1. Il clima culturale
e religioso
Una violenta tempesta religiosa investì l’Europa all’inizio del Cinquecento, originata da cause molteplici e destinata nell’arco di pochi anni a dividere la christianitas europea tra cattolici e protestanti, e questi ultimi tra le varie Chiese e confessioni cui non avrebbero tardato a dar vita, talora in aspro conflitto tra loro.
Da lungo tempo la crisi profonda dell’istituzione ecclesiastica, al vertice come alla base della sua gerarchia, l’ignoranza e la corruzione del clero, l’indifferenza di molti vescovi per i loro compiti pastorali, le ambizioni terrene degli «scelerati preti», contro cui anche Francesco Guicciardini aveva scagliato i suoi strali, erano state oggetto di indignate denunce, invettive, profezie, nelle quali si esprimevano istanze religiose tanto più vive e inquiete quanto più prive di guida, disorientate dall’intrecciarsi di messaggi conflittuali, non più disposte ad affidare la speranza di eterna salvezza a pratiche devozionali ripetitive e superstiziose, fatte di voti e di pellegrinaggi, di culto delle reliquie e di indulgenze a buon mercato, di acqua benedetta e preghiere non intese.
Anche per Martin Lutero la violenta polemica contro l’anticristo romano che annunciava l’imminente fine dei tempi non fu il punto di partenza, ma l’approdo ultimo di una drammatica esperienza religiosa in cui si era manifestato il bisogno di una fede nuova, di una risposta più convincente, e basata sulla sola Scrittura, al problema di come l’uomo potesse rendersi giusto agli occhi di Dio senza affidarsi solo alle proprie opere, sempre e comunque contaminate dal peccato.
Di qui la dottrina della giustificazione per sola fede, dalla quale sarebbero scaturite dirompenti conseguenze, tra cui il principio del sacerdozio universale dei credenti e della Chiesa come comunità dei cristiani e non come struttura gerarchica, la negazione del purgatorio, del culto dei santi e della venerazione delle immagini sacre, che avrebbero scardinato dalle fondamenta il cattolicesimo romano, delegittimato nelle basi stesse della sua autorità dal rifiuto di riconoscere il valore normativo della tradizione apostolica.
Di qui il ritorno alla Bibbia, resa sempre più accessibile dalle traduzioni in volgare, l’affollarsi intorno alle omelie dei più celebri predicatori, la diffusione, anche in Italia, di numerosi libri e libretti di ispirazione riformata, che passavano di mano in mano e venivano talora letti ad alta voce nell’ambito di piccoli gruppi eterodossi, le discussioni sulle più ardue questioni teologiche che coinvolgevano non solo i dotti ma anche gente comune, maestri di scuola, tessitori, falegnami, artigiani, addirittura donne che discutevano di libero arbitrio e purgatorio intorno ai lavatoi dove si recavano ad attingere l’acqua.
Fu questo lo sfondo della lunga vita di Michelangelo Buonarroti, appassionato lettore della Bibbia, come riferisce Giorgio Vasari, tra la Firenze di Girolamo Savonarola, di cui continuò a professarsi ammiratore anche dopo il rogo del 1498, e la Roma dell’incipiente Controriforma, dove morì novantenne nel 1564. Era nato nel 1475, e fu quindi partecipe testimone delle continue convulsioni politiche della sua Firenze, fino al tracollo del regime repubblicano tra l’età di Lorenzo il Magnifico e quella del duca Cosimo de’ Medici, ormai in procinto di diventare granduca di Toscana, così come fu partecipe testimone della crisi della Chiesa. Aveva già 36 anni ed era impegnato ad affrescare la volta della Sistina quando Erasmo pubblicò l’Elogio della follia, ne aveva 42 quando Lutero affisse le sue 95 tesi alla porta della chiesa di Wittenberg, alla vigilia di Ognissanti, e ne compì 60 l’anno dopo la prima edizione della Institutio christianae religionis di Giovanni Calvino. Vide ben 13 pontefici assisi sul trono di san Pietro, da Sisto IV a Pio IV, passando per Alessandro VI Borgia, Giulio II Della Rovere, i papati medicei, fino a quelli di Paolo III Farnese e Paolo IV Carafa. Fu testimone del concilio di Trento in tutto l’arco del suo svolgimento, tra il 1545 e il 1563, e morì l’anno dopo la sua conclusione, appena in tempo per non vedere il Giudizio sistino sfigurato dalle censure morali della compunzione teatina, e per non dover leggere le critiche tanto severe quanto ottuse formulate da Giovanni Andrea Gilio nel Dialogo nel quale si ragiona degli errori e degli abusi de’ pittori circa l’istorie, con la sua accusa di essersi compiaciuto «più del capriccio dell’arte che del vero».
D’altra parte basta leggere i suoi sofferti sonetti, o sollevare lo sguardo verso quel grandioso Giudizio o la solenne volta della Sistina, osservare gli ultimi affreschi nelle cappelle papali, le dolenti Pietà e Crocifissioni della vecchiaia, per percepire l’intensa sensibilità religiosa del...