1261. Genova nel mondo: il trattato di Ninfeo
di Michel Balard
«Nell’anno 1261 i Genovesi, memori delle iniquità ad essi fatte dai Veneti e dai loro complici nelle parti d’Oltremare, volgevano l’animo ad offenderli in tutti i modi che potessero. E così, per deliberato consiglio, fu ordinata una legazione solenne che andasse al serenissimo messere Paleologo imperatore dei Greci, il quale aveva guerra con i Veneti, per fare con lui confederazione contro essi Veneti». In poche parole, l’annalista ignoto, che ha continuato la redazione degli Annali genovesi per l’anno 1261, ci ha presentato la situazione politica dell’epoca e la sfida che i Genovesi dovevano affrontare. Vinti dai Veneziani nelle acque di Acri, cacciati dalla capitale del regno latino, cercavano di prendersi la rivincita contro i Veneziani, cioè di annientare la loro potenza in un’altra zona, Costantinopoli, dove la Serenissima appoggiava per quanto era possibile il tramontante impero latino, di cui era il più importante fondatore e sostenitore. Per Genova non c’era altro da fare che cercare l’alleanza dell’imperatore di Nicea, il quale aspirava alla riconquista dell’antica capitale dell’impero bizantino, Costantinopoli. Per capire la scommessa genovese, si deve dunque descrivere la situazione internazionale negli anni Sessanta del Duecento, poi presentare il trattato di Ninfeo che durante due secoli, fino alla caduta di Costantinopoli in mano ottomana, è stato alla base delle relazioni tra Genova e Bisanzio, e finalmente evocare le conseguenze a breve e lungo termine del trattato che ha dato via al «volo del Grifo».
Dopo lunghe negoziazioni con Manuele I Comneno nel 1155 e nel 1169-70, poi con Isacco II Angelo e suo fratello, Alessio III, nel 1192, 1201 e 1203, i Genovesi avevano ottenuto un posto di rilievo nella capitale bizantina, un quartiere lungo la riva del Corno d’Oro, con scali, depositi, chiesa, case e forno, non senza gravi scontri con i loro concorrenti occidentali, Veneziani e Pisani. Purtroppo, il fatto che i Genovesi non abbiano partecipato alla quarta crociata, deviata dalla sua meta iniziale – l’Egitto – verso Costantinopoli, sotto la direzione del vecchio doge Enrico Dandolo, ha lasciato ai Veneziani la preminenza nell’impero latino di Costantinopoli, creato sulle rovine dell’impero bizantino. Malgrado l’aiuto prestato dai Genovesi al conte di Malta, che si opponeva alla presa di possesso dell’isola di Creta da parte dei Veneziani, nonostante il tentativo della loro alleanza con Giovanni Vatatze, imperatore greco di Nicea, fallite a causa dell’amicizia tra questo e Federico II, i Genovesi non sono riusciti a contrastare la Serenissima e a recuperare il possesso della colonia che avevano fondato a Costantinopoli nel XII secolo. Il loro commercio, i loro investimenti nel Mediterraneo orientale furono avviati quasi esclusivamente verso la Siria-Palestina fino agli anni Cinquanta del Duecento.
Ma appunto in quest’epoca la situazione interna ed esterna di Genova cambia. Dopo anni di dominazione della nobiltà guelfa, si era creata una società del popolo, composta da mercanti, banchieri, artigiani, genti delle arti, che aspiravano a una partecipazione al potere cittadino, tanto più che la nobiltà, che lo reggeva, si divideva in lotte feroci tra i partigiani del papa e quelli dell’imperatore. I populares volevano il riconoscimento della loro organizzazione politica. Quando il podestà Filippo della Torre termina il suo mandato, il 18 febbraio 1257, una frazione del popolo si mette in moto, proclamando «capitano del popolo» Guglielmo Boccanegra, nato in un ceto popolare ma imparentato con nobili casati, e creando un Consiglio degli anziani composto da quattro membri per ciascun distretto della città. Si sospetta un broglio dei nobili ghibellini, che approfittano del malcontento dei populares per rovesciare la nobiltà guelfa, con la speranza di governare controllando il capitano. Ma Boccanegra si rivela subito l’unico capo del governo; si preoccupa dell’appalto delle gabelle, troppo favorevole a quelli che le avevano comprate, a detrimento dell’erario pubblico. Si oppone così alla nobiltà, lesa nei suoi immediati interessi, senza guadagnare il sostegno forte delle classi medio-basse, che non risultano sufficientemente organizzate per appoggiarlo. In queste condizioni Boccanegra è costretto a cercare qualche successo nella politica estera per placare gli animi degli avversari.
Purtroppo dal 1256 Genova era alle prese con molte difficoltà all’estero. Nel 1258 un conflitto oppone la città a Pisa per la dominazione della zona di Cagliari, che i Genovesi furono costretti ad abbandonare. Con la Sicilia, Boccanegra riesce a far confermare un trattato negoziato dal precedente regime con Manfredi. Il re di Sicilia accetta di abbassare i diritti doganali pagati dai mercanti genovesi, di concedere una loggia in diverse città del regno meridionale e il permesso di esportare ogni anno fino a 10.000 salme di grano. Ma accanto a questo successo, la sfortuna viene da Oltremare. Ad Acri si era creata una coalizione di Veneziani, Pisani, Provenzali, templari, teutonici contro i Genovesi, appoggiati soltanto dagli ospedalieri, dai Catalani e dagli Anconitani. La guerra detta di San Saba, dal nome di un monastero di Acri al quale apparteneva una casa collocata al limite dei quartieri genovese e veneziano rivendicata dalle due parti, scoppia nel 1256 e volge presto a danno dei Genovesi. Grazie al sostegno dei suoi concittadini, Boccanegra invia ad A...