Piovono pietre
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Piovono pietre

Cronache marziane da un paese assurdo

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Piovono pietre

Cronache marziane da un paese assurdo

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Informazioni sul libro

Funambolico e levigato, denso e sperimentale.Filippo Ceccarelli, "la Repubblica"Implacabile come un'agenzia di rating. Robecchi è la firma di punta della satira italiana.Ranieri Polese, "Corriere della Sera"Robecchi inserisce le cronache marziane in una cornice apocalittica, scegliendo una prospettiva postuma: il mondo è già finito da un pezzo, e non resta che raccontare il suo lento estinguersi nella farsa.Paolo Di Stefano, "Sette - Corriere della Sera"I buoni libri, come questo, non sono sereni, tanto meno moderati, ma per chi volesse provare, sono pratica efficacissima di disintossicazione dopo vent'anni di doping.Gaia Manzini, "l'Unità" Ogni inquisito, imputato o rinviato a giudizio si affanna a dichiarare «Sono sereno». Le forze politiche che si definiscono 'moderate' si aggrediscono come gang portoricane e si spernacchiano ferocemente ogni giorno con insulti spaventosi. Un famoso testo satirico nazionale si ostina a sostenere che l'intera Repubblica sia fondata sull'unica cosa che manca: il lavoro.Pensate di essere sbarcati su Marte? Tranquilli, siete sempre in Italia, l'unico paese dove splende il sole, ma piovono pietre!Questo esilarante diario minimo, scritto con spericolata abilità, in precario equilibrio tra il grottesco e la realtà, rincorre i paradossi delle nostre vite quotidiane, i testacoda della politica nazionale, le mode correnti, i vizi antichi, le parole che cambiano senso e le tortuose logiche a cui è costretto chiunque pratichi il più stravagante degli sport estremi: vivere in Italia. Guarda il booktrailer

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788858107058

Montabbano sòno!

Il direttore mi ha convocato nel suo ufficio poco dopo le undici. Ha parlato del giornale, delle vendite, della raccolta pubblicitaria che procede a gonfie vele nonostante la crisi. Ero lusingato da questa chiacchierata privata, informale, sembrava volesse farmi parte del suo comandare, del suo dirigere. Poi è arrivato al dunque: «La sua rubrica di libri, Mombelli, da quanto dura, otto anni, dieci?».
«Veramente sono tre», ho detto.
«Appunto. Ma non è stanco? Libri, libri, recensioni, critica, che noia Mombelli. E intanto intorno il mondo gira, i giovani si muovono, ha visto come si muovono i giovani?».
Sono rimasto zitto, cosa potevo dire, e lui, dove voleva andare a parare? Dovevo avere un’aria interrogativa, perché ha continuato: «Svecchiamo, Mombelli, innoviamo. Il suo spazio raddoppia, due pagine invece di una, intesi? Ma basta libri, per carità. Diamo dei segnali, andiamo incontro a un pubblico più dinamico. La recensione piace, il giudizio spregiudicato, attento, critico, è sempre un valore per un giornale come il nostro. Ma i libri, Mombelli, i libri!». Lo dice come se l’intera biblioteca di Alessandria tentasse di strangolarlo nel sonno.
«E cosa dovrei recensire?», chiedo.
Non aspettava altro: «Occhiali da sole! Due pagine, tante foto, quei giudizi affilati come sa fare lei! Coraggio, Mombelli, non si sieda sul conformismo!».
In segreteria mi hanno consegnato alcuni pacchi sigillati, gli occhiali da recensire questa settimana. Ho sistemato tutto sulla scrivania, poi sono andato alla macchinetta del caffè. La notizia si è già diffusa, qualcuno mi batte sulle spalle, i giovani della redazione mi scrutano con interesse e sospetto: cos’avrò fatto per avere una simile promozione? Io me ne sto silenzioso. Indosso un paio di occhiali a goccia con le lenti di color rosa sfumato e la montatura verde, in osso di alligatore. «Bellissimi», dice una redattrice della sezione Vita e Cosmesi, è la prima volta che mi rivolge la parola. Il collega Federighi scuote la testa, butta il bicchierino di plastica nel cestino con un lancio preciso e torna silenzioso nella sua stanza. Aveva una rubrica di musica classica e ora si occupa di calzini da uomo, ma non pare contento, ha l’aria di uno che vorrebbe tanto stare seduto sul conformismo. Invece gli tocca stare in piedi, per vedere se i calzini tirano sul tallone.
La lettera è arrivata giovedì. Non l’ho letta bene subito, anche per colpa degli occhiali da sole che indossavo in quel momento, foggia anni Cinquanta, ma più grandi, stanghette dritte bicolore, lenti scurissime, un po’ pesanti sul setto nasale. Dopo, quando mi sono deciso ad affrontare la questione, mi ha preso lo sconforto.
Roma, 21 settembre
Ministero degli Affari Culturali e della Salute Pubblica
Prot. N. 8743/b
Oggetto: Visite di controllo
Egregio dott. Mombelli,
dai dati in nostro possesso risulta che Lei non ha ancora affrontato l’obbligatoria visita di controllo social-attitudinale prevista dalla legge 43/2012. Le ricordiamo che l’intervallo massimo concesso tra un esame valutativo e il successivo è di trentasei mesi, con possibile proroga per motivi professionali e/o familiari di mesi sei, ma che la prima visita è obbligatoria e urgente.
La preghiamo di mettersi rapidamente in contatto con gli Uffici Regionali di Valutazione in modo da non incorrere nelle speciali sanzioni previste dall’art. 5 comma 11.
La direzione di questo Ministero si riserva di intervenire in caso di mancata risposta entro gg. 30 dal ricevimento della presente comunicazione.
Eccetera, eccetera. Numeri di telefono, uffici da contattare, distinti saluti.
«Fai finta di niente», mi dice Federighi in mensa. «Prendi tempo, guadagna qualche settimana, e intanto studia».
«Ma tu come hai fatto? – chiedo io – Li hai fatti ’sti esami?».
«Ma io ho l’esenzione per motivi di età, Mombelli! Io per loro sono una battaglia persa, tu sei giovane, pensa al futuro».
È tornato nella sua stanza con le mani ben affondate nelle tasche dei pantaloni, per tenerli bassi, che non si vedessero i calzini, di un rosa intenso.
Invece non ci ho più pensato.
Il giornale con la prima rubrica è uscito. Graficamente è molto riuscita, si intitola Occhio per Occhio, e ogni O maiuscola porta occhiali da sole classici. Il direttore mi ha mandato un bigliettino dei suoi, un cartoncino con qualche complimento di circostanza. Una multinazionale americana mi ha scritto una letteraccia per contestare la mia critica un po’ troppo severa ai suoi nuovi pince-nez da motociclista, in effetti ho scritto che tendono a volare via sopra i trenta all’ora. Ma poi, nella stessa lettera, la stessa multinazionale si è detta contenta che l’industria degli occhiali da sole abbia una così prestigiosa tribuna.
La vita continua, insomma. Sono passato in segreteria a ritirare nuovi pacchetti sigillati e mi sono messo al lavoro, scrutando attentamente lo spicchio di corridoio che si intravvede dalla mia scrivania. È giallo canarino con sfumature azzurre. Riposante.
Sono venuti a prendermi mentre stavo per uscire. Sono saliti in due, in borghese, abbastanza gentili. Uno mi faceva vedere dei moduli, l’altro si aggirava con aria annoiata per la casa, l’ho visto sbirciare sugli scaffali, piegare la testa per leggere i titoli. Mi hanno detto di preparare una borsa, se volevo, ma di fare in fretta perché avevano altre due consegne in mattinata. Hanno detto così: «consegne». Ho preso un po’ di biancheria, qualche libro e, incongruamente, una dozzina di astucci di occhiali da sole.
Il terzo aspettava sotto con il motore acceso. La macchina aveva i vetri oscurati. Sarà stato per quello, o perché indossavo un paio di occhialini rotondi in oro con le lenti verde bottiglia, ma non ho visto dove andavamo, non lontano, comunque.
«Montabbano sòno!».
Il mio compagno di stanza mi saluta così, con voce squillante. Occupa il letto vicino alla porta di una camera bianca, pulitissima, confortevole. Sistemo le mie cose, contento che mi tocchi il letto vicino alla finestra. I libri in basso, gli occhiali da sole sullo scaffale più alto. Nella stanza ci sono due grandi schermi, un tavolino, una porta che dà in un piccolo bagno, potrebbe sembrare una clinica, ma senza quegli aggeggi che si trovano negli ospedali, flebo, carrelli metallici, lettighe. Il personale è garbato ma non eccessivamente gentile, tutti possono andare e venire negli ampi corridoi. Non faccio in tempo a mettere a posto le mie cose che arrivano due inservienti, ci legano al letto, abbassano la luce, accendono i due grandi schermi e se ne vanno. Devo avere una faccia spaventata, perché il mio compagno mi rassicura con una strizzata d’occhio: «Sono le quattro. Cinema. Fa parte del programma, non ti hanno dato un programma?».
Per quasi due ore ce ne stiamo nella penombra, sdraiati sul letto assicurati con le cinghie a vedere Natale a Rio, con Christian De Sica e Massimo Ghini, regia di Neri Parenti, anno 2008. Nel letto accanto il mio compagno di stanza ride rumorosamente a ogni battuta. Grida «Montabbano sòno» e ride. Dalle altre stanze arrivano risate un po’ forzate, false. Lui gira un poco la testa verso il mio letto e dice in un sussurro che mi pare implorante: «Ridi, ridi...». Alle sei meno dieci ci riversiamo nei corridoi e così vedo decine di altri ospiti come me. Sembrano provati, ogni tanto incontrano un sorvegliante e allora fanno la faccia divertita. Un signore enorme, con una gran barba e vestito di tutto punto, giacca, cravatta, scarpe lucidissime, esce da una stanza e lancia un grido sovrumano: «A buzzicona!». Tutti ridono rumorosamente. I sorveglianti, appoggiati ai muri, le braccia conserte, osservano impassibili.
La mattinata dell’esame è passata in un lampo. Ho dovuto rispondere a un centinaio di domande, alcune con tre alternative, altre che richiedevano una descrizione, una riflessione, qualche riga per risposte più argomentate. Nella stanza eravamo in quattro, quattro banchi, un medico alla cattedra che scorreva dei fogli mentre noi cercavamo soluzioni a piccoli quesiti, quiz, serie di domande concatenate. Ci hanno riportato in reparto dopo tre ore e mezzo, senza dirci niente.
In un angolino della palestra, a voce bassissima, il mio compagno di stanza mi ha spiegato qualcosa su questo posto. Si chiama Sempieri, fa lo sceneggiatore, o faceva, non sa nemmeno lui. È qui da quasi un anno. «Non mi diverto secondo la norma – mi dice – eppure ci provo, sai!». Gli hanno fatto gli esami, è risultato «snob di sinistra», diagnosi tra le peggiori. Si finge matto per non essere trasferito al Campo, ma cos’è questo Campo non me l’ha saputo dire. Un mese fa ha cominciato a gridare per i corridoi «Montabbano sòno» e gli hanno comunicato che faranno altri esami, altri accertamenti. «In questo modo resto qui – dice – al Campo non ci voglio andare».
Torno in camera. I libri nell’armadietto sono spariti. Mi hanno lasciato gli occhiali da sole e la biancheria, tutto in disordine. Vorrei chiedere spiegazioni, ma dobbiamo scendere tutti in auditorium, proiettano un concerto di Ligabue e mezza puntata di La pupa e il secchione. L’altra metà dopo cena. Con Sempieri, ci sediamo a mezza platea, di fianco a un ragazzo dall’aria triste che si presenta in un sussurro: «Piacere, Step». Sempieri mi sussurra all’orecchio che Step è un musicista. Si è presentato volontariamente per un controllo, ma lo hanno trattenuto. Aveva un iPod nascosto con certe musiche sconsigliate, Miles Davis, Sostakovic, cose così. Allora lo hanno legato al letto e gli hanno letto sei volte Tre metri sopra il cielo, dall’inizio alla fine, facendo le vocette dei vari personaggi, rianimandolo quando sveniva. Da allora parla pochissimo e si fa chiamare Step. Quando il Liga attacca Certe notti molte teste si chinano, vinte, arrese. Guardo Step con la coda dell’occhio: due lacrimoni gli rigano la faccia, trattiene i singhiozzi. Sempieri mi sussurra piano: «Coraggio, ci manca un’ora di La pupa e il secchione e poi pausa. Possiamo farcela». Mi stringe un avambraccio con forza disperata: «Sopravvivere, capisci? Solo questo conta!».
Sono seduto in pizzo alla sedia davanti a una scrivania enorme, mentre un signore dall’aria severa, il camice candido, sfoglia delle carte sprofondato in una poltrona dirigenziale. «Dottor Mombelli – mi dice con aria grave – qui le cose non vanno per niente bene». Poi scorre i fogli del mio esame. «Qui lei manca delle basi elementari – mi fa – ha lasciato in bianco trentuno caselle!».
Legge, io taccio, non so cosa fare con le mani. Mi aggiusto gli occhiali da sole, un modello vintage con la montatura di vinile giallo e le lenti polarizzate azzurre.
«Guardi qua, non sa chi è Giuseppa del Grande Fratello 8, le pare possibile? Non sa dire chi ha vinto Amici del 2009», sembra davvero sorpreso. Poi sobbalza. Mi guarda dritto negli occhi. «Mombelli, lei non conosce il nome dello stilista di Alessia Marcuzzi!». Getta i fogli sul tavolo con aria sconfitta: «Mombelli, qui siamo al grado zero, ma scusi, perché vuole essere infelice? Che faceva mentre il nostro ministero si dannava l’anima per dare al paese un divertimento edificante, corroborante, educativo?».
«Non so, forse leggevo un libro», dico, ma subito mi mordo le labbra, avrò sbagliato?
Lui prende un’aria ancor più severa, imposta la voce, come quando si chiude un discorso e se ne inizia un altro, molto più importante: «Mombelli, parliamoci chiaro, questo è un centro di rieducazione socioculturale all’avanguardia, noi vogliamo recuperare i nostri ospiti alla spensieratezza, i senza speranza li mandiamo altrove. Però qui bisogna impegnarsi, collaborare. Le sue analisi parlano chiaro, lei ha valori molto fuori dalla norma, lei si colloca, Mombelli, tra snob e...».
Lascia in sospeso la frase come temesse la parola che sta per dire, poi prende fiato, come una rincorsa: «Tra snob e intellettuale, Mombelli!».
Anche con gli occhiali da sole non riesco a sostenere il suo sguardo.
«Mombelli, se vuole il mio parere, con lei perdiamo tempo. Però ci sono elementi a suo favore. È il primo controllo, quindi forse l’abbiamo presa in tempo. Poi non ci sono note disciplinari a suo carico, anche questo aiuta. Io ci provo, Mombelli, ma lei ci deve aiutare, ha capito? Ora vada, ci rivedremo presto».
Il reparto è in subbuglio. Un tale Vernone è uscito dall’isolamento, ci stava da cinque giorni, prima che arrivassi qui. Cammina nel corridoio con le gambe un po’ divaricate, a vederlo da lontano sembra un pattinatore. Non parla. Di mestiere fa il grafico, forse l’artista. Dicono che un suo lavoro sia esposto a Stoccolma, o Oslo, non ricordo, nella sezione Avanguardie Italiane.
Il corridoio è affollato, ma si apre come le acque del Mar Rosso per lasciarlo passare, per permettergli di raggiungere la sua stanza. Sempieri gli passa accanto, rispettoso, ma siccome c’è un inserviente che osserva la scena grida subito: «Montabbano sòno!».
Poi mi si avvicina, circospetto. «Cose terribili», mi dice. In cinque giorni di isolamento il povero Vernone ha dovuto vedere senza interruzione, giorno e notte, a volume altissimo e su uno schermo panoramico La soldatessa alle grandi manovre, L’insegnante va in collegio, La liceale, il diavolo e l’acquasanta, L’insegnante viene a casa, La liceale seduce i professori, L’insegnante al mare con tutta la classe, La liceale nella classe dei ripetenti, L’infermiera di notte e La poliziotta della squadra del buon costume, tutti con Alvaro Vitali. Cinque giorni e cinque notti, senza interruzione. «È così che ti piegano», dice.
Sono qui da una settimana. Solo lentamente mi accorgo della complessità di questo istituto e più in generale dell’ambizione del disegno che lo guida. Oltre alle sedute comuni di aggiornamento, che si tengono nell’auditorium e che prevedono la proiezione di opere che ci siamo persi durante la nostra vita asociale di prima, ci sono corsi, seminari, conferenze. Chi vuole può far domanda per brevi turni lavorativi, sono piccoli lavori manuali poco impegnativi, ma tengono occupati. Molti ospiti fanno di tutto per riempirsi la giornata, hanno programmi fittissimi, orari ferrei. Pagliani, un famoso traduttore dal tedesco con una lista di pubblicazioni lunga così, grande esperto di Goethe, non si perde una lezione, ha seguito tutte le ventidue puntate del seminario «Storia sociale delle veline di Striscia la notizia» e fa parte del gruppo «Edwige Fenech io ti amo»...

Indice dei contenuti

  1. Rapito dai marziani
  2. Primo rapporto
  3. Sereni d’Italia
  4. Secondo rapporto
  5. Terzo rapporto
  6. L’odore del napalm
  7. Quarto rapporto
  8. Montabbano sòno!
  9. Quinto rapporto
  10. Sesto rapporto
  11. Personal PCI
  12. Settimo rapporto
  13. Fondata sul lavoro
  14. Ottavo rapporto
  15. Nono rapporto
  16. Il paese dei moderati
  17. Decimo rapporto
  18. Undicesimo rapporto
  19. Dodicesimo rapporto
  20. Tredicesimo rapporto
  21. Voi siete qui (sul territorio)
  22. Quattordicesimo rapporto
  23. Chilometri zero
  24. Quindicesimo rapporto
  25. Il giudizio universale (un blues)
  26. Bibliografia ragionata