Il cibo come cultura
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Il cibo come cultura

  1. 186 pagine
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Il cibo come cultura

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Informazioni sul libro

Un saggio avvincente che approfondisce e indaga un tema tra i più illuminanti per comprendere la storia delle società umane e la loro evoluzione. Jacques Le Goff Il cibo è cultura perché ha inventato e trasformato il mondo. È cultura quando si produce, quando si prepara, quando si consuma. È il frutto della nostra identità e uno strumento per esprimerla e comunicarla. Una grande opera di sintesi da uno dei massimi storici dell'alimentazione.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788858102091
Argomento
Arte

Guida alla lettura

Costruire il proprio cibo

La contrapposizione Cultura/Natura, elemento fondante (in tutta la sua ambiguità) dell’identità e dell’auto-rappresentazione dei gruppi umani, è un tema classico della letteratura antropologica. In particolare sui modelli di comportamento alimentare, il punto di partenza è inevitabilmente Claude Lévi-Strauss, che a queste riflessioni dedicò i primi tre tomi delle Mythologiques (Le cru et le cuit, 1964; Du miel aux cendres, 1966; L’origine des manières de table, 1968), pubblicati a Parigi da Plon. Le traduzioni italiane sono uscite per i tipi del Saggiatore a Milano (Il crudo e il cotto, 1966; Dal miele alle ceneri, 1970; Le origini delle buone maniere a tavola, 1971).
Sull’economia preistorica, e la valutazione dello sviluppo agricolo in termini di risposta a nuove necessità, si può leggere Marshall Sahlins, L’economia dell’età della pietra. Scarsità e abbondanza nelle società primitive, Milano, Bompiani, 1980 (orig. Stone Age Economics, 1972).
Luca Cavalli Sforza ha messo in luce, da genetista, la confluenza dei dati biologici con quelli linguistici e archeologici nella mappatura dell’espansione sulla Terra delle società agricole. Per un approccio sintetico a tale prospettiva si può vedere Chi siamo? La storia della diversità umana, Milano, Mondadori, 1993 (scritto, con intento anche divulgativo, a quattro mani con Francesco Cavalli Sforza).
Un’ampia scelta di racconti «di fondazione», tratti dalle tradizioni di diverse aree culturali del mondo, molti dei quali relativi al rapporto fra Uomo e Natura, fu proposta da Raffaele Pettazzoni, Miti e leggende, voll. I-IV, Torino, Utet, 1948-63. In seguito, Giovanni Filoramo ha riorganizzato questi materiali per gruppi tematici: vedi in particolare In principio. I miti delle origini, e Quando le cose erano vive. Miti della natura, editi sempre da Utet rispettivamente nel 1990 e nel 1991.
Nel libro La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Roma-Bari, Laterza, 1993, ho messo in luce la persistenza di queste contrapposizioni (Cultura/Natura, Domestico/Selvatico) ancora in tempi storici recenti, e in qualche modo fino ai nostri giorni.
Sul processo storico di «civilizzazione», inteso come progressivo allontanamento dallo «stato di natura», è inevitabile rifarsi al discusso, ma sempre fondamentale lavoro di Norbert Elias, Über den Prozess der Zivilisation, I, Wandlungen des Verhaltens in den wetlichen Oberschichten des Abendlandes, Frankfurt, Suhrkamp, 19692, con introduzione aggiunta al testo originale del 1936 (trad. it. La civiltà delle buone maniere, Bologna, Il Mulino, 1982).
Le pratiche di conservazione del cibo non hanno goduto di attenzioni particolari nelle ricerche di storici e antropologi. Fra i non molti lavori dedicati all’argomento, segnalo il volume miscellaneo Food conservation. Ethnological studies, a cura di Astri Riddervold e Andreas Ropeid, London, Prospect Books, 1998, che affronta l’argomento non solo dal punto di vista tecnico ma anche nelle implicazioni culturali e sociali. Una ricerca puntuale, centrata sulla conservazione come fulcro del sistema alimentare e, più in generale, del sistema di vita e dei rapporti sociali, familiari e di genere di un’intera società, è stata dedicata alle tradizioni libanesi da Aïda Kanafani-Zahar, Mune. La conservation alimentaire traditionnelle au Liban, Paris, Éditions de la Maison des sciences de l’homme, 1994. Meno impegnativi sul piano della riflessione teorica ma estremamente utili come repertorio di tecniche di conservazione tradizionali sono i volumi della serie Atlante dei prodotti tipici prodotti dall’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale sotto la guida di Corrado Barberis (I formaggi, I salumi, Le conserve, tutti pubblicati da Agra/Rai Eri). Dal terzo dei volumi citati, p. 7, ho tratto la riflessione di Girolamo Sineri.
Altri libri citati: Edward Hyams, E l’uomo creò le sue piante e i suoi animali. Storia della domesticazione, Milano, Mondadori, 1973 (volume di carattere divulgativo, che raccoglie due opere dell’autore, Plants in the service of man e Animals in the service of man, 1971-1972); Fernand Braudel, Le strutture del quotidiano, Torino, Einaudi, 1982, primo volume dell’opera Civiltà materiale, economia e capitalismo (orig. Les structures du quotidien: le possible et l’impossible, Paris, Colin, 1979); Rodney Hilton, Bond men made free. Medieval peasant movements and the English rising of 1381, London, Temple Smith, 1973.

L’invenzione della cucina

Le considerazioni di Françoise Sabban sulla diversa percezione dell’idea di «cucina» nel mondo cinese rispetto alla tradizione occidentale si possono leggere nella Presentazione al vol. II dell’Atlante dell’alimentazione e della gastronomia, a cura di Massimo Montanari e Françoise Sabban, Torino, Utet, 2004, pp. vii-viii. A quest’opera ci si potrà riferire per un quadro tendenzialmente completo, in ogni caso ampiamente rappresentativo delle tradizioni alimentari e delle cucine nelle varie parti del mondo, sotto il duplice profilo dello sviluppo storico e della connotazione ambientale e culturale.
Il lavoro di Jack Goody al quale ho fatto riferimento è Cooking, cuisine and class: a study in comparative sociology, Cambridge, Cambridge University Press, 1982. Si tratta di un’opera (non disponibile in traduzione italiana) estremamente importante sul piano metodologico, che introduce in maniera forte nel dibattito antropologico il dato sociale (ossia le differenze di classe) proponendolo come fattore decisivo nella determinazione delle culture alimentari, e insistendo sulla diversità sostanziale, nello sviluppo e nella capacità di affermazione di tali culture, fra tradizioni orali e tradizioni scritte. Anche tenendo conto di tali suggestioni ho recentemente proposto alcune riflessioni (in parte riportate in queste pagine) sul rapporto fra cultura popolare e cultura di élite nella costruzione dei modelli alimentari nelle società tradizionali europee e in particolare nell’Italia medievale (cfr. Cucina povera, cucina ricca, in «Quaderni medievali», 52, 2001, pp. 95-105, ripubblicato con piccole modifiche, con il titolo La cucina scritta come fonte per lo studio della cucina orale, in «Food and History», 1/1, 2003, pp. 251-259).
Sul recupero della Natura nel modello alimentare degli eremiti ho scritto in Vegetazione e alimentazione, in L’ambiente vegetale nell’alto Medioevo, Spoleto, Cisam, 1990, pp. 281-322.
Sull’importanza simbolica delle tecniche di cottura, come asse culturalmente significativo delle attività di cucina, è da leggere il piccolo ma fondamentale saggio di Claude Lévi-Strauss, Le triangle culinaire, pubblicato in «L’Arc», 26, 1965, pp. 19-29 (e riproposto ora in «Food and History», 2/1, 2004, pp. 9-19), poi rielaborato e ampliato nel citato lavoro L’origine des manières de table (1968). Nel mio La fame e l’abbondanza, p. 36, ho suggerito una possibile utilizzazione di questi schemi antropologici da parte dello storico, con riferimento alla biografia di Carlo Magno che anche in queste pagine è ampiamente utilizzata. Una interessante «rivisitazione» di Lévi-Strauss alla luce dello sviluppo storico della cucina francese è stata compiuta da Jean-Pierre Corbeau e Jean-Pierre Poulain, Penser l’alimentation. Entre imaginaire et rationalité, Toulouse, Privat, 2002, pp. 157-187 (dello stesso Poulain segnalo Sociologies de l’alimentation, Paris, Puf, 2002, buona messa a punto e rassegna critica degli studi sociologici e antropologici sul tema della cultura alimentare).
Sui rapporti fra gastronomia e dietetica sono fondamentali gli studi di Jean-Louis Flandrin. In particolare rimando (anche per la loro maggiore accessibilità al lettore italiano) ai due saggi Condimenti, cucina e dietetica tra XIV e XVI secolo e Dalla dietetica alla gastronomia, o la liberazione della gola, entrambi contenuti in Storia dell’alimentazione, a cura di Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari, Roma-Bari, Laterza, 1997, rispettivamente alle pp. 381-395 e 534-551. Con riferimento più specifico alla documentazione italiana, ho ripreso questi temi nel volume (scritto a quattro mani con Alberto Capatti) La cucina italiana. Storia di una cultura, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 145 sgg.

Il piacere (e il dovere) della scelta

Le implicazioni culturali della natura onnivora dell’uomo (che di per sé comporta meccanismi di scelta nella determinazione dei modelli di consumo) sono state analizzate dal sociologo Claude Fischler: il suo libro L’homnivore (Paris, Odile Jacob, 1990) è tradotto anche in italiano (L’onnivoro: il piacere di mangiare nella storia e nella scienza, Milano, Mondadori, 1992).
«Strutture del gusto» è una nozione elaborata e impiegata da Jean-Louis Flandrin in molti lavori. Esemplare del suo sistema di analisi può essere il saggio Il gusto e la necessità, Milano, Il Saggiatore, 1994 (orig. Le goût et la nécéssité: sur l’usage des graisses dans les cuisines d’Europe occidentale, in «Annales ESC», XXXVIII, 1983, pp. 369-401).
Sulla cucina medievale negli ultimi anni si è scritto molto, talvolta per riconoscervi le radici, vere o presunte, della nostra cultura, talvolta per evidenziarne l’alterità rispetto ai modelli attuali. Un buon quadr...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Costruire il proprio cibo
  3. Natura è cultura
  4. Anche la natura è cultura
  5. Giocare col tempo
  6. Giocare con lo spazio
  7. Conflitti
  8. L’invenzione della cucina
  9. Fuoco, cucina, civiltà
  10. Cucina scritta e cucina orale
  11. Anticucina
  12. Arrosto e bollito
  13. Piacere e salute
  14. Il piacere (e il dovere) della scelta
  15. Il gusto è un prodotto culturale
  16. Divagazione. Il gioco della «cucina storica»
  17. Il gusto è un prodotto sociale
  18. Dimmi quanto mangi...
  19. ...e che cosa
  20. Cibo e calendario: una dimensione perduta?
  21. Dalla geografia del gusto al gusto della geografia
  22. Il paradosso della globalizzazione
  23. Cibo, linguaggio, identità
  24. Mangiare insieme
  25. La grammatica del cibo
  26. Sostituzioni, incorporazioni
  27. Identità, scambio. tradizioni e «origini»
  28. Radici (una metafora da usare fino in fondo)
  29. Guida alla lettura