1.
«Un fascismo americano»
e la «Fortezza Europa»
[7.2.42] La sera KLINE, che ha fatto con Steinbeck un film sul Messico (musica Eisler). Ritiene che ci si possa aspettare una certa resistenza al fascismo da parte della mentalità democratica degli americani. Leonhard Frank e Kortner erano scettici. Ora, senz’altro è fuor di dubbio che qui esiste qualcosa come un «comportamento democratico», probabilmente perché l’intera società è stata improvvisata, non c’è stato il feudalesimo, il militarismo era superfluo. Ciò significa però soltanto che qui la lotta di classe si svolge senza affettazioni salottiere, cioè il vincitore si astiene dal dimostrare oltre tutto alla vittima il suo disprezzo aggrottando le sopracciglia e il profitto viene buttato via in maniera rozza. Un fascismo americano terrebbe conto di queste forme, o meglio mancanze di forma, ed entro questi limiti sarebbe democratico alla maniera americana.
Con questa considerazione, Bertolt Brecht, esule negli Stati Uniti e attento osservatore della realtà politica di quel Paese, non soltanto del mondo degli esuli, ipotizzava che quel Paese avrebbe potuto imboccare una strada sua propria verso una forma di fascismo quantunque con esteriori e vuote ‘forme’ democratiche. Presidente era ancora Roosevelt, gli Usa erano – da meno di due mesi – in guerra con il Giappone e la Germania.
Un osservatore attento però poteva cogliere aspetti della realtà velati dalla propaganda e dall’impegno bellico. Per esempio l’esistenza di correnti di opinione, anche ben rappresentate nei vertici militari (il generale Patton, ad esempio) che consideravano – come osservò Thomas Mann in un celebre discorso tenuto a Hollywood nel giugno 1948 – follia combattere al fianco della Russia contro la Germania anziché fare il contrario: al fianco della Germania contro la Russia. L’esistenza di tali correnti d’opinione e gruppi di pressione era ben nota anche nella Germania nazista. Ne parlò in un efficace romanzo popolare lo scrittore britannico Ken Follett (Notte sull’acqua). Il maccarthismo, in conseguenza del quale Mann, Moses Finley e tanti altri lasciarono gli Stati Uniti, fu un altro segnale.
Ma oggi la questione è diventata di dominio comune. Col rischio che un ‘buon’ fascismo – in quanto americano! – venga deglutito e metabolizzato anche dalla felix Europa, impotente e subalterna come potenza sullo scacchiere mondiale.
Ma veniamo alla cronaca.
Cronaca del 29 aprile 2018. Dal Messico, masse di persone premono sul confine californiano, nel vano tentativo di entrare negli Usa: sono soprattutto donne e minori. In contemporanea, il presidente Donald Trump tiene un comizio a San Diego, nel Sud della California, a ridosso del confine messicano. E urla: «Fanno tutto questo casino [lui parla così, come quando vantò, in campagna elettorale, i suoi genitali] per entrare da noi!». La folla che lo ascolta, di rimando, lo incita ululando imperativamente: «Fai il muro!».
È una scena di tipo hitleriano, non solo nei contenuti ma anche nell’invasamento collettivo della folla in dialogo ‘mistico’ col capo che parla a ruota libera. «Krieg oder Frieden?» chiedeva, in trance, il Führer alla massa nelle sue adunate (coreograficamente più curate di quelle del villanzone-miliardario), e la massa rispondeva ululando: «Krieg!». (Più contadinesco, il Duce poneva la questione nell’alternativa «Burro o Cannoni».) Del resto è noto che, tra le formazioni che hanno sostenuto Trump per portarlo alla presidenza, c’è stato anche il piccolo e repugnante partito nazista americano, oltre al Ku Klux Klan.
Cronaca dello stesso giorno (stesso notiziario) dalle coste italiane. 98 migranti in gran parte eritrei, scampati per un soffio alle motovedette libiche, rivelano, in una lunga intervista, i metodi dei mercanti di schiavi operanti in quel che resta della Libia. Chi non paga viene subito venduto schiavo e, per impedirgli la fuga, gli vengono inferte ferite con armi da taglio ai piedi. Il governo Minniti-Gentiloni e ora il governo Salvini hanno trattato con uno dei sedicenti governi libici per arginare il flusso di migranti verso l’Italia, pur sapendo di condannare alla schiavitù e alla tortura masse di esseri umani. L’obiettivo di Minniti era di vincere le elezioni italiane del 4 marzo 2018. Il risultato non sembra sia stato raggiunto, la vergogna sì.
Cronaca di mercoledì 16 maggio 2018. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ricevuto alla Casa Bianca sindaci, sceriffi e parlamentari della California. Dopo averli a lungo arringati ha così concluso: «Ci sono degli individui che entrano nel Paese o cercano di entrare, perché ne stiamo fermando molti. Questi non sono persone, sono animali. E noi li stiamo buttando fuori a un ritmo mai visto prima». Quando erano certi che Trump non sarebbe stato eletto mai e poi mai, i giornalisti nostrani lo ridicolizzavano, ora – in quanto operatori in Paese vassallo – ne riferiscono con aria compunta il cosiddetto pensiero; e quando possono lo nascondono; magari in pagine molto, molto interne e sotto titoli insulsi. È il celebre, diuturno, eroico conflitto tra spina dorsale e pagnotta. Ma la pratica nazisteggiante di sequestrare i minori messicani immigrati non poteva passare inosservata, e neppure l’arresto di chi chiedeva: «Free the children».
In Francia il governo instaurato da Macron è impegnato, da quando è sorto, ad attuare, in sostanza, la politica auspicata da Marine Le Pen per quel che riguarda l’immigrazione. Cittadini francesi (una guida alpina, da ultimo) che aiutano migranti (una donna incinta, da ultimo) a passare – attraverso le montagne – dall’Italia in Francia vengono arrestati. Il 4 aprile dell’anno passato era stata processata Francesca Peirotti, cittadina italiana originaria di Cuneo e residente in Francia: il reato imputato era di aver trasportato dall’Italia alla Francia otto stranieri senza documenti. Lavorava per l’associazione umanitaria «Habitat et citoyenneté». Era stata arrestata l’8 novembre 2016. Settant’anni fa eravamo noi che tentavamo, proprio tra quelle montagne, «il cammino della speranza», come s’intitolava un notevole film di Pietro Germi (1950).
È chiusa la frontiera di Ventimiglia tra Italia e Francia; i migranti sono accampati su suolo italiano nel peggior degrado. È sbarrata allo stesso modo la via del Brennero. In Francia c’è il fringuello neoliberista Macron, in Austria c’è il paranazista Kurz. Risultato identico. Superfluo completare il quadro con lo sbarramento inglese a Calais, con le prodezze dell’hortysta Orbán in Ungheria o con i clerico-fascisti giunti al potere in Polonia, o con l’ignominiosa conquista del Viminale da parte dei ‘gorilla’ leghisti.
La diagnosi-previsione di Bertolt Brecht era espressa in forma elegante, timida, tutto sommato. La «fortezza Europa» sognata dal Führer ha fatto intanto passi da gigante. La «dichiarazione universale dei diritti dell’uomo», che sancisce tra l’altro il diritto ad allontanarsi dal proprio Paese, è carta straccia. Anche nel Paese che alla fine del Settecento codificò i Droits de l’homme; o, ancora peggio, nel Paese che, ribellandosi nel 1776 al dominio inglese, iscrisse nella propria Costituzione il diritto alla «felicità».