1. La cronaca
di Michele Sartori
Prologo
Il 6 aprile 1979, il sostituto procuratore di Padova Pietro Calogero firma ventidue
ordini di cattura di alcuni tra i più noti esponenti autonomi: da Antonio Negri a
Franco Piperno e Oreste Scalzone. Sono tutti accusati di associazione sovversiva per
avere «organizzato e diretto una associazione denominata Potere Operaio e altre analoghe
associazioni variamente denominate ma collegate fra loro e riferibili tutte alla cosiddetta
Autonomia Operaia Organizzata». Un nucleo ristretto – di cui fanno parte sempre Negri,
Piperno e Scalzone – è accusato anche di concorso in banda armata per avere «organizzato
e diretto una associazione denominata ‘Brigate Rosse’».
Lo stesso giorno, il giudice istruttore di Roma Achille Gallucci spicca un mandato
di cattura contro Negri per insurrezione armata e per il sequestro-omicidio di Aldo
Moro. La mossa determina l’immediato passaggio dei principali imputati di Padova alla
competenza giudiziaria della capitale.
Così pubblicamente deflagra la più nota e contrastata delle inchieste italiane sul
terrorismo. L’istruttoria, denominata «7 aprile», prende le mosse da una ipotesi inedita:
la convergenza al vertice dei due maggiori poli del terrorismo rosso, Brigate Rosse
ed Autonomia. I critici la definiranno incongruamente il «teorema Calogero».
In quel momento, le due organizzazioni terroriste sono protagoniste di una escalation
devastante ed apparentemente inarrestabile di violenza. Pochi, tuttavia, intuiscono
quanto le loro azioni siano coordinate.
Le Brigate Rosse, poco più di un anno prima, si sono rese responsabili della strage
di via Fani, del rapimento e poi dell’assassinio di Aldo Moro; e, nel 1979, continuano
a uccidere. Autonomia Organizzata, nelle sue molteplici formazioni locali, è una incubatrice
di comportamenti che vanno dall’illegalità di massa al terrorismo diffuso, fino a
toccare il confine con le Br e talvolta a superarlo.
Le Br nuotano nel lago del consenso e dei comportamenti autonomi; le acque autonome
approfittano di ogni falla aperta dalle Br per irrompere e conquistare nuovi spazi.
Sulle Brigate Rosse ci sono inchieste avviate da tempo. Su Autonomia pochissime, e
nessuna affronta il fenomeno globalmente. È un mondo che fino a quel momento era stato
indagato con maggior rigore soprattutto da due magistrati, Emilio Alessandrini a Milano,
Pietro Calogero a Padova. Colleghi e amici, erano stati protagonisti, pochi anni prima,
dell’inchiesta sulla strage nera di piazza Fontana, eseguita a Milano, preparata in
Veneto. All’inizio del 1979, Alessandrini è stato ucciso dai terroristi rossi.
Pietro Calogero aveva avviato un primo procedimento sull’Autonomia padovana fin dal
1977. Nel 1979 lo sviluppa con una intuizione che si rivelerà fondamentale: il 17
marzo fa perquisire la casa e lo studio dell’architetto Manfredo Massironi, un ex
militante di Potere Operaio, e vi trova un imponente archivio privato affidatogli
da Toni Negri, e in parte da Emilio Vesce1.
Negri sembra considerarsi davvero protagonista di un processo rivoluzionario destinato
alla vittoria: ha conservato per la storia le sue carte, le minute, i manoscritti,
anche i più compromettenti, agende, registrazioni di incontri.
Poco dopo, il 28 marzo, da Calogero si presenta Antonio Romito, segretario della Cgil
di Este. Romito è stato un militante di Potere Operaio e della prima Autonomia, nel
gruppo si è pericolosamente approssimato ai livelli armati, prima di staccarsene alla
fine del 1974. Adesso, spinto dall’indignazione morale per due insopportabili omicidi-simbolo
da poco eseguiti – quello del giudice Alessandrini e quello dell’operaio comunista
Guido Rossa –, ha deciso di dire quello che sa, quello che ha visto.
Ce n’è abbastanza per avviare la prima grande inchiesta italiana su Autonomia; una
delle poche, già allora, a nascere senza la spinta di pentiti o dissociati o infiltrati.
In seguito, si aggiungeranno altri testimoni, verranno reinterpretate sotto la nuova
lente vecchie inchieste, con risultati sorprendenti.
È solo nel dicembre 1979 che arriverà il grande pentito: il «professorino» Carlo Fioroni,
il colonnello di Negri. Fioroni ha partecipato alla costruzione delle strutture occulte
di Potere Operaio prima, di Autonomia poi, ha tenuto i collegamenti con i Gap (Gruppi
Armati Proletari), con le Brigate Rosse, con altri gruppi europei e con la malavita
comune.
Dopo di lui molti altri confesseranno. Ulteriori elementi si aggiungeranno nel 1982,
quando la dissoluzione delle Brigate Rosse provoca «pentimenti» a catena.
Molti degli accusati, nel frattempo, sono riparati in Francia. Per Franco Piperno
e Lanfranco Pace, la Francia non concede l’estradizione: i due non possono neanche
essere rinviati a giudizio ed evitano il processo. Oreste Scalzone, invece, fugge
in Francia dopo aver ottenuto la scarcerazione per ragioni di salute. Antonio Negri,
eletto deputato radicale nel corso del primo dibattimento, prima che la Camera conceda
l’autorizzazione all’arresto e al processo, si eclissa a sua volta. Sarà definitivamente
condannato a quasi 17 anni in più processi a Roma e Milano2 per concorso in costituzione e organizzazione di associazione sovversiva e banda
armata, in omicidio e tentato omicidio, per numerosi episodi di rapine, tentate rapine
e ricettazione, per detenzioni di armi, incendi, devastazioni, tentata evasione.
L’inchiesta «7 aprile» ha un iter complicato ed è certamente il più contrastato dei
procedimenti sul terrorismo. La novità della sua ipotesi di fondo provoca larghe resistenze
e incomprensioni.
Il ramo padovano deve fare i conti con l’opinione del giudice istruttore Giovanni
Palombarini, il quale non crede alla complementarietà fra terrorismo alto e diffuso,
e nemmeno all’unitarietà di Autonomia Organizzata.
Attorno, divampa una campagna di attacchi politici e critiche da parte di alcuni intellettuali:
le critiche più benevole non concepiscono che dei cattivi maestri possano essere stati
efficienti organizzatori, che degli «intellettuali» possano essere andati al di là
delle teorizzazioni, che i generali possano avere più responsabilità dei soldati.
1 Altri importanti documenti saranno recuperati successivamente nella Fondazione Feltrinelli.
2 La condanna definitiva principale, a 11 anni, 6 mesi e 15 giorni, è inflitta nel
processo romano. Altre due «in continuazione» – 1 anno e 8 mesi; 3 anni e 4 mesi –
da sentenze a Milano riguardanti singoli episodi.
Genesi del partito armato: Potere Operaio, Brigate Rosse, «Rosso» (1971-1974)
Potere Operaio partito dell’insurrezione
«L’unica proposta credibile di partito è quella del partito armato»: così «Potere Operaio»1 sintetizza i risultati della propria conferenza d’organizzazione tenuta a Roma nel settembre 1971. È il convegno in cui il gruppo-partito definisce il proprio obiettivo ultimo, ovvero che Potere Operaio è «il partito dell’insurrezione», e che «muovere il movimento verso lo sbocco di potere significa dirigere l’intera articolazione del movimento delle masse verso la lotta armata»2.
Su questa falsariga, hanno accesamente discusso a Roma i maggiori leader, da Piperno a Scalzone. Alcuni interventi al convegno sono stati particolarmente violenti. Ad accendere le polveri è il delegato della segreteria toscana, Francesco «Pancho» Pardi, che sollecita l’esecutivo a «garantire che Potere Operaio, da domani in poi, con la centralizzazione che deve raggiungere, abbia la possibilità di dislocare delle forze ingenti, assolutamente ingenti, sul piano della clandestinità», impiegando «nell’ipotesi della scadenza generale insurrezionale un pugno bolscevico». Fin troppo esplicito: nei corridoi, «Pancho» è ripreso da Negri perché certe cose non si dicono in un convegno pubblico3. Però l’appello di Pardi basta a movimentare il dibattito. Lanfranco Pace, a nome dei romani, interviene a sostegno di Pardi, scandendo: «Diciamo sì alla clandestinità, sì alla violenza, sì alla militarizzazione [...] Oggi fare politica significa riuscire ad esprimere fino in fondo livelli adeguati di violenza».
Certe cose non si diranno in pubblico e, tuttavia, si faranno in privato. Infatti, durante i lavori della conferenza – in una riunione ristretta – Negri, Piperno, Scalzone e altri leader decidono di creare un braccio armato e occulto del gruppo: la struttura viene battezzata Lavoro Illegale. Ne è commissario politico Piperno, responsabile militare Valerio Morucci – il futuro brigatista che sette anni dopo parteciperà alla strage di via Fani – e responsabile militare per il Nord Carlo Fioroni, il «professorino» innalzato a quella carica dal «professore»: Toni Negri.
Da quel momento, l’attività di Potere Operaio imbocca la via del doppio livello: una faccia pubblica e il suo rovescio occulto che, in termini giudiziari, supera per la prima volta «il limite della liceità penale».
Il battesimo di fuoco
E prima? Agli esordi, nell’autunno 1969, Potere Operaio si dedica ad amplificare e dirigere i conflitti politico-sociali. Ha lanciato parole d’ordine ambigue, nelle quali tuttavia il termine «armato» è ossessivamente presente. Tenta un’alleanza presto interrotta con «il manifesto». Dedica un’attenzione costante a fenomeni in crescita, come i Gap di Feltrinelli e le Brigate Rosse, diffondendo i loro documenti e collaborando direttamente con i Gap. Arriva a interpretare omicidi della criminalità comune come momenti di «passaggio dalla lotta di classe alla lotta rivoluzionaria, intesa come violenza aperta»4.
Dopo la conferenza di Roma, la struttura occulta, Lavoro Illegale, si espande nelle maggiori città. A Padova i più impegnati sono Carlo Picchiura, futuro omicida brigatista, ed Egidio Monferdin, uno dei più preziosi aiutanti di Negri.
L’Esecutivo Nazionale decide di trasformare la manifestazione a Milano del 12 dicembre 1971, anniversario della strage di piazza Fontana, in un giorno di guerriglia. In un appartamento di via Galilei affittato da Fioroni vengono preparate centinaia di molotov. Il primo battesimo del fuoco fallisce, perché la polizia scopre e arresta otto militanti. Nel gruppo è lo scompiglio: volano accuse di immaturità, personalismo, fughe militariste in avanti. Lavoro Illegale fallisce e viene sostituito da due nuove strutture occulte interne, che riflettono una divisione tanto politica quanto geografica: Piperno e Morucci fondano il Faro, ovvero Fronte Armato Rivoluzionario Operaio; Negri continua con i suoi seguaci, con una organizzazione che più avanti verrà chiamata, solo internamente, Centro Nord.
Dalla guerriglia al terrore rosso
Subito d...