Leonardo
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Genio senza pace

  1. 352 pagine
  2. Italian
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Leonardo

Genio senza pace

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Il genio di Leonardo è universalmente noto. Il suo mito, tuttavia, ha spesso messo in ombra la vita di un uomo tormentato, dotato di un acuto spirito di osservazione, in conflitto con il sapere istituzionale e dedito a indagare ogni fenomeno naturale. Pittore, scultore, architetto, scienziato, musico, ingegnere: le tante vite di Leonardo sono raccontate da Antonio Forcellino con passione. Una biografia ricca, documenti d'archivio e scritti scientifici arricchiscono il volume: un testo di critica attuale e uno studio approfondito.

Leonardo. Genio senza paceè dedicato a tutti coloro che desiderano avvicinarsi a una delle più misteriose figure europee del passato. Carlotta Venegoni, "Il Giornale dell'Arte"

Il mito, l'uomo, che nelle premesse ai suoi scritti si definì provocatoriamente «omo sanza lettere», può essere oggi decifrato dal restauro dei suoi grandi capolavori. L'analisi dell'opera pittorica, la comprensione del dettaglio della sua tecnica compositiva, sono infatti una chiave fondamentale per comprendere la personalità del genio.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858131121
Argomento
Arte

Parte prima.
Figlio illegittimo

1. Il figlio dell’estate

La sera del 15 di aprile 1452, nel minuscolo borgo di Vinci, non lontano da Firenze, i contadini si godevano i profumi della fioritura dei pruni e dei meli sparsi nell’aria dalla prima brezza notturna. In una delle casupole di pietra e mattoni, una giovane contadina, Caterina, sta per dare alla luce un bambino a cui daranno il nome di Leonardo.
Alle dieci di sera (tre di notte allora) il tormento è finito, il bambino sta bene e le donne che l’accudiscono lo presentano al nonno, Antonio di Ser Piero da Vinci, notaio ottantenne di non grandissime fortune ma pur sempre il cittadino più benestante del borgo. Antonio è il discendente di una famiglia di notai sicuramente attiva già nel 1333. Divide con i familiari una casa onorevole nel centro del piccolo borgo con un orto annesso e, poco distante, un podere di circa 10 stadi. Dalle sue denunzie catastali risulta proprietario di altri poderi più piccoli dai quali ricava grano, olio e vino. La somma delle sue ricchezze, 1400 fiorini d’oro, è depositata sul Monte del Comune di Firenze, e frutta abbastanza per vivere decorosamente. Antonio è contento per quella nascita, alla sua età non ha molto tempo ancora per vedere la discendenza e corre ad annotare l’evento nel suo registro familiare.
15 apr. 1452, Nachue un mio nipote, figliuolo di ser Piero mio figliuolo adì 15 d’aprile, in sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo. batizollo prete Piero di Bartolomeo da Vinci, Papino di Nanni Bantti, Meo di Tonino, Piero di Malvolto, Nanni di Venzo, Arigho di Giovanni Todescho, monna Lisa di Domenicho di Brettone, monna Antonia di Giuliano, monna Niccholosa del Barna, mona Maria, figliuola di Nanni di Venzo, monna Pippa (di nannj di venzo) di Previcone1.
Ma per quanto sia lieto l’evento e ben accolta sia la nascita di un piccolo maschio, le cose non sono andate proprio come aveva sperato: quel bambino non è figlio della donna giusta, è e rimarrà un «illegittimo», un discendente che non può aspirare a pieno titolo alle eredità familiari, sia materiali sia ideali. L’estate precedente, il suo figlio primogenito, Piero, poco più che ventenne e già avviato nella carriera notarile a Firenze dove vive in una casa in affitto, era venuto a trascorrere i mesi estivi nella casa paterna e nell’ozio accaldato dell’estate aveva incontrato e sedotto la giovane contadina, Caterina, il cui unico difetto, insieme alla povertà, era la troppa bellezza.
Piero aveva approfittato di quell’incontro senza troppi scrupoli perché in fondo si trattava di una povera contadina, mentre lui stava per sposare una donna fiorentina di adeguato ceto sociale, Albiera di Giovanni Amadori. L’incidente di percorso non aveva giustificazione se non per l’esuberanza giovanile e la bellezza delle serate estive nella campagna profumata dai cipressi. D’altra parte la seduzione di una ragazza povera da parte di un uomo benestante era un evento talmente frequente nelle campagne fiorentine da non costituire un vero problema: Ser Piero in quello stesso anno sposerà la sua Albiera.
Caterina, fornita forse di una piccola dote di risarcimento dal vecchio notaio, sarà invece consegnata in sposa ad un uomo del posto di cui sappiamo molto poco, ma il cui nome non lascia sperare in un destino molto felice. L’uomo si chiama Acchattabriga ed è figlio di Piero del Vaccha, nomi che segnalano origini umilissime e temperamento difficile. Con questo matrimonio Caterina scompare dall’orizzonte della famiglia Vinci, e, a quanto attesta il silenzio documentario, anche dall’orizzonte del piccolo Leonardo. Non subito però: come era costume all’epoca la giovane donna deve averlo allattato, a casa sua o a casa dei Vinci, almeno per un anno o due, il tempo per innamorarsene e poi soffrire del suo distacco, perché dopo quella prima fase il ragazzo è affidato completamente alla famiglia paterna.
Ad accudirlo è il vecchio Antonio con sua moglie Lucia di cinquantanove anni e il suo secondogenito Francesco, di appena diciassette anni. Un’altra figlia, Violante, è già fuori casa, sposata ad un Antonio da Pistoia. In quanto figlio illegittimo il bambino non riceve una educazione regolare, che prevedeva per le famiglie borghesi fiorentine l’insegnamento intorno ai sette anni della grammatica italiana, di nozioni di matematica e soprattutto del latino, indispensabile per intraprendere la carriera amministrativa, oltre che per l’accesso ai libri e ai codici antichi, a quella data tutti ancora in latino. Questa condizione di irregolarità, che pesò moltissimo nella vita di Leonardo, fu d’altro canto una ragione di grande felicità nella sua prima infanzia, perché lo rese libero dai doveri di un apprendimento rigido guidato dalle regole delle istituzioni scolastiche. La condizione un po’ selvatica del bambino affidato ai nonni e allo zio giovane stimolò strade inconsuete alla sua creatività, aiutandolo a sviluppare una curiosità per il mondo naturale che non lo abbandonerà mai per tutta la sua vita futura.
L’infanzia di Leonardo trascorre in quella casa circondata dalla campagna, con i vecchi nonni e lo zio Francesco troppo giovane, disinteressato a ogni lavoro: come annota Antonio in una successiva denunzia catastale, «stassi in Villa e non fa nulla». L’amore di Francesco per l’ozio sarà la fortuna del bambino al quale suo zio può dedicare almeno un po’ del suo tanto tempo libero, atteso che anche per lui la vita nel minuscolo borgo di Vinci non offriva grandi distrazioni, e dal momento che era comunque figlio di notaio, e dunque non era impegnato nei lavori agricoli che assorbivano gli altri giovani della sua età.
Sappiamo dai documenti più tardi che Francesco è l’unico parente (oltre ai nonni) ad aver amato Leonardo, tanto che per quel nipote sfiderà le rigide leggi che regolavano la trasmissione patrimoniale. Probabilmente è lui che gli insegna a leggere e a scrivere, dato che la scrittura di Leonardo mantiene la caratteristica grafia notarile tipica dei funzionari quattrocenteschi, mentre nelle scuole a quella data si era già affermata la bella grafia tonda che esprimeva anche nell’aspetto ridondante l’entusiasmo per gli studi umanistici divenuti di gran moda nella Toscana della metà del Quattrocento. La bella grafia si insegnava nelle scuole con lo stesso rigore con il quale si insegnava la retorica dei componimenti grammaticali, un altro carattere che la prosa di Leonardo non avrà mai nonostante gli sforzi compiuti in seguito dall’artista per recuperare i ritardi della sua formazione da autodidatta. La scrittura di Leonardo, appresa in famiglia in un borgo isolato, lontano da ogni centro di insegnamento, è indisciplinata e per di più il ragazzo, pur potendo scrivere con la destra, preferisce usare la sinistra, scrivendo da destra a sinistra come facevano a quel tempo solo gli ebrei. Se Leonardo avesse frequentato qualsiasi corso regolare, quel vezzo sarebbe stato censurato e corretto, ma come figlio illegittimo non c’erano aspettative intellettuali sul suo conto e nessuno perse tempo a correggerlo: la sua scrittura è un gioco e i nonni non pensano che gli servirà a molto nella vita.
La condizione del bambino con il passare del tempo diventa sempre più anomala e irregolare. Il giovane padre è assorbito dal nuovo matrimonio e dalla sua carriera notarile e non ha molto tempo per occuparsi di lui. In più, il ragazzo con la sua sola presenza ricorda costantemente un problema doloroso della nuova famiglia di Ser Piero, la mancanza di figli. Albiera, infatti, non è in grado di concepirne e la presenza di Leonardo è una accusa muta alla sua sterilità. Gli anni passano e Albiera e Ser Piero non hanno eredi legittimi né li avranno fino alla morte di Albiera nel 1465, dopo tredici anni di matrimonio che non dovettero essere felici. Il matrimonio a Firenze e nel resto d’Italia durante il XV secolo è soprattutto un affare economico, serve a consolidare alleanze sociali e ad assicurare la continuità del patrimonio oltre che dell’onore familiare. Un matrimonio senza figli è un matrimonio inutile e la colpa è sempre della donna, alla quale si addebitava la responsabilità della sterilità di coppia. Per quanto lontano, relegato nel piccolo borgo di Vinci, il ragazzo che cresceva forte e bellissimo rappresentava un pensiero triste per Albiera e imbarazzante per Ser Piero: le riunioni familiari non dovevano essere facili né per gli sposi né per Leonardo. Per gli stessi motivi, la consapevolezza dei nonni che un altro erede non sarebbe arrivato in tempi brevi accresce il loro amore per Leonardo, coccolato anche troppo dagli anziani a cui è affidato.
La condizione nella quale il bambino cresce è molto singolare. Da un lato l’isolamento domestico causato dall’assenza di altri bambini in quella famiglia di anziani, dall’altro la sua separatezza dai ragazzi del borgo, dal momento che la famiglia Vinci deve difendere la propria condizione di rilievo nella comunità contadina e non può certo avviare il giovane nipote ai lavori nei campi che assorbivano tutti gli altri bambini della sua età. Leonardo è, per quanto illegittimo, figlio e nipote di notai di vecchia stirpe e la sua condizione deve rimanere appartata da quella dei ragazzi che popolano il borgo. Una condizione di ozio, libertà e solitudine, non priva però di insegnamenti anche rudimentali, è la miscela ideale per sviluppare la curiosità verso il mondo circostante. Il rapporto certamente doloroso con il padre e la madre adottiva è d’altro canto condizione altrettanto necessaria a sviluppare l’introspezione creativa del bambino, al riparo tra le braccia dei vecchi nonni, che se non gli impartirono disciplina gli diedero sicuramente molto amore.
Il mondo di Vinci è un mondo sospeso tra la natura domestica e quella selvaggia, perché il borgo si trova tra le forre boschive della zona pedemontana dell’Appennino toscano dove la campagna confina con lunghi tratti di natura incontaminata. Le coltivazioni dell’olivo, della vite e del grano occupano solo parte delle colline che si rincorrono tra i dirupi e i boschi con i loro profili morbidi segnati dalle creste ordinate dei cipressi. Il resto del territorio è formato da piccole gole scavate da torrenti che scendono verso l’Arno, un fiume imponente che ha segnato nei millenni il territorio con i suoi sedimenti e che offre al ragazzo paesaggi di impressionante bellezza. La natura non addomesticata esercita un grande fascino sul bambino, che inizia ad esplorarla durante la sua infanzia solitaria. Successivamente, nella prima adolescenza, i turbamenti dell’età di passaggio lo spingono con più foga verso l’esplorazione del mondo circostante e l’osservazione prende un carattere più sistematico.
C’era poi qualcos’altro che la strana famiglia doveva offrire, quasi suo malgrado, al bambino, qualcosa che avrebbe segnato la sua vita: era la carta, materiale che non faceva difetto in casa dei notai. Grandi quantitativi di carta vengono acquistati dai Vinci, come attesta una nota di credito stesa nel 1451 dal nonno Antonio, dove tra i debiti cospicui figurano 12 lire che Piero deve corrispondere al cartolaio Giovanni Parigi2. Quella carta preziosa all’esercizio notarile divenne certamente preziosissima per i giochi solitari e le esplorazioni del bambino. La carta non era facilmente alla portata di nessuno e tantomeno dei bambini poveri, ma, se non altro sotto forma di scarti e di ritagli, Leonardo dovette averne grande disponibilità.
Per una fortunata combinazione del caso, sul ragazzo si concentrarono le migliori condizioni per farne un genio: libertà, solitudine e ritagli di carta, materia sulla quale si materializzava la proiezione del suo cervello e con la quale stabilì già nell’infanzia una relazione mai più interrotta durante il resto della sua vita, dal momento che proprio la carta diventa il suo principale mezzo di comunicazione con il resto del mondo. Leonardo affidava alla carta ogni osservazione, ogni ricordo: in forma di appunto, di memoria o di schizzo, la sua mente si distende sulla carta come se questa fosse il suo alter ego, il suo prolungamento, un feticcio dal quale non riesce a liberarsi e che si trascina dietro fino alla fine passando dai ritagli ai fogli da disegno, poi ai quaderni di appunti e infine ai faldoni dei codici. Il rapporto con la carta nasce certamente in quell’infanzia irregolare a Vinci, e la carta è il miglior regalo che la famiglia può fargli, molto più di quella legittimità sociale che il padre gli negherà sempre.
La carta e l’inchiostro diventano il gioco e la compagnia del bambino e poi il segno precocissimo del suo talento, via via che il ragazzo nelle sue escursioni comincia a riprodurre per iscritto le forme di ciò che osserva nelle sue lunghe giornate oziose. La favola raccontata da Vasari contiene un nucleo di verità che bilancia e conferma la luce intravista con quella nota spese del nonno:
Nondimeno, bench’egli a sì varie cose attendesse, non lasciò mai il disegnare et il fare di rilievo, come cose che gli andavano a fantasia più d’alcun altra. Veduto questo Ser Piero, e considerato la elevazione di quello ingegno, preso un giorno alcuni de’ suoi disegni, gli portò ad Andrea del Verrocchio, ch’era molto amico suo, e lo pregò strettamente che gli dovesse dire se Lionardo, attendendo al disegno, farebbe alcun profi...

Indice dei contenuti

  1. Prologo
  2. Parte prima. Figlio illegittimo
  3. Parte seconda. A Milano
  4. Parte terza. Ritorno a Firenze
  5. Parte quarta. In esilio
  6. Referenze iconografiche