Storia della medicina e della sanità in Italia
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Storia della medicina e della sanità in Italia

Dalla peste nera ai giorni nostri

  1. 656 pagine
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Storia della medicina e della sanità in Italia

Dalla peste nera ai giorni nostri

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Dalla peste del Trecento all'Aids, alla Sars e alle altre patologie del nostro tempo. Il maggior storico della medicina in Italia racconta come siamo giunti a trattare le malattie dal primitivo empirismo medico fino alle odierne tecnologie, come sono cambiati i luoghi di cura dagli antichi alberghi ai moderni ospedali, come si è modificato il rapporto medico-paziente e medico-società, come i vari modelli di medicina hanno prodotto nei secoli benefici o pericoli, stagnazione o progresso. Una storia della scienza nella quale la lotta contro le malattie e le armi messe in campo a difesa della salute si intrecciano con le idee e le culture delle società occidentali in continua trasformazione.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788858126950

I.
Dagli Stati preunitari
all’Italia unita:
l’Ottocento

1. Nascita e crescita della clinica

La calata dei francesi nel 1796 non giunge inattesa. L’arrivo in Italia degli uomini che hanno fatto la rivoluzione è stato preceduto dall’arrivo delle idee rivoluzionarie. Queste hanno valicato le Alpi qualche anno prima dell’Armata d’Italia del generale Bonaparte, colorando molte sfere d’azione e molti campi di pensiero.
Anche il pensiero medico si è colorato di novità, trasformandosi. Quando i francesi entrano da liberatori nell’Italia cisalpina, a Milano e a Pavia ha già fatto il suo ingresso, almeno da un quinquennio, un’idea di medicina che intende essere altrettanto liberatrice. Da un crogiuolo d’ideologie innovative emergono istanze di liberazione nei confronti dell’antico, sia questo l’ippocratismo tradizionale o l’ancien régime.
L’idea di medicina che rompe col passato è quella di Brown, già professore a Edimburgo, morto cinquantaduenne nel 1788, i cui Elementa medicinae, editi in patria nel 1780 e portati a conoscenza del mondo medico italiano nel 1792, costituiscono una nuova dottrina sistematica che prospetta nella teoria (fisiopatologica) e nella prassi (clinica) tesi riformatrici altrettanto radicali quanto le istanze giacobine di rivoluzione politica.
Il maestro di Brown, Cullen, seguendo la linea fisiologica di Haller, aveva valorizzato la suscettibilità dell’organismo a risentire degli stimoli esterni, ribadendo la tesi, già sostenuta da Hoffmann, della base neuropatologica delle malattie ed elaborando una «teoria dello spasmo», secondo la quale «spasmi» e «atonìe» dipendono dal mutato eccitamento, in eccesso o in difetto, del sistema nervoso. Brown ha ereditato e criticato questa teoria del maestro, reo, a suo avviso, d’infedeltà newtoniana: «fare come Newton» significa assumerne il metodo nella investigazione e spiegazione dei fenomeni, non teorizzare. Da qui il ricorrente richiamo di Brown a Bacone e alla «sana filosofia», cioè al metodo sperimentale. Egli è rimasto però lontano dall’applicare alle scienze della vita la metodologia propria dell’empirismo anglo-scozzese. L’«eccitabilità», da lui definita come la proprietà fondamentale dei viventi e paragonata alla newtoniana forza d’attrazione universale, è stata vista come «verità di fatto universale»1, dotata di autoevidenza, e non come principio esplicativo da sottoporre a sua volta a spiegazione, facendolo oggetto di analisi sperimentale.
Ben diversamente da lui, Haller aveva conferito alla «irritabilità», denominata vis insita come la newtoniana forza d’inerzia, corso legale nell’ambito della scienza dimostrando mediante esperimenti la sua pertinenza alle fibre dei muscoli, e dimostrando la pertinenza della «sensibilità» o vis nervosa alle fibre dei nervi e al cervello. Per Brown invece il rigore sperimentale è stato tutto nel proclamare l’orrore per la metafisica, «serpe che avvelena la filosofia»2, e il rifiuto di ogni vis, di ogni forza vitale, considerata metafisica «essenza». Per questo egli ha ritenuto di dar prova di fedeltà newtoniana, facendo eco al celeberrimo hypotheses non fingo formulato da Newton con il proprio affermare «che cosa sia l’eccitabilità, si ignora»3. L’eccitabilità browniana, lungi dal diventare una proprietà fisiologica sperimentalmente dimostrata, resta così proprio una essenza, una forza assiomatica4.
Pur con questo vizio d’origine, essa regge tutto il sistema. Posseduta dal cervello e dalle fibre neuromuscolari, l’eccitabilità è vista trasformarsi da passiva in attiva per azione stimolante esercitata dall’ambiente o da quanto è contenuto in cavità o canali dell’organismo: aria, alimenti, sangue. Questa attivazione, o eccitamento, è la vita: «uno stato forzato»5. Le malattie sono un venir meno dell’eccitamento vitale, vuoi per difetto di stimolazione – «astenia diretta» – vuoi per ridotta risposta agli stimoli da parte di un organismo esaurito da precedente stimolazione in eccesso – «astenia indiretta»; solo in piccola percentuale (3% dei casi) esse corrispondono a un eccitamento aumentato – «iperstenia».
La semplificazione della patologia si riflette nella semplificazione della clinica. La diagnosi prescinde dai sintomi, ritenuti sembianze polimorfe ingannevoli di una condizione patologica che dev’essere invece valutata in gradi di astenia o iperstenia, mediante un apposito regolo calcolatore. La terapia consiste, per le malattie asteniche che sono la grande maggioranza (97% dei casi), nella somministrazione di farmaci stimolanti, soprattutto eteri, canfora, vini, e di stimoli fisici quali le docce «scozzesi». Anche l’oppio è uno stimolo: esso stimola in misura così spiccata da esaurire l’eccitamento vitale provocando indirettamente astenia con apparente sedazione.
Riassunta in queste poche proposizioni, la dottrina browniana o «brunoniana» – come è anche chiamata, dal nome latinizzato del suo autore – è divulgata in mezza Europa nell’ultimo decennio del Settecento: in Germania da Girtanner e Weikard, in Italia da Pietro Moscati e Giovanni Rasori. Al di qua e al di là delle Alpi, il brownismo o brunonismo rivela ulteriormente la propria intrinseca contraddizione tra dichiarato empirismo e professato apriorismo speculativo. Non a caso esso viene assimilato indifferentemente dai medici transalpini, che ispirano la medicina alla metafisica della Naturphilosophie6, e dai medici cisalpini che nell’Italia napoleonica ispirano la medicina, o credono di ispirarla, al sensismo degli idéologues.
Per la medicina alle soglie dell’Ottocento il brownismo è, da un lato, l’esito più dogmatico della sua interna elaborazione teorica; d’altro lato, è il tentativo più radicale di reagire alla dispersione casistica e all’eclettismo terapeutico insiti nella sua prassi clinica. Esso può dunque apparire in Germania come medicina alternativa alla clinica delle scuole, che a Gottinga e a Jena sono baluardi antibrowniani, e viceversa apparire in Italia come «nuova dottrina medica», perfettamente degna di assidersi in cattedra.
A Pavia il brownismo va in cattedra con il trentenne medico parmense Giovanni Rasori quando l’università viene riaperta per volontà di Bonaparte, nel 1797. Nel 1795, poco prima che l’università venisse chiusa dal governo di Vienna, quest’ultimo aveva inibito ai docenti d’insegnare tutto quanto fosse attinente al sistema di Brown. Il divieto ha segnato il punto di massima caduta, in campo medico, del riformismo illuminato, la cui traiettoria è bruscamente declinata con l’eco in Italia degli eventi francesi. Osserva al riguardo un medico cisalpino nel 1800: «Ognuno sa di qual danno fosse specialmente in alcuni paesi dell’Italia il dichiararsi seguace delle verità browniane»7.
Rasori, «assumendo la Scuola di patologia», rivendica d’esser stato il «primo in Italia» a farsi «difensore e propagatore di una dottrina fra di noi sconosciuta». E, cogliendo lo stretto legame tra medicina e politica, rileva che «presso di noi non vi voleva meno d’una rivoluzione politica, affin di sostenere efficacemente, e dalle scuole, e co’ libri, e colla pratica una serie di verità, colle quali si predica e si opera una rivoluzione in medicina»8.
La cognizione dei nessi tra medicina e politica, in particolare tra brownismo e giacobinismo, affiora anche nel pensiero di un testimone non medico, Vincenzo Cuoco. È l’autore del Saggio storico sulla rivoluzione napoletana che nel 1800 annota: «Robespierre operò sulla Francia come lo stimolo opera sulla eccitabilità umana nel sistema di Brown»9. Parallelamente, a proposito di una proprietà fisiologica affine all’eccitabilità browniana – l’«elettricità» neuromuscolare scoperta in quegli stessi anni dal medico bolognese Luigi Galvani – è detto che «l’agitazione prodotta nel mondo scientifico dalla comparsa del commentario De viribus electricitatis in motu muscolari (Bologna 1791) si può solamente paragonare a quella provata nel mondo politico per la rivoluzione francese»10.
Il brownismo dunque elettrizza, galvanizza. Rasori, nominato rettore «per acclamazione della scolaresca», enuncia un programma che non si limita alla didattica e all’applicazione clinica della dottrina browniana, ma fa di questa il simbolo della conculcata libertà di pensiero. In nome di essa egli decreta «la morte dell’errore, il trionfo della ragione, il solido stabilimento della libertà»11: un programma politico-culturale di ben vasta portata. L’impegno giacobino contro i reliquati istituzionali d’antico regime, e contro le posizioni «antipatriottiche» che anche nel nuovo regime si rendono palesi dentro e fuori l’università, è lo stesso impegno browniano contro «l’ignoranza dogmatica» e «l’empirismo cieco», vizi che Rasori riverbera sulla vecchia medicina ippocratica e sulla medicina sedicente nuova che intende ricollegarsi ancora al «preteso genio d’Ippocrate»1...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Introduzione
  3. Parte prima. Alle origini del mondo moderno:un blocco di tre secoli
  4. I. La «gran morìa» del Trecento
  5. II. La «reformatione» ospedalieradel Quattrocento
  6. III. La scienza medica del Cinquecento
  7. Parte seconda. La lenta trasformazione
  8. I. Una età di crisi: 1550-1650
  9. II. Durante e dopo la rivoluzione scientifica:le ambiguità del Seicento
  10. III. Prima della rivoluzione politica: gli acquisti del Settecento
  11. Parte terza. La grande instaurazione
  12. I. Dagli Stati preunitari all’Italia unita:l’Ottocento
  13. II. Tra pace e guerre:la prima metà del Novecento
  14. III. Nell’Italia repubblicana:la seconda metà del Novecento
  15. Parte quarta. Verso e oltre il Duemila
  16. I. Nello scorcio del secolo
  17. II. La transizione secolare
  18. III. Alle soglie del nuovo millennio
  19. Non conclusione