Gli eroi bevono vino
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Gli eroi bevono vino

Il mondo antico in un bicchiere

  1. 256 pagine
  2. Italian
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Gli eroi bevono vino

Il mondo antico in un bicchiere

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La cultura antica attraverso il vino. Un libro che diverte e che insegna molte cose!Eva Cantarella

Bevanda ristoratrice da offrire agli ospiti, gradita offerta agli dei e, nel contempo, dono di un dio. In Gli eroi bevono vino Laura Pepe descrive il ruolo e la funzione sociale che il nettare dionisiaco ebbe nel mondo greco e romano. Con leggerezza e con misura, come gli antichi prescrivono il bere.Alice Patrioli, "la Lettura – Corriere della Sera"

Alla moderna società dell'informazione e della connessione in rete, in un solitario mondo virtuale, sarebbe opportuno ricordare il valore del simposio, del convito, quale momento di civiltà. E delle varie forme di simposio nel mondo antico – presso i romani convito – tratta Laura Pepe.Tullio Gregory, "Il Sole 24 Ore"

Attorno al vino ruota una gran parte dell'identità di Greci e Romani: miti, regole di galateo, codici di comportamento, visioni etiche e filosofiche, religione e molto altro ancora. Con la lievità di un brindisi, una visione originale e vivida della straordinaria cultura di cui siamo figli.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788858140970
Argomento
Storia
Categoria
Storia antica

1.
Coppe di solidarietà

Vino...
Amoroso, marino,
nunca has cabido en una copa,
en un canto, en un hombre,
coral, gregario eres,
y cuando menos, mutuo.
Pablo Neruda, Oda al vino

Omero, una guida d’eccezione

Come era fatto Omero? Se qualcuno ci ponesse questa domanda, è probabile che, ripescando nella memoria immagini viste in un museo o su un libro di scuola, penseremmo a un vecchio cieco e canuto, dall’aspetto autorevole, con una lunga barba, intento a cantare, accompagnandosi con una cetra, storie meravigliose di eroi e di dei di un tempo lontano. Per noi, come per gli antichi, Omero è un poeta, il poeta: nessuno lo immaginerebbe come guerriero, sacerdote, araldo, e ancor meno come donna, contadino, fabbro o umile servitore pronto a rispondere agli ordini del padrone. Eppure, Omero è anche tutto questo: perché gli esametri dei poemi sono così vividi che egli sembra vestire di volta in volta i panni di ciascuno dei personaggi che popolano le sue storie.
Iliade e Odissea non narrano solo gesta e vicissitudini di individui ben al di sopra degli altri esseri umani, e delle divinità che interagiscono con loro; non parlano solo dell’ira di Achille – l’eroe che a Troia, offeso da Agamennone, decide di ritirarsi dal combattimento, causando in questo modo «infiniti lutti agli Achei» –, e del tormentato viaggio di ritorno di Ulisse in un’Itaca presa d’assedio dai Proci che aspirano alle nozze con sua moglie Penelope. Omero racconta anche di una quotidianità popolata da individui semplici e da uomini ordinari: il fine dei suoi poemi è infatti quello di tramandare, agli ascoltatori del tempo come ai lettori di oggi, l’intero patrimonio culturale della Grecia antica, fatto di storie, di oggetti, di mestieri, di tecnica, di modelli di comportamento a cui ispirarsi e attenersi.
Non sappiamo quando visse Omero, né tantomeno se sia davvero esistito; questo problema – che forma parte della celebre «questione omerica» – è tuttavia ai nostri fini del tutto marginale. Quel che importa, infatti, è che egli racconta di un’epoca (molto ampia, che va probabilmente dal X all’VIII secolo a.C.) in cui il sapere non era affidato alla scrittura, ma era trasmesso oralmente: perché le conoscenze acquisite non andassero perdute era necessario cristallizzarle, ripeterle e affidarle ad altri affinché a loro volta questi le facessero proprie e le consegnassero alle generazioni successive. Per questo, i quarantotto libri in cui complessivamente i poemi sono suddivisi trattano solo parzialmente di vicende utili all’avanzamento dell’azione: una parte cospicua è riservata a descrizioni di situazioni contingenti, che, oltre a servire da cornice narrativa, contengono indicazioni pratiche sul «che cosa fare» in circostanze determinate: quasi si tratti di un manuale di istruzioni, a uso e consumo di chiunque ascolti i versi del poeta. Così, vi si trovano spiegazioni dettagliate sulla fabbricazione delle armi e sulla vestizione di un guerriero, sulla costruzione di un’imbarcazione, sulla modalità di uccisione degli animali da sacrificio e sulle preghiere da rivolgere agli dei, sulle regole da seguire per convocare un’assemblea o per prendere in essa la parola.
In questo contesto, non sorprende che Omero dedichi uno spazio tutt’altro che trascurabile anche al vino, una presenza costante e fondamentale nella vita dei suoi personaggi. Nell’Iliade e nell’Odissea, in effetti, il vino scorre a fiumi: si beve durante i pasti quotidiani, nelle pause dal faticoso lavoro nei campi, al termine della battaglia, prima e dopo aver preso una decisione importante; si beve per celebrare una festa, per suggellare un patto, per accogliere e per congedare un amico o un ospite. Insomma, il vino è un piacere che nessuno, eroe o semplice guerriero, re o servitore, nega a se stesso: insieme alla buona tavola, esso fa la felicità dei ricchi e dei poveri1. Sono pochissimi nei poemi i libri privi di riferimenti al vino, tanto che il poeta latino Orazio giunge ad apostrofare Omero come vinosus, «ubriacone»2; un giudizio tagliente – peraltro giustificato dalla sua collocazione in un componimento particolarmente velenoso –, ma decisamente poco veritiero se preso alla lettera, dal momento che ben di rado i personaggi omerici, pur bevendo molto, soccombono all’ebbrezza (su questo punto ritorneremo nel capitolo 4). L’abbondanza di vino nei poemi, piuttosto, trova una sua precisa ragione d’essere nell’altissimo valore sociale che al vino è collegato.
Per questo, a Omero non interessa granché il vino consumato nel déipnon, ossia nella colazione o nella cena di tutti i giorni, dove, insieme al cibo, esso è semplice nutrimento, utile a soddisfare una necessità fisiologica e a ricordare all’uomo la sua natura mortale (all’argomento era particolarmente sensibile Ulisse, il quale a più riprese lamenta di essere schiavo del proprio odioso ventre vuoto). Omero indugia molto più volentieri sui pasti delle occasioni speciali o solenni, e tra questi, in particolare, sulla dais, il «banchetto aristocratico»: qui, il vino che – rigorosamente miscelato con acqua, secondo il tipico uso greco e poi romano – innaffia nel prima, nel durante e nel dopo abbondanti porzioni di carne arrostita, non è semplice bevanda, ma diviene cultura, essenza stessa di civiltà.
Le descrizioni dei numerosi banchetti ricorrenti nei poemi sono a tratti così intense da dare anche a noi lettori moderni la sensazione di partecipare a essi in qualità non di semplici spettatori, ma di veri e propri commensali. Omero sarà dunque il maestro di cerimonie nel percorso che ci porterà a osservare da vicino quel che succedeva durante i banchetti, e a scoprire i possibili significati del cibo e del vino che lì venivano consumati.
Nei poemi di Omero, i banchetti sono condotti secondo un rituale che, pur con qualche variante, non si discosta da questo schema tipico: ai presenti viene dapprima distribuito del vino, in parte versato puro come libagione agli dei; quindi si procede con le operazioni di cucina, che consistono nel taglio e nell’arrostitura di carne infilata sugli spiedi (in alcuni casi già pronta, in altri preparata all’occorrenza con l’uccisione di uno o più animali). La consumazione del cibo e del vino non pone fine al banchetto: la formula ricorrente «dopo aver tolto il desiderio di cibo e di bevanda» segna il passaggio a una nuova fase, di conversazione, durante la quale le coppe vengono nuovamente e continuamente riempite, fino a che i convitati non decidono di dedicarsi ad altro.
Questi gesti si ripetono praticamente identici qualunque sia la funzione del banchetto: placare gli dei, far pace, celebrare un evento, siglare una decisione presa, o, ancora, accogliere un ospite. Proprio sui banchetti di accoglienza vale la pena soffermarsi più a lungo: l’ospitalità è infatti uno dei meccanismi relazionali fondanti dell’etica omerica, e nel codice della xenía («ospitalità», appunto) il vino era senza dubbio tra i protagonisti.

Dare vino agli ospiti

Tra le regole di comportamento che un personaggio omerico è tenuto a rispettare rientra quella di dare degna accoglienza a chi giunge nella sua dimora.
Le modalità di accoglienza sono le medesime a prescindere dal rango sociale di chi ospita: le divergenze tra l’eroe aristocratico e l’uomo del popolo rilevano infatti solo sotto il profilo della quantità e della qualità, non sotto quello del contenuto. Così Eumeo, l’umile porcaro di Ulisse, si affretta a invitare nella sua capanna il vecchio mendicante sotto le cui spoglie si nasconde proprio il suo padrone, per rifocillarlo con quel che ha: recatosi nel porcile, uccide due maialini – perché, come ricorda, i maiali grassi se li mangiano i Proci che imperversano nella reggia – e li cuoce sugli spiedi, offrendoli poi al suo ospite insieme a vino profumato di miele versato in un semplice boccale di legno. Lo stesso rituale, solo in forma più sontuosa, si ripete alle corti dei nobili: quando Telemaco con alcuni compagni giunge dal re di Pilo, Nestore, per avere notizie del padre Ulisse, viene subito accolto con arrosto di carni nutrienti e vino soave servito in un calice d’oro; i ricchi erano naturalmente soliti offrire vino particolarmente pregiato, o elargirne in quantità molto abbondanti3.
È peraltro opportuno osservare che, al di là dell’iterazione della nota sequenza nel servizio di vino e cibo, vi sono anche altri elementi che ricorrono in modo costante. Tra questi vi è innanzitutto l’irrilevanza del momento della giornata in cui l’ospite si presenta; non importa se sia o non sia ora di colazione, di pranzo o di cena, e non importa neppure se l’ospitante o l’ospitato abbiano da poco mangiato e bevuto: nel nono libro dell’Iliade, Ulisse e Aiace, mandati come ambasciatori da Agamennone ad Achille per convincere quest’ultimo a desistere dalla sua ira e a ritornare a combattere, si ritrovano nel giro di poche ore seduti a due tavole diverse, a ingurgitare quantità di carne e di vino che ai nostri occhi di occidentali del XXI secolo appaiono quantomeno poco salutari (anche se poi gli antichi non si ponevano affatto il problema: è significativo che Ulisse riporti in modo incolore, senza segnalarla come fatto singolare, la consumazione di un abbondante doppio pasto)4. La prima cosa da fare dopo il contatto anche solo visivo con l’ospite è mettergli in mano una coppa colma di vino e preparare la tavola – oppure ammetterlo a una tavola già riccamente imbandita. Per il vero, vi sono anche rari casi in cui a essere offerto è innanzitutto un bagno che ristori dalla fatica di un lungo viaggio: questo accade per esempio a Telemaco e Pisistrato, che da Pilo sono giunti a Sparta nella reggia di Menelao5; comunque sia, si tratta di una parentesi veloce, il cui unico scopo è quello di mettere l’ospite nella condizione migliore per mangiare e bere.
Vi è poi un’altra, importantissima regola a cui chi ospita deve attenersi: quella della corretta alternanza tra parole e silenzio: mai fare domande all’ospite prima che questi si sia tolto «il desiderio di cibo e di bevanda». In particolare, vino e cibo devono essere offerti all’ospite sconosciuto senza alcuna prevent...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. Coppe di solidarietà
  3. 2. Il vino e il divino
  4. 3. Per tutti i gusti
  5. 4. Misure e dismisure
  6. 5. Le leggi del vino
  7. 6. In compagnia di Eros
  8. Ringraziamenti
  9. Suggerimenti bibliografici