Dialogo sulla storia
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Dialogo sulla storia

  1. 82 pagine
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Due protagonisti della ricerca, due studiosi di successo che in questo dialogo raccontano la vita negli anni della giovinezza e della ricerca, le vocazioni politiche, l'incontro con straordinari maestri, lo stupore rimasto intatto a distanza di decenni per il fascino d'una strada, quella della ricostruzione del passato, intrapresa quasi per gioco e per fatalità. Franco Cardini

Due dei massimi storici della loro generazione, due grandi maestri la cui voce, oggi, merita di essere ascoltata sul ruolo che la conoscenza storica dovrà ricoprire nel futuro. Nella convinzione che se si riuscirà a costruire un'Europa che abbia senso, occorrerà in primo luogo recuperarne l'identità storica. Massimo Firpo, "Il Sole 24 Ore"

In questo dialogo due studiosi che hanno rivoluzionato la ricerca storica ripercorrono la loro vita: gli argomenti della propria ricerca, le contraddizioni irrisolte, i modi in cui la storia fa sue le questioni del presente.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858128619

I maestri

Emmanuel Laurentin Jacques Le Goff, Jean-Pierre Vernant, voi avete dieci anni di differenza fra di voi ma, come mi dicevate, siete in un’età in cui questi dieci anni non fanno grande differenza. So che non vi piace parlare di generazioni di intellettuali, un tema che viene invece molto spesso evocato nella stampa francese; in ogni caso, voi fate certamente parte di una generazione intellettuale che si è forgiata prima della guerra.
Jean-Pierre Vernant Io appartengo alla stessa generazione di Jacques Le Goff. Ho mosso i primi passi dopo la guerra.
Jacques Le Goff Si può dire che apparteniamo entrambi alla generazione della Liberazione. Tu vi appartieni anche più di me, perché uscivi da una guerra in cui avevi combattuto. Credo sia giusto dirlo: tu sei stato un eroe della Resistenza.
E.L. Col nome di colonnello Berthier, a Tolosa. Se proprio vogliamo cercare dei collegamenti fra di voi, Tolosa potrebbe costituire un punto geografico comune. Lei Jean-Pierre Vernant, era a Tolosa durante la guerra, e Jacques Le Goff evoca Tolosa in una delle sue opere, in particolare la basilica di Saint-Sernin. Lei racconta che la visita a Saint-Sernin nel 1939 contribuì alla sua apertura intellettuale al Medioevo.
J.L.G. Non intendo scrivere le mie memorie, non mi considero un soggetto degno d’interesse per la storia. Ma la famiglia stretta da cui provengo può essere interessante dal punto di vista storico. I miei genitori erano persone modeste: mio padre era professore di liceo, mia madre insegnante di piano. Avevano questo d’interessante ed emozionante, che ha lasciato in me un ricordo grandissimo: erano persone profondamente opposte sul piano ideologico. Mia madre era di origine italiana, cattolica fervente, praticante. Mio padre – nel momento in cui il paese stava uscendo dall’affare Dreyfus – rimaneva un anticlericale scontroso. Per certi versi, nonostante l’ammirazione che ho sempre nutrito per lui, trovavo che il suo anticlericalismo fosse un po’ esagerato. Prima della guerra, andammo una volta in vacanza nei Pirenei. Facemmo sosta a Tolosa per visitare Saint-Sernin; mio padre ci disse: «Andate voi, io non entro in una chiesa». Ebbi l’audacia di dirgli che era ridicolo, che noi andavamo a vedere l’arte, il Medioevo, non il dato religioso.
E.L. Lei pure, Jean-Pierre Vernant, proviene da una famiglia anticlericale e dreyfusarda.
J.-P.V. Assolutamente sì. Mio nonno, Adolphe, aveva fondato un giornale che si chiamava «Le Briard»1, un giornale di indirizzo repubblicano che aveva dirimpetto «La Brie», un giornale clericale. Al tempo dell’affaire, si era dichiarato a favore di Dreyfus, e questo gli aveva procurato parecchie difficoltà, perché alcuni lettori disdissero l’abbonamento. Mio padre, Jean, che gli succedette, era stato iscritto al partito socialista – si fece poi ammazzare durante la guerra –, ma condivideva lo stesso orientamento. Ho sempre vissuto in questo ambiente in cui il clericalismo era considerato il nemico numero uno. Quando arrivai al Quartiere Latino intorno al 1934, incappai nelle leghe che lì erano molto attive. Aderendo alla Lega di azione universitaria repubblicana e socialista per poi virare verso le associazioni giovanili comuniste e il partito comunista, sentivo di restare fedele a una certa tradizione familiare.
E.L. Nel corso di questi colloqui troveremo altri punti in comune. Possiamo intanto ricordare, nella vostra carriera universitaria, il passaggio alla sesta sezione dell’École des hautes études en sciences sociales (Ehess), il fatto che siete stati entrambi insigniti della medaglia d’oro del Cnrs, il fatto che avete lavorato entrambi nel solco delle «Annales». È curioso che, tutto sommato, non abbiate mai prodotto lavori in comune. Tanto più che lei, Jacques Le Goff, ha realizzato lavori in collaborazione con uno studioso molto vicino a Jean-Pierre Vernant, e cioè con Pierre Vidal-Naquet, su Lévi-Strauss.
J.L.G. Ho pubblicato vari lavori in collaborazione con qualcuno, ma non ho mai pubblicato opere in comune. Ho diretto insieme con Jean-Claude Schmitt Le dictionnaire raisonné de l’Occident médiéval2. Ho pubblicato, per esempio, degli articoli a firma congiunta con Pierre Vidal-Naquet, il quale peraltro ha scritto libri con Jean-Pierre Vernant. Tutto ciò dimostra che tutti e tre avevamo obiettivi, interessi che possiamo dire antropologici.
J.-P.V. Certamente. Non si è presentata l’occasione di lavorare insieme, ma all’École des hautes études, in quella che all’epoca era ancora la sesta sezione, non eravamo in tanti, per cui era facile raggiungere con alcuni una certa intimità anche se non si scrivevano libri insieme. Le Goff era per me uno di questi, e immagino che io lo fossi per lui. Quando ho pubblicato libri in comune con Vidal-Naquet, alcune parti erano sue e altre mie. Un solo libro ho scritto davvero a due mani, quello con Detienne su Les ruses de l’intelligence: la métis des Grecs (1974)3.
J.L.G. Va anche detto che, per quanto aperti fossimo, per quanta fretta avessimo di uscire dal territorio recintato dai nostri antenati e dai nostri predecessori, eravamo consapevoli che non potevamo dire e scrivere cose appropriate se non rimanendo nell’ambito di un certo campo di specializzazione. Per noi due, i rispettivi campi erano già considerevoli: la Grecia antica è un’area vasta, e il Medioevo lo è altrettanto. Di conseguenza, non siamo mai usciti completamente dalla Grecia antica Jean-Pierre Vernant e dal Medioevo io. Non è per farci complimenti fra noi, ma penso che l’atteggiamento che combina uno spirito di ricerca il più aperto possibile e un territorio conosciuto che si tratta di coltivare quanto più in profondità possibile dopo averlo dissodato, è l’atteggiamento giusto per un buon lavoro. Suppongo che questa preoccupazione, questa necessità di tenere insieme l’estensione, lo spazio, e la profondità valga per tutte le scienze, ma vale in particolare per la storia e la filosofia. Bisogna impiantarsi.
E.L. Bisogna radicarsi.
J.-P.V. Sì. Io sono originariamente filosofo. Nel 1937 vinco il concorso come professore di filosofia. Dal 1937al 1948, non mi occupo di ricerca. Direttore di ricerca era allora Georges Jamati. Ignace Meyerson mi suggerì di dedicarmi alla ricerca, e così mi recai da Jamati, il quale fu molto gentile, perché allora la ricerca non era una macchina burocratica ma qualcosa di amichevole. Insegnavo ancora al liceo Jacques-Decour; gli dissi che mi sarebbe piaciuto impegnarmi in un lavoro di ricerca. Non avevo pubblicato niente, a parte alcuni articoli di politica estera in «Action» di cui non volevo parlare. Mi rispose: «Ascolti, Vernant, non c’è problema: lei sarà preso come attaché di ricerca, che abbia pubblicato o no; gli altri hanno pubblicato al suo posto, per il resto lei ha già dato. Ora ha diritto alla ricerca».
J.L.G. Quel che ha appena detto Jean-Pierre Vernant è molto importante, non soltanto per noi ma per tutta la generazione della Liberazione. Abbiamo avuto la fortuna di trovare istituzioni aperte.
E.L. E anche istituzioni nuove.
J.L.G. Certo. Il Cnrs4 ha giocato un ruolo capitale nella ricerca francese. I suoi fondatori, a partire da Félix Grat, sono grandi uomini della ricerca francese. Subito dopo la guerra, Lucien Febvre fondò, nella memoria di Marc Bloch, la sesta sezione dell’École pratique des hautes études. In seguito, Jean-Pierre passò in un ambiente multidisciplinare per natura fin dal XVI secolo, il Collège de France. Gli storici, come noi siamo, devono sottolineare il ruolo delle istituzioni. Noi, chi più chi me...

Indice dei contenuti

  1. Premessa. Testimoni dell’età dell’oro
  2. I maestri
  3. L’eliminazione delle barriere disciplinari
  4. Lavoro e tecnica
  5. Tragedia, liturgia
  6. Il tempo dei ritorni