La verità sul processo Andreotti
eBook - ePub

La verità sul processo Andreotti

  1. 144 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La verità sul processo Andreotti

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Giulio Andreotti è stato assolto dall'accusa di associazione con Cosa nostra? Molti ancora oggi lo credono. Questo libro spiega come sono davvero andate le cose.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a La verità sul processo Andreotti di Gian Carlo Caselli, Guido Lo Forte in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Economia e Politica economica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788858131749
Argomento
Economia

1.
L’origine delle indagini

Cominciamo dai fatti. Il 4 marzo 1993 il senatore Giulio Andreotti viene iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Palermo. Il 27 marzo 1993 viene formulata la richiesta di autorizzazione a procedere al Senato. Tutto ciò avviene – nel rigoroso rispetto delle regole stabilite – solo nel momento in cui può dirsi delineato un quadro di elementi sufficienti ad avanzare delle accuse.
Il percorso che avrebbe portato a tale risultato era iniziato un anno prima, subito dopo l’omicidio dell’onorevole Salvo Lima, il 12 marzo 1992. Nell’ambito del relativo procedimento, Paolo Borsellino – allora procuratore aggiunto a Palermo – decide di interrogare il “pentito” Tommaso Buscetta. A tal fine, nel marzo del 1992, inoltra ai competenti magistrati statunitensi una rogatoria internazionale.
Perché Borsellino riteneva importante ascoltare Buscetta? “Arruolato” nel 1948 nella famiglia mafiosa di Porta Nuova, Buscetta aveva conosciuto personalmente i più importanti capi di Cosa nostra (Luciano Leggio, Gaetano Badalamenti, Salvatore Greco, Gerlando Alberti, Pippo Calò). Noto come “boss dei due mondi” per la sua attività di trafficante internazionale di droga, era stato arrestato in Brasile nel 1983, ed estradato in Italia nel 1984. Qui aveva deciso di collaborare con Giovanni Falcone, ed era divenuto l’architrave del “maxi­processo” del pool antimafia.
L’esigenza avvertita da Paolo Borsellino di sentire Buscetta per far luce sull’assassinio mafioso di Lima nasceva da precedenti dichiarazioni dello stesso Buscetta ai giudici dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo (in particolare a Giovanni Falcone). Dichiarazioni che apparivano, fin da allora, di particolare rilievo per la ricostruzione del quadro complessivo dei rapporti tra mafia e politica. A un’attenta lettura, essi contenevano già in nuce – fin dal 1984 – varie indicazioni poi sviluppate e riscontrate dalle successive indagini.
Che cosa aveva detto Buscetta nei precedenti interrogatori? Ecco la sequenza.
– Il 10 novembre 1984 (a Giovanni Falcone) riferisce che i cugini Antonino e Ignazio Salvo, potenti sostenitori dell’onorevole Salvo Lima, “appartenevano” a Cosa nostra.
– Il 4 dicembre 1984 (a Nino Caponnetto e Giovanni Falcone) rende dichiarazioni concernenti i rapporti intercorsi nel 1970 tra Cosa nostra, il principe Junio Valerio Borghese ed esponenti della massoneria per la preparazione di un colpo di Stato.
– Nel contempo spiega di non poter riferire “fatti molto gravi” riguardanti questioni politiche: sia per il timore che le sue dichiarazioni potessero “compromettere una lotta alla mafia, che, sebbene sempre affermata dallo Stato, era cominciata seriamente solo da poco”; sia perché si poteva addirittura provocare un drammatico “turbamento degli equilibri politici”, tale da determinare una “gravissima battuta di arresto” nell’attività degli inquirenti.
– Il 1° febbraio 1988 (ancora a Falcone, nel corso di un interrogatorio negli Usa sui rapporti tra i cugini Salvo e l’onorevole Lima) Buscetta sostiene che persistendo – a suo giudizio – “la mancanza di una seria volontà dello Stato di combattere il fenomeno mafioso [...] sarebbe veramente da sconsiderati parlare di questo, che è il nodo cruciale del problema mafioso, quando ancora gli stessi personaggi di cui dovrei parlare non hanno lasciato la vita politica attiva”. E conclude dichiarando che non intendeva “né confermare né escludere l’incontro con l’on. Lima in Roma né se conosc[esse] quest’ultimo”18.
– Il 3 ottobre 1991 – ancora una volta sollecitato a riferire quanto a sua conoscenza sui rapporti tra mafia e politica, e in particolare sul ruolo di Lima – Buscetta ribadisce quel che aveva già detto a Falcone il 1° feb­braio 1988: “non intend[eva] parlare in ordine a tali fatti”, poiché – a suo giudizio – non esisteva ancora “una reale e seria volontà politica di snidare il marciume mafioso: si fanno grandi celebrazioni dopo i funerali di uomini di Stato, ma poi lo Stato non dimostra di volere debellare definitivamente e seriamente l’organizzazione mafiosa”.
Peraltro, la rogatoria inoltrata da Borsellino nel marzo 1992 non aveva potuto avere esecuzione. Buscetta, infatti, aveva fatto comunicare agli inquirenti la sua intenzione di continuare a non rendere dichiarazioni su fatti inerenti ai rapporti tra mafia e politica.
Nel frattempo, però, sempre nell’ambito delle indagini sull’omicidio Lima, Leonardo Messina (un mafioso che aveva iniziato a collaborare con la Procura di Caltanissetta) in un interrogatorio del 12 agosto 1992 reso alla Procura di Palermo dichiarava di aver saputo – tramite altri cosiddetti “uomini d’onore”, tra cui l’avvocato Raffaele Bevilacqua (esponente democristiano della corrente andreottiana) – che Lima, pur non essendo un “uomo d’onore”, “era stato molto vicino ad uomini di Cosa nostra per i quali aveva costituito il tramite presso l’on. Andreotti per le necessità della mafia siciliana”.
Di lì a poco, poi, sullo stesso tema rendevano dichiarazioni i collaboratori di giustizia Gaspare Mutolo (28 agosto e 1° settembre 1992) e Giuseppe Marchese (7 settembre 1992). In estrema sintesi, il primo – premesse alcune dichiarazioni sui rapporti tra Cosa nostra e Lima – riferiva che a costui (parlamentare nazionale e poi europeo) ci si rivolgeva per “tutte le esigenze che comportavano decisioni da adottare a Roma”. I “referenti romani” di Lima erano “persone della sua stessa corrente politica”. Pur facendo comprendere di conoscerle, egli diceva di non poter essere – al momento – più preciso, e si riservava di parlarne in seguito.
Nell’interrogatorio del 7 settembre 1992, Giuseppe Marchese – pur affermando di non conoscere l’identità dei referenti politici romani dell’onorevole Lima – rendeva dichiarazioni coerenti con quelle già rese da Messina e da Mutolo. In particolare sul tema dell’individuazione di Lima come tramite per il “livello” politico romano e sul significato dell’omicidio Lima nella più recente strategia di Cosa nostra19.
Intanto Buscetta, attraverso le competenti autorità statunitensi, aveva fatto sapere che dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio era disposto a rendere nuove dichiarazioni ai magistrati di Palermo. Era perciò possibile dare attuazione alla rogatoria presentata a suo tempo da Paolo Borsellino.
L’11 settembre 1992, a Washington, Buscetta veniva interrogato.
Innanzitutto egli spiegava perché – modificando la sua precedente decisione – aveva scelto di affrontare il nodo dei rapporti mafia-politica: “In questo momento, ritengo un mio dovere morale dare un contributo alle indagini su questo delitto [l’omicidio Lima], poiché ritengo che ciò sarebbe stato considerato giusto dal dott. Giovanni Falcone, cui, anche in questo momento, vanno i miei più sentiti sentimenti di stima ed ammirazione per ciò che ha fatto nell’interesse della Giustizia. I tragici omicidi del dott. Falcone e del dott. Borsellino mi hanno colpito profondamente e, dopo dolorosa riflessione, mi hanno indotto a rivedere il mio recente atteggiamento di non disponibilità a rispondere su questi argomenti”.
Rendeva quindi dichiarazioni sui rapporti tra Cosa nostra e Lima. Affermava, in sintesi, che Lima “era effettivamente l’uomo politico a cui principalmente Cosa nostra si rivolgeva per le questioni di interesse dell’organizzazione, che dovevano trovare una soluzione a Roma”. Aggiungeva di essere a conoscenza del fatto che “esponenti di primo piano di Cosa nostra [avevano] avuto contatti politici a Roma, utilizzando come ponte i cugini Salvo, anche senza l’intervento di Lima”20. L’interrogatorio non poteva essere ulteriormente approfondito perché – come risulta dal verbale – il competente Dipartimento di Giustizia (rappresentato nella circostanza dall’Attorney Laurie Barsella) comunicava che “il tempo concesso per l’atto istruttorio [era] limitato fino alle ore 15 (a partire dalle ore 11) e ciò per esigenze di sicurezza concernenti il teste e che l’atto non [poteva] essere proseguito in data immediatamente successiva”.
Grazie a un temporaneo rientro in Italia, Buscetta poteva essere nuovamente interrogato da vari magistrati della Procura di Palermo21.
Nello stesso periodo venivano acquisite anche nuove e più specifiche dichiarazioni di Gaspare Mutolo. Il 4 marzo 1993, egli per la prima volta faceva diretto riferimento al senatore Andreotti, affermando che questi era “esattamente la persona alla quale l’on. Salvo Lima si rivolgeva costantemente per le decisioni da adottare a Roma, che coinvolgevano interessi di Cosa nostra”.
Questo specifico riferimento al senatore Andreotti (nell’ambito dell’esistenza di sue relazioni con Cosa nostra) si aggiungeva a quello di Leonardo Messina, già citato. Si realizzava così quella “convergenza del molteplice” (elementi probatori provenienti da fonti diverse che si incrociano con reciproco supporto e rafforzamento) che – secondo le regole stabilite dalla Cassazione per la valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti – conferisce a tali dichiarazioni i caratteri di completezza idonei a farle ritenere una “notizia di reato”.
Pertanto, effettuata una valutazione complessiva degli elementi fino ad allora raccolti, la Procura di Palermo procedeva doverosamente agli atti già ricordati in apertura di capitolo: iscrizione di Andreotti nel registro degli indagati (lo stesso giorno delle ultime dichiarazioni di Mutolo) e richiesta al Senato di autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
Quali erano i capi di imputazione? I delitti ipotizzati nell’iscrizione e nella richiesta erano quelli di concorso in associazione per delinquere (articoli 110 e 416 del codice penale) per il periodo fino al 28 settembre 1982 e di concorso in associazione mafiosa (articoli 110 e 416 bis del codice penale) per il periodo successivo al 29 settembre 1982. La distinzione in due periodi discendeva dal fatto che soltanto nel 1982 la mafia (prima non esisteva...) diventa un comportamento vietato e punito. Soltanto nel 1982 – con la legge “Rognoni-La Torre” – viene inserito nel nostro codice penale il delitto di associazione mafiosa (art. 416 bis). E soltanto dopo che la mafia aveva ucciso il prefetto Dalla Chiesa. L’esempio più clamoroso di una cupa caratteristica dell’antimafia: quella di dover spesso fare i conti con una legislazione “del giorno dopo”.
Nel contempo, e precisamente il 15 marzo 1993, veniva avanzata richiesta di integrazione delle rogatorie internazionali, già pendenti, per l’audizione di Tommaso Buscetta, nonché di un altro pentito “storico”, Francesco Marino Mannoia (il “chimico di Cosa nostra”, specializzato nella raffinazione dell’eroina). Due collaboratori la cui attendibilità e importanza è “riscontrata” proprio da Cosa nostra. Alla sua perversa maniera, s’intende. Vale a dire con feroci e spietate rappresaglie che dimostrano come le loro dichiarazioni fossero temute alla stregua di siluri sotto la linea di galleggiamento della corazzata mafiosa. Marino Mannoia (il primo pentito a indicare in Stefano Bontate, cui era stato vicino negli anni Settanta, un trafficante di droga di caratura internazionale) ha pagato la scelta di collaborare con l’assassinio, nel 1989, di quattro persone della sua famiglia. Buscetta fu pure oggetto di una cruenta vendetta trasversale dei Corleonesi: tra il 1982 e il 1984 i due figli di Buscetta scomparvero per non essere mai più ritrovati e inoltre gli vennero uccisi un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti.
I magistrati della Procura di Palermo si recavano pertanto negli Usa. Negli interrogatori che si svolsero, rispettivamente, il 3 e il 6 aprile 1993, Mannoia e Buscetta esponevano compiutamente quanto a loro conoscenza sull’omicidio Lima. In ordine alle motivazioni del delitto, riferivano fatti specifici riguardanti i rapporti tra Cosa nostra ed esponenti del mondo politico siciliano e nazionale, nonché (in questo ambito) vicende di rilevanza penale concernenti direttamente Giulio Andreotti.
La consistenza delle ipotesi di accusa veniva valutata positivamente dal Senato della Repubblica, ragion per cui il 13 maggio 1993 veniva concessa l’autorizzazione a procedere, escludendo ogni ipotesi di fumus persecutionis. Con decreto del 2 marzo 1995, il giudice per le indagini preliminari di Pa...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. Perché questo libro
  2. 1. L’origine delle indagini
  3. 2. Le sentenze
  4. 3. Due boss, due calunnie
  5. 4. La criminalità dei potenti, ovvero il poli-partito della mafia
  6. 5. Il maxiprocesso e la guerra al pool antimafia
  7. 6. La storia si ripete
  8. Conclusioni
  9. Gli autori