Siena brucia
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Siena brucia

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Siena brucia

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A Siena tutto si tiene. Lo strapotere e lo strapaese. La democrazia e l'oligarchia. Lo squilibrio e l'equilibrio. Questa non è solo una storia toscana. Siena è il più grande romanzo politico italiano.

Accadde così, per un autarchico desiderio di autoconservazione, per errori di una dirigenza politica, economica, finanziaria che si credeva invincibile, che Siena bruciò un patrimonio. La crisi della città ha coinciso con la crisi del Monte dei Paschi. E all'improvviso il sistema non ha retto più. Non ha retto il socialismo municipale. Non ha retto la via montepaschina al benessere. Siena è a misura di sogno. Per anni ci si è illusi di avere la banca migliore del mondo, la banca più sana del mondo, il partito più forte di tutti, la squadra di basket imbattibile. Era fuori scala la Mens Sana, il Siena Calcio. Tutto alimentato dai soldi della Banca. Una volta finiti i soldi, è finito il sogno. Aggiungete misteri irrisolti, come il rogo negli uffici dell'economato della Curia (chi è stato? non si sa), e avrete Siena. Una città in cui, come ha scritto Henry James, «ogni cosa ha oltrepassato il proprio meriggio».

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788858121092

I duellanti

Si sono utilizzati a vicenda. Si sono odiati. Uno ha perso e l’altro ha vinto. Hanno combattuto fino ad annientarsi. Sono i duellanti, si chiamano Franco Ceccuzzi e Alberto Monaci: l’uno ex sindaco di Siena e l’altro presidente del Consiglio regionale. Sono dello stesso partito, ma per puro caso; solo perché decisero così Walter Veltroni e i suoi, che s’inventarono il Pd, perché volevano unire due culture politiche e diventare qualcosa di più accogliente anche per chi non apparteneva a una certa tradizione. Fosse stato per loro stessi, Ceccuzzi e Monaci sarebbero rimasti volentieri sugli scudi delle rispettive tradizioni. La filiera corta a chilometri zero Pci-Pds-Ds e quella post-democristiana. Storia tragica, la loro. Nel combattersi hanno finito per esaurirsi, sfinirsi, consumarsi.
Il primo se n’è venuto via da Roma, dove era parlamentare, deputato nella legislatura 2006-2008 e poi confermato in quella successiva, per candidarsi sindaco a Siena. Non è durato neanche un anno. Il secondo, nonostante la vittoria contro l’allora primo cittadino, cede il passo all’età e ai malanni che lo affliggono. Ceccuzzi e Monaci si sono odiati come solo due capitribù possono fare, ma c’è stato un periodo in cui si sono aiutati. Ceccuzzi, per diventare sindaco nel 2011, ha dovuto contare anche sull’appoggio dei voti monaciani, c’era un patto di ferro fra i due. A un certo punto, però, l’equilibrio s’è rotto. Dalle alchimie, dai barocchismi senesi, si è passati alla prova di forza. E a Siena, di solito, si litiga per due cose: il Palio, quando non c’è in ballo una questione di potere reale ma simbolico, e le nomine della Fondazione o della Banca, quando, invece, è solo questione di potere vero e proprio. E anche in questo caso, l’idillio ceccuzzian-monaciano s’è spezzato per vicende di poltrone.
Era il 2012 e c’erano da fare le nomine per la Banca e il consiglio d’amministrazione. Ceccuzzi e Monaci avevano raggiunto un accordo su alcuni nomi, tra cui Alessandro Profumo e Fabrizio Viola per Mps e Alfredo Monaci, fratello di Alberto, per il cda. A un certo punto, dal tavolo, per mano ceccuzziana, sono spariti alcuni nomi, tra cui, naturalmente, quello di Monaci junior. Largo al rinnovamento totale, è il mantra, non servono nomi del vecchio corso. Inutili le mediazioni del presidente uscente di Mps, Giuseppe Mussari, inutili le grida monaciane. Solo che a ogni azione corrisponde una reazione, e Ceccuzzi mai avrebbe potuto prevedere come sarebbe andata a finire. Il putiferio è scoppiato subito, e si è riversato nel miglior terreno di gioco per una partita a scacchi: il Consiglio comunale. Entrambi i duellanti hanno tirato fuori i loro alfieri, mosso i loro pedoni. La gara, feroce, s’è giocata in Palazzo Pubblico, dove Ceccuzzi aveva la maggioranza e nel giro di poche settimane s’è scoperto in minoranza.
È l’aprile 2012, tempo di discussione sul bilancio consuntivo da approvare. Improvvisamente, 7 consiglieri del Pd più una indipendente di area riformista iniziano ad avere mal di pancia. È un dolore sordo e forte, che gli impedisce di adeguarsi alle direttive della maggioranza. Mah, questo bilancio, mica va così tanto bene. Mah, questi conti, poi, torneranno? Quei consiglieri, va da sé, fanno riferimento ai fratelli Monaci. Già, perché in un solo colpo Ceccuzzi e i suoi hanno fatto arrabbiare sia Alberto che Alfredo. Mai sottovalutare i democristiani. Mai sottovalutare chi, a un certo punto della storia, dice “non hanno capito in che nassa si sono cacciati”24, laddove la nassa è parola rara che denomina una trappola per i pesci che si mette nel fiume per catturarli.
È un venerdì, è il 27 aprile 2012. Sono le 17,51 quando la maggioranza di centrosinistra s’accartoccia sotto il fuoco nemico, ma soprattutto sotto quello amico. E uno s’aspetterebbe borbottii, brusii, persino qualche gridolino, di gioia, di tristezza, insomma una mezza smorfia; e invece no, c’è un silenzio che trapana le orecchie, sembra che non sia accaduto assolutamente nulla. La sala del Consiglio da piena che era di blogger, scrittori, dipendenti comunali, giornalisti, sindacalisti dell’università, rappresentanti degli studenti, tutti corsi per assistere al voto, si svuota in pochi secondi. Nulla si muove, neanche il sindaco, che chiude la seduta di Consiglio senza rilasciare commenti. Eppure il bilancio consuntivo del 2011 è stato appena respinto con 17 voti contrari e 15 a favore. Tra quei diciassette ci sono anche i 7 consiglieri dissidenti del Pd (6 ex Margherita vicini ai fratelli Monaci più uno di area Cgil) che sono diventati un problema serio per Ceccuzzi. Voti decisivi per farlo cadere. Qualche settimana prima, il 3 aprile, i dissidenti erano già quasi riusciti a mandare sotto il sindaco, salvato dall’opposizione. A questo giro, insieme al bilancio viene votato anche un ordine del giorno presentato dai frondisti che, nella sua ultima versione, chiedeva al sindaco di riproporre un nuovo “rendiconto di gestione 2011, accompagnato anche da un riequilibrio del bilancio di previsione 2012 contenente tutte quelle azioni che prevedano manovre strutturali, una reale e sostanziale riduzione delle spese e rinegoziazione dei debiti per investimenti”. Il documento presenta diverse osservazioni tecniche critiche verso il bilancio, ma è chiaro che il punto è tutto politico (ancorché sostenuto, nell’argomentazione, pure da una relazione della Corte dei conti, che individua nel rendiconto dell’anno precedente, il 2010, “criticità e/o irregolarità gravi”).
Siena, con questo voto in Consiglio comunale contro il suo sindaco, diventa improvvisamente un caso nazionale e non c’è peggior cosa per chi brama l’autarchia che ricevere la visita di forestieri dello stesso partito. Il Pd chiede la testa dei dissidenti: “Il voto contrario rappresenta un fatto inconcepibile e inaccettabile” (Comunicato stampa, 27 aprile 2012), dice l’allora coordinatore della segreteria Bersani, Maurizio Migliavacca. Il Pd di Siena agita anche lo spettro dell’espulsione: “La vergognosa iniziativa intrapresa oggi da alcuni consiglieri della maggioranza – dicono gli allora vertici del partito – si colloca, in maniera irreversibile, fuori dal mandato che hanno ricevuto dagli elettori e fuori dal mandato politico del Pd. Ad aggravare questo quadro è la certezza che l’iniziativa intrapresa oggi sia stata guidata unicamente da logiche familistiche e personali, direttamente connesse all’insoddisfazione sulle nomine che la Fondazione Mps ha fatto per il consiglio di amministrazione della Banca Mps. Un comportamento che va contro la città e il mandato elettorale e che dovrà essere sottoposto al giudizio degli organismi dirigenti e di disciplina del partito” (Comunicato stampa, 27 aprile 2012).
I ribelli, intanto, se la ridono. Il loro leader, il presidente del Consiglio regionale Alberto Monaci, pure. Il Pd vuole buttare fuori tutti, ma lui è sempre lì, con le trappole per i pesci in mano. “Consiglierei umiltà. Come diceva San Filippo Neri: ‘Signore, tienimi la mano sulla testa, perché esco cristiano e sono capace di rientrare turco’. Suggerirei quindi di abbandonare certe consolidate certezze. E comunque vedo che questi insistono: non hanno ancora capito in che nassa si sono cacciati”25. Un bel trappolone, e che trappolone. Pochi giorni dopo, accade l’irreparabile. Il 21 maggio Ceccuzzi si dimette.
Scena numero uno: Ceccuzzi, sindaco dimissionario, non alza gli occhi dal cellulare. Sembrano ore interminabili, e in effetti lo sono, il Consiglio comunale è una lentissima processione di chiacchiere. Accanto a lui c’è Alessandro Piccini, allora presidente dell’assemblea, uno dei dissidenti dell’ex Margherita che lo hanno costretto a lasciare. I due non si guardano, o meglio è Ceccuzzi che non si gira mai verso di lui, mentre Piccini accenna, indica, gli rivolge persino qualche parola. Scena numero due: Monaci senior, il leader della dissidenza, è a Firenze in Consiglio regionale, su una poltrona che qualcuno vorrebbe sfilargli da sotto il sedere. Ma, anziché darsi una calmata, manda una nota che fa infuriare Ceccuzzi e la maggioranza nella quale dice che il bilancio “manca di legittimità”.
I due si fronteggiano per tutta la giornata senza vedersi.Da Siena chiedono le dimissioni sue e dei consiglieri. Lui, il Fidel Bianco capace di tenere botta e comizi per ore partendo con l’aneddotica sulla Dc, dice di sentire puzza “di processo staliniano, tentativo di epurazione per ammazzare il confronto democratico”26. E così, dopo che il Pd regionale, schierato in assetto antisommossa, ha provato a sistemare la baruffa senese; che dirigenti nazionali del Pd si sono impegnati per trovare invano una mediazione; che quasi tutti i consiglieri comunali, dalle otto e mezzo di mattina alle otto e mezzo di sera – dieci ore dieci di dibattito pausa pranzo esclusa! – hanno sentito il dovere, improrogabile, inderogabile, imprescindibile, di intervenire; ecco, dopo tutto questo, alla fine Siena si ritrova con il sindaco dimissionario e il consuntivo 2011 bocciato. L’eterno ritorno dell’eguale è compiuto: 17 votano contro, 15 a favore, come la volta precedente.
Il discorso del sindaco è molto duro contro i consiglieri che hanno acceso la miccia di Siena: “Quello di oggi è un passo davvero difficile, ma inevitabile, provocato, in primis, dalla gravissima irresponsabilità di otto consiglieri di maggioranza che, dopo aver sottoscritto e votato il programma di mandato, lo hanno più volte tradito, voltando le spalle a chi ha creduto in quel progetto e in quel processo di rinnovamento, più volte invocato dalla città”. In queste settimane “è stato messo in atto un vile tentativo di ricatto e condizionamento nei confronti della mia persona e della nostra comunità. Un tentativo, mosso da pochi ai danni dell’interesse generale, volto ad arrestare quel processo di cambiamento che, con grande fatica, abbiamo intrapreso e realizzato nei fatti” e che “sta iniziando a dare i suoi primi frutti e che, ribadisco, non si fermerà”.
Ceccuzzi rivendica le scelte fatte nelle nomine del cda di Banca Mps, accusa i consiglieri di essere impaludati “nelle logiche da Prima Repubblica, dal sapore clientelare e familistico”27. Ce l’ha con tutti, Ceccuzzi, con l’ex sindaco Pierluigi Piccini “che manovra nell’ombra al sicuro di uno stipendio dorato” (è ancora dirigente al Monte Paschi Banque a Parigi all’epoca di quella seduta; poi sarà prepensionato dalla nuova dirigenza) e anche con il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi. “La volontà di rafforzare il Comune e la sua centralità è stata contrastata con forza, fin dai primi mesi del mandato, quando la nostra azione si è incentrata sul rilancio e la riconsegna ai senesi del Policlinico le Scotte”, ceduto dall’università e comprato dalla Regione per circa 110 milioni di euro per salvare l’Ateneo con parecchi problemi di bilancio. Il direttore generale del Policlinico dell’epoca, Paolo Morello, è molto vicino a Monaci, e Ceccuzzi, da tempo, chiede a Rossi la sua rimozione. Perché a Siena, l’amico del mio nemico è un mio nemico. Quindi tutto fa brodo. “Prima con l’opposizione all’apertura all’interno dell’Ospedale del nostro sportello comunale”, poi con il tentativo di rinnovare il Policlinico, “facendolo tornare ad essere ospedale di tutti e non più luogo sotto scacco di poteri forti. Da mesi abbiamo segnalato anche alla Regione Toscana questa grave situazione”. Questo lavoro di rilancio “non può e non deve fermarsi. Sono convinto che, anche in futuro, uno degli aspetti sui quali la città dovrà chiedere con decisione più garanzie è che le Scotte torni ad essere un ospedale pubblico, recuperandolo a quella privatizzazione di fatto a cui è stato sottoposto consegnandolo ai gruppi di potere che lo gestiscono. Per la prima volta dopo moltissimi anni la conferenza provinciale dei sindaci ha elaborato un documento che segnala con puntualità tutte le storture e le inefficienze del Policlinico. Ogni minuto perduto senza intervenire sarà un danno alla comunità senese di cui anche la Regione dovrà rispondere”.
La legge dà tempo venti giorni al sindaco per ritirare le sue dimissioni, pena l’arrivo del commissario prefettizio, ma lui, Ceccuzzi, le considera “irrevocabili”. “Siena conoscerà le facce di questi politicanti, traditori e voltagabbana”. Parole non consuete da rivolgere a dei compagni di partito. Rileggiamole: politicanti, traditori, voltagabbana, un trittico niente male, che metterebbe ko qualunque dissidente, impiccandolo alle forche caudine della pubblica opinione. Loro invece, i consiglieri, esultano: “Il muro di Be...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Ma che cos’è la senesità?
  3. Il Palio
  4. L’innocenza perduta
  5. “Siena decadence”
  6. I duellanti
  7. L’incendio in Curia
  8. Il crac dell’università
  9. L’estate che si portò via basket e calcio
  10. Mussari chi? La caduta del re
  11. Le notizie a Siena
  12. Fine (?)
  13. Ringraziamenti