Il cinema americano contemporaneo
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Il cinema americano contemporaneo

  1. 232 pagine
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Il cinema americano contemporaneo

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Da Coppola a Martin Scorsese, da Steven Spielberg a George Lucas, dai fratelli Coen a Tarantino e Wes Anderson. Un percorso attraverso le trasformazioni, i protagonisti, i film – come Taxi Driver, Le iene, La 25a ora, Harry ti presento Sally, Eyes Wide Shut, Matrix– che individua le questioni chiave del cinema americano contemporaneo, dalla fine degli anni Sessanta ai giorni nostri.

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VI. L’autore: il caso Kubrick
Eyes Wide Shut (1999)

1. Kubrick autore. I paradossi di un mito

«Con soli 13 film, che hanno suscitato attese e controversie, Stanley Kubrick è diventato l’archetipo dell’autore, creando un vero e proprio mito»131.
Con queste parole inizia una delle numerose monografie dedicate all’ultimo film di Kubrick, Eyes Wide Shut, uscito postumo nel 1999, a pochi mesi dalla improvvisa scomparsa del regista, avvenuta il 7 marzo del 1999. L’autrice, Diane Morel, prosegue il suo discorso su Kubrick giustificando questa affermazione, che costituisce tuttavia un vero e proprio luogo comune, attraverso una serie di considerazioni altrettanto oggettive quanto ovvie. Nell’ottica adottata, il mito del regista americano, accresciuto anche dalla progressiva definizione del personaggio-Kubrick (il realizzatore maniacale, chiuso nell’isolamento della residenza inglese dove, dagli anni Sessanta in poi, ha diretto i suoi film), deriva precipuamente dall’idea che «ogni film di Kubrick ha cambiato il cinema. Ogni opera che ha prodotto risulta unica nel suo genere. 2001 ha posto le basi per una nuova fantascienza, Shining ha rielaborato il fantastico, facendone evolvere i codici narrativi, Full Metal Jacket ha demolito una serie di luoghi comuni elaborati da un decennio di film sul Vietnam»132, e così via.
Si tratta di un’opinione diffusa e sistematicamente ribadita tanto dalla critica istituzionale (perlomeno in buona parte della sterminata bibliografia sul regista), tanto nei luoghi più spontanei del fandom e del culto cinefilo (blog, siti, archivi online ecc.), ancora oggi numerosissimi, a un quindicennio dalla morte di Kubrick. In questa prospettiva, a dimostrare la coerenza e la riconoscibilità autoriale del suo cinema, si sottolinea innanzitutto, a livello produttivo, la ricorrenza di uno schema di lavoro che si ripete di film in film, definendo un preciso metodo, un peculiare approccio, caratterizzato da una serie di costanti quali:
1) il ricorso a una fonte letteraria (romanzo o racconto) pre-esistente (attingendo a scrittori come Nabokov, Burgess, King, Schnitzler...);
2) la partecipazione dello stesso regista al lavoro di sceneggiatura, prevalentemente affidato a uno scrittore;
3) una lunga preparazione basata su una documentazione enciclopedica, su una definizione accurata delle location, del décor, dei costumi, attraverso ricerche capillari, ricostruzioni iconografiche ecc.;
4) una prolungata fase di prove con gli attori, utile a inserire nella sceneggiatura definitiva elementi nati dall’improvvisazione e a meglio definire il découpage;
5) un tournage caratterizzato da un elevato numero di ciak, fino a ottenere la ‘perfezione’;
6) una fase di montaggio, anche questa eccezionalmente lunga, nel corso della quale vengono anche scelte definitivamente le musiche, che andranno a costituire una parte fondamentale dello stile e del senso del film (Strauss, Beethoven, Ligeti, Šostakovič...); a conclusione di questa, il ricorso ad anteprime, organizzate dallo stesso Kubrick, per testare il funzionamento del film, al fine di giungere al montaggio definitivo;
7) un’attenzione specifica alla promozione del film, alla distribuzione in sala e sui diversi supporti, al doppiaggio ecc., da parte dello stesso regista che controlla personalmente ognuno di questi aspetti.
Un metodo «ritualizzato»133, ripreso appunto di film in film, laddove la fase di preparazione, nel corso degli anni, diviene sempre più estesa, rarefacendo la cronologia delle uscite, sempre più lontane le une dalle altre. Tra Full Metal Jacket (id., 1987) e Eyes Wide Shut, per esempio, passano ben dodici anni, nel corso dei quali, certo, il regista lavora anche ad altri progetti (come The Aryan Papers e A.I., poi realizzato da Spielberg), ma che appaiono come un tempo davvero eccezionale per la realizzazione di un film; e di un film, peraltro, cui Kubrick pensava già dal 1968, quando aveva cominciato a interessarsi a un adattamento di Doppio sogno (Traumnovelle) di Arthur Schnitzler (1925)134 da cui trarrà appunto il suo ultimo film.
Naturalmente, il ‘metodo Kubrick’ diventa marchio d’autore anche, e definitivamente, in ragione delle ricorrenze tematiche e stilistiche che caratterizzano il suo universo narrativo. L’insieme dell’opera del regista che, come si diceva, ha affrontato via via generi e fonti letterarie differenti, appare come una mappa concettuale e iconografica estremamente coesa e riconoscibile, laddove emergono con forza alcuni grandi motivi (come lo scontro tra Natura e Cultura, Ragione e Libido, Spazio e Tempo, il Doppio, il Perturbante...), visualizzati in patterns figurativi ricorrenti (le inquadrature in grandangolo e profondità di campo, i travelling nei meandri fisici e simbolici dello spazio raccontato, gli scavalcamenti di campo ecc.), sonorizzati spesso con effetti di eco o particolari rielaborazioni (dai suoni diegetici alla musica di accompagnamento: si pensi all’Inno alla gioia in versione elettronica di Arancia meccanica, A Clockwork Orange, 1971), o con accostamenti ‘in contre-emploi’ (dal valzer Sul bel Danubio blu, di Johann Strauss, per la fantascienza di 2001: Odissea nello spazio, agli stupri del già citato Arancia meccanica commentati da Rossini). Un mondo, quello di Kubrick, per esprimere il quale anche la tecnologia ha spesso conosciuto accelerazioni e forzature, nella leggendaria sperimentazione di nuove o peculiari soluzioni tecniche che potessero rendere possibili esperienze percettive non ordinarie (come per la famosa sequenza ‘oltre l’infinito’ di 2001), riprese a lume di candela (le lenti Zeiss per il Settecento di Barry Lyndon, id., 1975), inseguimenti ‘metafisici’ in labirinti innevati (il fondamentale ricorso alla neonata steadicam in Shining) e così via. Ed è anche questo utilizzo estremamente individualizzato degli strumenti tecnologici, chiamati a visualizzare e definire un immaginario riconoscibile e sovradeterminato, ad affermare l’authorship di Kubrick.
Torniamo dunque alla questione iniziale, quella di Kubrick autore, addirittura archetipico, come afferma la citazione proposta nell’incipit di questo capitolo. In effetti, non c’è saggio, oggi, sulla questione dell’autore o dell’authorship nel cinema, che non annoveri tra i registi citati il nome di Kubrick135. E vale anche la pena di ricordare come il grande critico e teorico Fredric Jameson usi il titolo Firme del visibile (Signatures of the Visible) per un suo influente saggio sullo statuto e sull’estetica del cinema contemporaneo, analizzato attraverso autori come Hitchcock, Antonioni e, appunto, Kubrick136.
Autore, nome, firma, Kubrick, tuttavia, «è stato in molti modi una figura del paradosso e della contraddizione», come sottolinea James Naremore in una delle più interessanti monografie sul regista137. Mito e persino divo (immortalato da copertine di riviste e rotocalchi) da un lato, genio solitario e inaccessibile dall’altro; regista profondamente americano, ma autoesiliato in Europa, e in particolare in Inghilterra; lontano fisicamente dall’industria hollywoodiana, ma abile business man, in grado di lavorare con le più importanti Majors ecc. Questi alcuni aspetti del paradosso e della contraddizione rilevati dallo studioso americano. Ma forse l’aspetto più eclatante della dimensione paradossale che caratterizza Kubrick riguarda proprio la questione dell’autorialità. Come sottolinea Naremore, infatti: «anche se fu indiscutibilmente un autore cinematografico [...] Kubrick non ha mai beneficiato del supporto dell’autorialità»138. In effetti, le teorie autorialiste ‘classiche’, dalla politique des auteurs della Nouvelle Vague ai suoi sviluppi americani con l’Author Theory di Andrew Sarris (cfr. capitolo I) non hanno mai supportato Kubrick, per riprendere le parole di Naremore: né i «Cahiers du Cinéma» di Godard & Co, né Sarris compresero mai Kubrick nel pantheon degli autori (e Naremore ricorda come in Francia fosse piuttosto la rivista «Positif», storicamente legata al surrealismo e all’anarchismo, a celebrare Kubrick). Ancora paradossalmente, scaricato dagli autorialisti storici, Kubrick non venne neppure recuperato dal fronte avverso. Pauline Kael, nota per le sue posizioni antiautorialiste, per esempio, non solo non sostenne mai il cinema di Kubrick, ma anzi lo attaccò sistematicamente, come molta critica ‘istituzionale’ americana. Ma ciò, come sappiamo, non ha impedito la progressiva affermazione del nome di Kubrick e il progressivo definirsi di un sistema o di un metodo d’autore, in grado di controllare tutti gli aspetti della produzione (e della comunicazione) di un’opera quanto poche altre, oggi, definibile in termini di autorialità.
L’emergere progressivo di questa dimensione autoriale si determina anche grazie allo stretto e peculiare legame che la carriera di Kubrick ha via via intrattenuto con l’evoluzione dell’industria cinematografica americana, con le trasformazioni seguite alla crisi della Hollywood classica, lungo il processo che condurrà al contesto nel quale si svilupperà il cinema della Nuova Hollywood. Il percorso di Kubrick, del resto, ha in qualche modo persino anticipato il fenomeno della Nuova Hollywood. Come nota Naremore: «La sua influenza nei primi anni Settanta dipende anche dalla New Hollywood, un fenomeno che egli anticipò leggermente, determinato dalla relativa indipendenza dell’esercizio statunitense, dall’affievolirsi dei codici di censura del periodo classico e dalla nascita della ‘cultura giovanile’. Autori come Spielberg, Robert Altman, Martin Scorsese, Francis Coppola e George Lucas salirono alla ribalta in questo decennio e, nei tardi anni Settanta, Spielberg e Lucas producevano blockbuster hollywoodiani con le medesime facilitazioni che Kubrick aveva avuto in Inghilterra»139.
Se la fase maggiore, e più nota, del percorso di Kubrick inizia proprio dal suo trasferimento in Inghilterra e dal conseguimento di determinate condizioni contrattuali, è tuttavia interessante soffermarci qui sulla prima fase della carriera di Kubrick. È proprio all’inizio degli anni Cinquanta, come vedremo, che, al termine della grande stagione degli studios, e in relazione alle modificazioni dello scenario complessivo dell’industria e dell’istituzione cinematografica americana, il regista inizia a fare film che in qualche modo trovano spazio nel contesto di una nuova diffusione del cinema d’autore. Come diversi storici dell’industria cinematografica americana del periodo hanno sottolineato140, lo sviluppo della carriera di Kubrick risulta quasi esemplificativo di una serie di circostanze e fattori che, tra altri, motivano e spiegano l’emergere del cinema d’autore americano, tra arte e industria. Del resto il binomio, o la dicotomia ‘arte/industria’ è un altro di quei paradossi che riguardano da vicino Kubrick. Se il suo cinema si è progressivamente guadagnato un’aura artistica, come nota Naremore, il fenomeno è inscindibilmente connesso al successo commerciale dei suoi film e, innanzitutto, al suo rapporto con l’industria americana, molto più stretto di quanto il volontario esilio in Inghilterra sembri suggerire. Il caso di Kubrick, da questo punto di vista, è assai diverso da quello di Orson Welles, cui pure spesso viene paragonato: Welles fu costretto a lavorare lontano da Hollywood, fuori da quelle logiche produttive hollywoodiane di cui invece Kubrick si avvantaggiò, realizzando film prima o poi con tutte le più importanti Majors (United Artists, Universal, Columbia, mgm, prima di assestarsi con la Warner, a partire da Arancia meccanica).
Ma torniamo all’inizio. La carriera cinematografica di Kubrick ha avvio ...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. I. La New Hollywood Taxi Driver (1976)
  3. II. La generazione degli indipendenti Le iene (1992)
  4. III Sguardi sull’America dopo l’11 settembreLa 25a ora (2002)
  5. IV. Il sistema dei generi: la commediaHarry ti presento Sally (1989)
  6. V. Il sistema dei generi: il neo-noir Blood Simple (1984)
  7. VI. L’autore: il caso Kubrick Eyes Wide Shut (1999)
  8. VII. Il cinema della convergenzaMatrix (1999)
  9. VIII. Il cinema d’animazioneShrek (2001)
  10. Bibliografia essenziale