La ricerca del diritto
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La ricerca del diritto

  1. 216 pagine
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La ricerca del diritto

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Incontriamo il diritto tutti i giorni, ma a volte avvertiamo che la sua natura ci sfugge. Il diritto si esaurisce nella legge? Come accade che comportamenti uniformi diventino regole? Come è fatto il diritto e come si comunica? Quali rapporti corrono tra il diritto e la morale? Il diritto è lontano dall'arte o mostra qualche vicinanza? Che rapporti ha con la scienza? È esso stesso una scienza, decide sulla scienza o è determinato da quest'ultima? Queste domande originano da una domanda più grande, che coinvolge il diritto nella giustizia ed è formulata nella speranza che il diritto, messo continuamente in discussione, possa condurre a quella che speriamo essere la giustizia. Molti giuristi continuano a confidare nelle tradizionali promesse del diritto formale, altri difendono un'idea sostanziale del diritto, attenta al caso concreto e incentrata sulla valorizzazione delle prassi e delle sentenze. Se il primo approccio mortifica il problema della complessità del fenomeno giuridico, il secondo rischia di sottovalutare il ruolo fondamentale della legislazione. Ecco l'utilità di una riflessione ulteriore che introduca alle domande sul diritto.

Questo libro è una tappa di una più vasta ricerca condotta nell'ambito del Comitato Scientifico della Fondazione "Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare".

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788858145920
Argomento
Diritto

I.
Diritto e storia.
Costumi e legislazione

Descrive la struttura storica del diritto: il diritto spontaneo, in cui si inserisce il diritto legislativo.
Il diritto è legislazione; ma è soltanto legislazione? La domanda sorge sulla constatazione che la legge positiva è un modo di produzione del diritto, importante ma di certo non esclusivo poiché nella sua evoluzione storica il diritto fu fatto soprattutto dagli usi, dalle opinioni dei giuristi e dalle sentenze dei giudici. La legalità, ossia il rispetto dell’autorità del legislatore e il riconoscimento del primato della legge, è il contrassegno di un’epoca: la modernità giuridica. Questa novità, il primato della legge, condiziona il lavoro del giurista e in particolare del giudice chiamato ad applicare rigorosamente il comando legislativo. Nella postmodernità il rapporto tra giuristi (soprattutto giudici) e legislatori si fa particolarmente problematico: per l’insufficienza della legge a governare il mutamento e per la complessità sociale su cui quel governo dovrebbe affermarsi. Il diritto legale offre una soluzione necessariamente rigida, legittimata dalla promessa di certezza del diritto e di prevedibilità della decisione. Senonché, rapportata al caso da decidere, spesso la legge cade in discussione rispetto all’ideale della giustizia, che potrebbe apparire non rispettato. Il conflitto è antico, benché si presenti oggi in modo drammatico. Ma il dissidio tra Creonte che reclama l’applicazione severa della legge cittadina in contrasto con gli antichi costumi e Antigone che disobbedisce a quella legge in nome del diritto consuetudinario è davvero irrisolvibile?

1. Oltre la legalità

Oltre la legalità, si premura di precisare l’autore, è un titolo che non va inteso in nessun modo che apra spazi alla illegalità. Invece è segnato un oltrepassamento ed è indicata una direzione: ‘oltre’ va inteso nel senso di ‘al di là di un limite ideale’. Il titolo ci invita a percorrere un cammino per superare una mentalità, uno sfondo di credenze che da molto tempo condiziona il comune sentire: dei giuristi, ma anche di chiunque si ponga domande sul diritto e sulla legislazione3. La riflessione si confronta con un limite ricevuto, che è condizione per un’affermazione di potenza. ‘Legalità’ è un termine in questo senso ambivalente: segna il limite a cui è assoggettato il destinatario del comando legislativo che chiede rispetto, ma promette sconfinatezza alla volontà che pone la legge. Stabilisce così il potere sovrano, tendenzialmente sconfinato, di tracciare confini.
Grossi combatte l’idea che il diritto sia soprattutto diritto legislativo, quel diritto che nel progetto della modernità si trova racchiuso in un prodotto imponente: il codice, e soprattutto il codice civile. In quel contesto storico la codificazione del diritto rappresenta il supremo risultato giuridico dell’agire politico; il codice rappresenta, a sua volta, il vertice di quella legge positiva (ossia posta per un atto di volontà) che – secondo lo schema illuministico della separazione dei poteri – al giudice spetta di applicare.
Nel solco di opere precedenti, nel libro si ripercorre la vicenda storica della modernità: monopolizzazione della produzione giuridica da parte del decisore politico; mortificazione degli apporti tradizionali alla giuridicità. Lo stratificarsi delle consuetudini, l’evoluzione della scienza giuridica e della giurisprudenza pratica, il contributo di avvocati e notai alla elaborazione di modelli negoziali, spesso suscitati dall’inventiva degli imprenditori; tutta questa ricca consistenza della giuridicità subisce un processo di negazione e di rimozione a vantaggio della legge artificiale. Un processo epocale di cui possiamo ancora oggi misurare l’efficacia, se badiamo all’errore collettivo che il diritto si origini esclusivamente dalla legislazione o che sia valido diritto solo quello stabilito nella legge positiva.
In breve, Grossi vuole mettere in guardia il lettore rispetto alla ingenua credenza, diffusa tra accademici pratici e generalità delle persone, che il diritto sia un affare dello Stato piuttosto che, soprattutto, espressione viva della società. È infatti convinto che il ruolo culturalmente più rilevante dello storico del diritto sia di «acuire la coscienza critica del cultore di un diritto vigente, dàndogli il senso della linea storica in cui il punto preciso del diritto vigente si còlloca, impedèndogli di isolarlo assolutizzarlo mitizzarlo»4.
La critica prende di mira il positivismo giuridico in talune manifestazioni avanzate ed estreme: la pretesa della calcolabilità del diritto e dunque l’idea di un diritto costruito esclusivamente per fattispecie legali piuttosto che per regole indeterminate; il sospetto verso la legislazione per clausole generali o principi; l’idea di un giudice semplice applicatore della legge positiva, piuttosto che adeguatore della regola al fatto; una concezione conseguente del lavoro del giurista, che avrebbe per materiale esclusivo ciò che è posto come legge dal decisore politico, e che dovrebbe contenersi in una dimensione esclusivamente tecnica, resistendo a più ampie tentazioni culturali5.

2. Un diritto senza storia

La sottovalutazione della effettiva natura del diritto ha grandi ripercussioni teoriche, riassumibili in una descrizione insufficiente e difettosa della realtà giuridica, semplificata e falsificata. E determina gravi conseguenze pratiche, sintetizzabili nell’addomesticamento della giurisprudenza e nel richiamo all’ordine degli studiosi secondo il motto dell’esegeta Bugnet: «Je ne connais pas le droit civil, je n’enseigne que le code Napoleon»6. Come se il diritto civile coincidesse con il codice civile, e per conoscere quel diritto bastasse aprire il codice.
La radice di questo modo di pensare è nell’Illuminismo e nelle pretese della ragione universale. Da tempo si accresce il numero dei critici del progetto della modernità, impegnati nella denuncia della prospettiva riduzionistica che sta alla base di quel progetto: semplificare la complessità del reale per sottoporre il mondo degli uomini, ridotto a oggetto maneggevole, a una razionalità superiore che assicuri dignità benessere e qualità della vita al maggior numero possibile di persone, ma secondo la visione e il disegno di pochi illuminati (poiché le masse superstiziose e ignoranti sarebbero incapaci di gestire una tale progettualità).
Il diritto, che insieme a lingua, morale ed economia è condizione primaria di qualsiasi società, costituì un pilastro fondamentale di quel progetto. Un progetto filosofico e politico che fu per intero un disegno di legislazione, ossia di ordinamento del mondo secondo l’idea, articolata compiutamente da Hobbes, dello Stato: dell’unione di uomini governata dal sovrano, unico detentore del potere, unico produttore della legge e dunque – si sostenne con un colossale azzardo concettuale – del diritto.
L’autore del Leviatano muove da un esperimento mentale che, azzerate le versioni storiche dell’organizzazione sociale e rimosse le precedenti teorizzazioni sulla politica, ipotizza uomini nello stato di natura che decidono di stipulare un doppio patto: di unione e poi di sottomissione di tutti al sovrano, un dio mortale che governerà le loro vite assumendo il monopolio della violenza e preservandoli dalla reciproca aggressività. Un ordinamento fondato sulla paura e assicurato dall’uso illimitato della violenza sovrana7.
Scrive Schiavone: «nel cammino dell’Occidente, quanto più il diritto ha sviluppato la sua funzione di macchina disciplinatrice e calcolante, capace di una completa formalizzazione della vita in tutto il suo dispiegarsi [...], tanto più esso ha teso ad allontanare da sé la dimensione della storia, della metamorfosi, del cambiamento»8. Nella modernità questo movimento giunge al culmine con le teorie del contratto sociale, che a Betti parvero frutto di una «mentalità astratta e antistorica»9. In questo mondo nuovo e depurato dalla vicenda storica (ama dire Grossi, dal fango della fattualità) il diritto può presentarsi come il risultato di un atto creativo. In questa azione la regola non sorge da un materiale preesistente, come nell’opera di un demiurgo: una divinità greca o il Signore degli Ebrei, che modellano terra di campo per fare l’uomo; sorge invece dal nulla come è capitato all’universo intero con il Dio cristiano. Un diritto progettato in laboratorio, tendenzialmente immune dalle impurità della realtà che pretende di autoregolarsi e che invece deve essere soggiogata. In questa prospettiva artificiale «Il diritto si identifica in un creativo atto di volontà, in un comando che deve essere obbedito. In questa visione rigorosamente monistica non può che imporsi il principio di legalità, inteso nel senso più costrittivo»10.
Una simile concezione sottovaluta non soltanto le prassi operative, ma anche il lavoro della giurisprudenza, chiamata da allora in avanti ad obbedire alla legge sussumendo i fatti della vita negli schemi generali ed astratti predisposti nei codici. Ma è pr...

Indice dei contenuti

  1. Questo libro
  2. I. Diritto e storia. Costumi e legislazione
  3. II. Diritto e interpretazione. Sulla fedeltà alla legge
  4. III. Diritto e linguaggio. I concetti indeterminati
  5. IV. Diritto e morale. Le clausole generali
  6. V. Diritto e arte. Fattispecie e «cliché»
  7. VI. Diritto e scienza. Progettare l’umano
  8. VII. Ai confini del diritto. Fatto e contratto
  9. VIII. Sintesi. Davanti alla Legge
  10. Poscritto