Prima lezione di grammatica
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Prima lezione di grammatica

  1. 182 pagine
  2. Italian
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Prima lezione di grammatica

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Giusto? Sbagliato? Si dice così? Si scrive così? Una lettura curiosa, utile e concreta sulle norme della nostra lingua, le sue complicazioni e le sue raffinatezze. A scriverla è uno dei più noti grammatici italiani.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788858101872

Norma stabile e norma in movimento. Grafemi e segni paragrafematici

Abbiamo insistito sui requisiti testuali, in primo luogo sulla coesione, perché il ricorso a questa nozione può spiegare molti aspetti grammaticali di cui ci occuperemo nei capitoli che seguono, dedicati a un esempio evidente di stabilizzazione (l’ortografia: è il tema di questo cap. 11) e ad alcuni episodi estratti da quella che abbiamo chiamato la “zona grigia” della norma, vale a dire il settore in cui la norma, non essendo consolidata o condivisa, può suscitare incertezze di esecuzione presso lo stesso parlante italofono istruito.
Ben pochi dubbi, invece, dovrebbe suscitare in un adulto acculturato l’oggetto di questo capitolo: le lettere dell’alfabeto o grafemi e tutti i segni “paragrafematici”, vale a dire quelli che ne accompagnano l’uso (apostrofo, accenti, virgolette ecc.) o ne contrassegnano la forma (maiuscole-minuscole, tondo-corsivo ecc.); di una particolare categoria di tratti paragrafematici, i segni di punteggiatura, diremo qualcosa nel capitolo successivo.
Forse nessun altro aspetto linguistico come l’ortografia si presta a darci l’immagine del tempo trascorso: basterà riprodurre fedelmente brevi brani di due documenti, precisamente due lettere. La prima è una missiva d’argomento politico inviata dal senese Arrigo Accattapane a Ruggieri di Bagnuolo nel 12531:
avoi mesere Rugieri debangnuolo p– la graçia didio 7 di dno— Re currado capitano del cumune di siena tuto arigo acatapane uisimaracomandando = A voi, mesere Rugieri de Bangnuolo, p(er) la graçia di Dio (e) di d(omi)no re Currado capitano del cumune di Siena, tuto Arigo Acatapane vi si ma[nda] racomandando.
La stampa e la sua potente azione normalizzatrice anche sulla scrittura a mano sono di là da venire. Lo scrivente tende a trasferire nella scansione della scrittura abitudini tipiche dell’oralità (le parole grammaticali sono unite alle parole successive: avoi, debangnuolo ecc., cfr. p. 7) e ricorre ad abbreviature per le sequenze grafiche più comuni, più o meno come avverrebbe oggi nei “messaggini” telefonici e nella scrittura giovanile (la p tagliata vale ‘per’, la “nota tironiana” 7 vale ‘e’ o ‘et’, un trattino orizzontale sovrapposto fa le veci di una n o m o di più lettere, come in dno— “domino”). Inoltre, è fluttuante la rappresentazione di quei grafemi che nell’alfabeto latino non esistevano o non presentavano un valore univoco: così, accanto a usi stabili fin dalle origini – per esempio nella rappresentazione di m, r o d – si oscilla per la nasale palatale (bangnuolo; alternative possibili a quest’epoca sarebbero state anche bagniuolo, baniuolo, oltre alla scrizione col digramma gn, come oggi), per l’affricata dentale (graçia; alternative: gratia, alla latina, e, ancora relativamente raro, grazia) e per le doppie, corrispondenti foneticamente a una consonante di grado intenso, come oggi, ma spesso graficamente scempie: mesere, tuto, Arigo, Acatapane (cioè “accattapane”).
Ma anche nell’Ottocento, quando la stampa faceva testo da alcuni secoli, la scrittura manoscritta può presentare talvolta forti margini di oscillazione. Ecco due brani vergati da un mazziniano siciliano, Rosario Bagnasco (1810-1879); la lettera, indirizzata al noto patriota Nicola Fabrizi, fu inviata nel 1857 da Marsiglia, dove Bagnasco era esule2:
Cariss.mo Amico
Nei primi dello scorso Aprile con cameriere di vapore vi ho mandata la Storia della rivoluzione di spangna, e come sin’oggi non ho notizia della recezione vi prego darmi avviso se l’avete ricevuta, ed in caso negativo potermila richiamare da colui che l’ho consegnata [...] quindi se Pippo conta su lui, spera inutilmente perché non più nel caso di rendere il più minimo servizio alla causa, e quello chi è di più che si grida contro Pippo di più dicendo i reazionarie, vedete chì rappresenta il partito republicano in Italia?
Non si tratta di uno sprovveduto, tutt’altro. Eppure troviamo ancora un esempio di nasale palatale rappresentata col trigramma ngn (spangna; e si noti anche la minuscola) e un accento che, quantunque non raro nell’uso manoscritto coevo, già all’epoca le grammatiche non tolleravano (chì). Per non parlare delle interferenze fonetiche dal siciliano (con i per e e con forme di reazione ipercorrettiva: potermila, i reazionarie) e della precaria sintassi (l’infinito potermila è privo di un verbo reggente; la successiva relativa è introdotta da un che polivalente ‘a cui’; minimo, superlativo, non ammette più); solo republicano, con una sola b per influenza del latino e del francese, non sarebbe stato giudicato troppo insolito nell’Ottocento. Insomma: per quanto male si possa dire della scuola italiana attuale, nessuno studente – con un bagaglio di letture e di relazioni intellettuali come quelli di Bagnasco – oggi scriverebbe così.
Ormai il rapporto tra grafemi e fonemi si è stabilizzato e le residue incertezze in fatto di alfabeto si contano sulle proverbiali dita di una mano. Due riguardano, curiosamente, i nomi delle lettere: v si chiama “vu”, ma al Nord e al Sud viene chiamata “vi” (e questa variante è registrata, come secondaria, dai dizionari); j si chiamerebbe “i lunga”, ma ormai si è imposto il nome inglese (chi, compitando un nome, direbbe: Vajda, vu-a-i lunga-di-a?): tanto varrà accettarlo, dunque, ma almeno con grafia italianizzata: gei non jay.
In materia di ortografia occorre tener presenti due criteri. Il primo, diagnostico (cioè utile a orientarsi sull’asse giusto/sbagliato), è legato all’eventuale registrazione lessicografica di una variante ortografica come “antiquata”. Una marcatura del genere equivale a una condanna: l’arcaismo è percepito come tale – e quindi utilizzabile con intenti espressivi – solo nel lessico; altrove, non verrebbe riconosciuto dalla quasi totalità degli utenti e sarebbe considerato un errore. Si pensi, per fare due esempi che esulano dall’ortografia, alla figuraccia di chi usasse l’articolo i davanti a s + consonante («i stemmi», come si legge nei Sepolcri del Foscolo) o il congiuntivo vadi, che è adoperato da Leopardi. Il secondo criterio, prognostico (utile per prevedere quale di due varianti concorrenti finirà con l’imporsi), è legato alla pratica della videoscrittura e all’intervento, inflessibile e sistematico, del correttore automatico, che elimina senz’altro una devianza ortografica o la segnala con una lineetta ondulata rossa (pochi utenti disattivano il relativo comando: e in ogni caso sono quelli che non hanno mai dubbi di lingua). È facile prevedere che la forma emarginata dagli automatismi della videoscrittura prima o poi uscirà dal limbo delle forme minoritarie ma lecite, e precipiterà nell’inferno delle forme erronee.
Partiamo dai grafemi. Un drappello di casi meritevoli di qualche commento riguarda l’uso di i, quando non è vocale (come avviene in vino), semiconsonante (piede), segno diacritico (ciao). Distinguiamo tre tipologie.
a) In un certo numero di parole si scrive i in omaggio alla grafia latina (scienza) o si mantiene una grafia corrispondente all’italiano antico, per l’opportunità di evitare un’omografia: cielo presenta regolare dittongamento dal lat. CAELUM, ma la i semiconsonantica non si pronuncia più perché è stata assorbita dal fonema palatale precedente (e lo stesso è avvenuto per il continuatore del lat. GELU: italiano antico gielo, poi gelo, stavolta con pieno adeguamento della grafia alla pronuncia); ma se continuiamo a scrivere cielo è per distinguere, almeno scrivendo, il sostantivo dal verbo (celo ‘nascondo’). Scienza e cielo, beninteso, non creano incertezze di norma. I dubbi possono sorgere quando concorrono tuttora, con varia frequenza e prestigio, una forma con grafia latineggiante e una con grafia fonetica (prospiciente o prospicente?) o una forma che serba traccia dell’antico suffisso -iere, -iera, ma in cui (proprio come in cielo) quella i è stata assorbita dalla palatale precedente (formaggiera o formaggera?).
Non esiste una regola che consenta di orientarsi con sicurezza. In generale, la i superflua non è ammessa fuori d’accento (tranne qualche caso: scienziato, coscienzioso; d’altra parte: *pasticcieria, *leggierezza ecc.) e tende a regredire rispetto a un secolo fa, quando erano ancora assai diffuse grafie come messaggiero e passeggiero, oggi decadute. La i di impronta latineggiante tende a mantenersi in modo più stabile in parole esposte tradizionalmente all’influsso della lingua dell’antica Roma. Un esempio: le forme raccomandabili sono specie e fattispecie; ma la seconda è pressoché generale nell’uso dei giuristi (ancora a loro agio col latino), mentre la prima, più largamente usata anche in altri contesti, concorre con l’uso di spece, legato anche al plurale speci (entrambe forme poco raccomandabili):
La cicoria ha proprietà digestive, depurative e anche un leggero effetto sedativo. Pensi che ne esistono numerose speci [da una dichiarazione di Carlin Petrini, presidente del movimento “Slow Food”, in «Corr. Sera – Magazine», 2.6.2005].
In casi come questi si dice all’utente dubbioso: «Consultare un buon vocabolario». Noi abbiamo risparmiato questa incombenza al lettore ricorrendo, per le due dozzine di parole più comuni che ammettono alternanza, al testo più autorevole in materia di ortografia e pronuncia: il Dop – Dizionario d’ortografia e di pronunzia3.
In un certo numero di casi è preferibile la variante con i superflua, di ragione etimologica ma oggi non...

Indice dei contenuti

  1. Il grammatico tra scriventi e parlanti
  2. La deriva dell’antico nell’italiano di oggi
  3. Il libro di grammatica
  4. Norma dei grammatici e norma degli utenti
  5. La reattività del parlante
  6. Grammatica e testualità
  7. La coesione
  8. La coerenza
  9. Coesivi
  10. Connettivi
  11. Norma stabile e norma in movimento. Grafemi e segni paragrafematici
  12. La punteggiatura
  13. Il nome: femminile ideologico e professionale; plurale dei forestierismi
  14. Il verbo: sintassi del gerundio; scelta degli ausiliari
  15. L’accordo
  16. La proposizione relativa
  17. Tirando le somme