai quali si valuta la compatibilità paesaggistica.
La soluzione è abbastanza semplice se l’area interessata è compresa in uno degli ambiti spaziali di un piano paesaggistico, e dunque è assoggettata a una specifica disciplina pianificatoria, oppure se – caso rarissimo – è assoggettata a un vincolo «vestito», ex art. 140, o se, infine, è compresa in un ambito oggetto di una proposta di dichiarazione di interesse pubblico (la quale, ex art. 138, deve già contenere una puntuale disciplina d’uso delle aree da vincolare). In questi casi il parametro preesiste alla decisione del caso singolo, la quale si concreta nel rilascio o nel diniego dell’autorizzazione; dunque l’autorità competente (il comune, raramente la provincia o l’ente parco) ha un raggio assai limitato di azione, che consiste, in pratica, nel confrontare il progetto con le prescrizioni di tutela.
È facile intuire che quanto più tali prescrizioni sono dettagliate tanto più limitata è la sfera di giudizio autonomo lasciata agli uffici comunali o locali. Sovente, tuttavia, le prescrizioni – soprattutto dei piani paesaggistici – consistono in indicazioni di obiettivi, più o meno generali e non in puntuali prescrizioni e conseguentemente si amplia la sfera di decisione, dell’ente competente, nel caso singolo.
Ancor più ampio è lo spatium deliberandi nei casi – frequentissimi – in cui manca il piano paesaggistico e ci si trova in un’area assoggettata a un vincolo «nudo» (privo di contenuto precettivo), oppure a un vincolo ex art. 142 (ad esempio, relativo a una foresta), del quale ultimo non è neppure previsto il «rivestimento», ex art. 141 bis.
I giuristi e anche i giudici amministrativi si chiedono quale sia la natura del potere di decisione esercitato dall’amministrazione competente a rilasciare, o negare, l’autorizzazione: se si tratti di potere propriamente discrezionale (circa la scelta del modo migliore di tutelare, nel caso specifico, l’interesse paesaggistico) o se si tratti, invece, di una valutazione tecnica non discrezionale (quella che una volta si chiamava discrezionalità tecnica).
In realtà è impossibile dare una risposta univoca, valida per tutti i casi, perché, come si è appena visto, esiste una varietà di situazioni, poste in una graduazione, o scala, discendente: da quelle in cui vi è una disciplina paesaggistica puntuale, a quella in cui vi sono dei meri indirizzi di piano, a quelle, infine, in cui l’unico parametro è costituito dagli enunciati del Codice (ad esempio l’amministrazione ha il dovere di preservare il paesaggio vincolato).
A questa graduazione di situazioni corr...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. L’evoluzione del concetto di paesaggio
  3. II. Paesaggio, beni culturali, governo del territorio e ambiente: distinzioni e interrelazioni delle nozioni giuridiche e delle funzioni amministrative
  4. III. Le norme costituzionali, la Convenzione europea del paesaggio e la ripartizione dei poteri tra Stato e Regioni
  5. IV. Principi, nozioni, funzioni e competenze nel Codice
  6. V. I vincoli paesaggistici
  7. VI. L’autorizzazione paesaggistica
  8. VII. I piani paesaggistici
  9. VIII. Vigilanza e sanzioni
  10. Bibliografia