Madri si diventa
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Nel corso della gravidanza e per tutto il primo anno di vita del bambino la madre costruisce una vera e propria nuova organizzazione psichica, entra in una 'costellazione materna' che la induce a rivedere l'intera gerarchia delle priorità e dei valori. A seconda del trasporto o della reticenza con cui ogni madre si addentra nella propria 'costellazione', Massimo Ammaniti individua quattro tipologie di donne: le madri integrate, che accettano e vivono pienamente l'esperienza della gravidanza, considerandola un momento e un passaggio centrale per lo sviluppo della loro identità; le madri ristrette, che non vogliono farsi travolgere e trasformare dalla maternità e dunque mantengono un saldo autocontrollo, anche fisico; le madri ambivalenti, che manifestano un atteggiamento contraddittorio, oscillando tra euforia e paura; le madri depresse. Un saggio agile e illuminante su una delle fasi più delicate della vita di una donna.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858122174

Madri si diventa

«Madri non si nasce, si diventa». Lo affermano Craig H. Kinsley e Kelly G. Lambert, due neurobiologi che hanno studiato gli effetti della gravidanza e della maternità sul cervello delle madri1. Aggiungerei che non si diventa madri nel periodo in cui si aspetta un figlio, ma ci si prepara già molto tempo prima. Basta osservare bambine e bambini di due o tre anni che giocano per capire quanto nelle femmine sia presente fin dalla più tenera età una predisposizione alla maternità che si esprime nella preferenza a giocare con le bambole, mentre la scelta dei maschi si orienta di solito verso giochi aggressivi e competitivi. A questo proposito, la psicologa americana Carol Gilligan, che si è occupata dello sviluppo dell’identità maschile e femminile, racconta un episodio divertente avvenuto durante un esperimento che stava conducendo. Un bambino e una bambina di quattro o cinque anni stanno giocando insieme in una stanza. Il maschietto con aria perentoria si rivolge alla femminuccia e le dice: «Giochiamo a fare i pirati», e la bambina, con aria convincente, gli risponde: «Dai, giochiamo alla famiglia». Lui, annoiato e infastidito, le ripete: «No, io non gioco alla famiglia, è una noia. Voglio giocare ai pirati». Il braccio di ferro non sembra sbloccarsi perché il bambino tiene il punto. È invece la bambina a trovare un accordo e con aria furba gli dice: «Va bene, facciamo il pirata che stava in famiglia».
Non si attribuisce mai la dovuta importanza ai condizionamenti culturali nella definizione del carattere e nella determinazione dei comportamenti maschili o femminili e, al tempo stesso, sarebbe assurdo sottovalutare l’influenza prodotta dalla componente psicobiologica propria e specifica di un bambino e di una bambina. Il comportamento sessualmente definito degli individui, adatto allo svolgimento dei rispettivi ruoli, è infatti la risultante di un intreccio assai sofisticato tra natura e cultura.
Nello specifico si può osservare come l’attitudine a diventare genitore diventi sempre più definita e concreta durante l’adolescenza, quando avviene la maturazione corporea e sessuale legata alla pubertà. Si tratta di un percorso di maturazione che si definisce in una forma sempre più chiara verso la fine dell’adolescenza. Nella prima adolescenza, infatti, i giovani sono ancora molto concentrati su se stessi e mostrano scarsa disponibilità alla cura dei piccoli; negli anni immediatamente successivi, invece, la tendenza si inverte: si va via via sbiadendo la natura oppositiva della relazione con i propri genitori e inizia a prendere corpo la possibilità di identificarsi con un ruolo anche genitoriale, fatto di attenzioni e di cure per i più piccoli. Si verifica in quegli anni un vero e proprio cambiamento di rotta: si esce dal microcosmo abitato solo da se stessi e dai propri bisogni e si entra in un macrocosmo abitato anche dagli altri e dai loro bisogni.
Per questa ragione le gravidanze che intervengono nei primi anni dell’adolescenza sono assai problematiche: è difficile che una ragazza che resta incinta a quattordici o quindici anni possa vivere pienamente la maternità. A questo proposito la psicoanalista inglese Dinora Pines ha messo in luce che la gravidanza in adolescenza non scaturisce da un desiderio di maternità, quanto piuttosto da esigenze legate alle dinamiche psicologiche tipiche di quell’età. Per esempio, l’attesa di un figlio può diventare, per lo più inconsapevolmente, un modo per dimostrare di essere in grado di diventare come la propria madre, di avere un corpo maturo e fertile come il suo. È quindi un desiderio di natura narcisistica che, a volte, nasconde una seria difficoltà a crescere. In questo senso, la gravidanza può essere interpretata come una scorciatoia per diventare grandi.
Di sicuro però una donna comincia ad autorappresentarsi come madre solo durante la gravidanza: è in quella fase che sperimenta un ampliamento della propria identità femminile nell’essere madre. Ma insieme alla propria immagine, durante la gravidanza la donna costruisce anche l’immagine del figlio; un’immagine dapprima embrionale, come l’embrione bi...

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