L'equivoco della famiglia
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L'equivoco della famiglia

  1. 208 pagine
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L'equivoco della famiglia

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In Italia il discorso pubblico sulla famiglia è spesso intessuto di conflitti ideologici, ambiguità, equivoci.

In questi anni i modi di fare e intendere la famiglia sono stati oggetto di cambiamenti, anche radicali. L'invecchiamento delle parentele ha trasformato i rapporti tra le generazioni. Separazioni e divorzi hanno modificato i confini delle famiglie. Le tecniche di riproduzione assistita hanno portato nuovi modi di diventare genitori. L'occupazione femminile ha fatto emergere l'importanza del lavoro non pagato delle donne. Le coppie dello stesso sesso hanno chiesto e ottenuto riconoscimento.

A fronte di questi cambiamenti le reazioni sono spesso di paura, di nostalgia del passato, quando non di condanna. La famiglia è chiamata in causa come soluzione di tutti i problemi ma anche come fonte di problemi essa stessa: i giovani che tardano a diventare autonomi, le donne che non fanno abbastanza figli, i padri troppo assenti oppure troppo presenti, le figlie che non sono più disponibili a occuparsi a pieno tempo dei genitori divenuti fragili. In compenso, le politiche sociali per le famiglie concretamente esistenti sono molto scarse, con conseguenze gravi per il futuro di tutti.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858129333

1.
Famiglie. Sostantivo plurale

Forme di famiglia. Tra norme e pratiche relazionali

Spazio insieme fisico, relazionale e simbolico apparentemente più noto e comune, al punto da essere usato come metafora per tutte quelle situazioni che hanno a che fare con la spontaneità, con la naturalezza, con la riconoscibilità senza bisogno di mediazioni – «siamo come una famiglia», «un discorso famigliare», una «persona di famiglia» –, la famiglia si rivela uno dei luoghi privilegiati di costruzione sociale della realtà, a partire dagli eventi e rapporti apparentemente più naturali. È entro i rapporti familiari, infatti, così come sono socialmente definiti e normati, che gli stessi eventi della vita individuale che più sembrano appartenere alla natura ricevono il proprio significato e tramite questo vengono consegnati all’esperienza individuale: il nascere e il morire, il crescere, l’invecchiare, la sessualità, la procreazione.
Lo stesso linguaggio con cui si nominano le trasformazioni nei modi di fare famiglia, i nuovi processi di costruzione della realtà, implicitamente conferma la forza normativa della codificazione famigliare. Si parla infatti di «relazioni extra- o pre-coniugali» per nominare i rapporti sessuali e affettivi tra persone non legate da vincoli matrimoniali, di nascite «naturali» per distinguerle da quelle che continuano ad essere definite «legittime» perché avvengono entro un matrimonio, di «famiglie di fatto» per quelle che non chiedono, o non hanno, sanzione legale, di «famiglia incompleta» o «spezzata» quando si tratta di famiglie con un solo genitore, con ciò alludendo a un preciso criterio, oltre che immagine, di «interezza». Analogamente, si parla di «famiglie ricostruite» per designare quelle che si formano tramite un’unione in cui uno o entrambi i coniugi sono divorziati o vedovi.
D’altra parte, anche in una stessa società ed epoca possono convivere modi di definire la famiglia diversi non solo per motivi di valore, ma per esigenze burocratiche, amministrative, di politiche sociali. Così come gli individui possono identificare diversamente i confini della famiglia – a seconda che parlino di coloro con cui vivono o della famiglia da cui provengono –, anche a livello normativo la famiglia anagrafica non coincide necessariamente con quella definita dal codice civile e questa con quella definita a fini fiscali o di politiche sociali.
Proprio questo statuto incerto delle definizioni e del «vocabolario» famigliare è un indicatore non solo della variabilità storica e sociale in cui si è fatta e si fa famiglia, ma anche della molteplicità dei discorsi che definiscono che cosa una famiglia è: discorsi religiosi, morali, legali, delle tradizioni culturali, delle politiche sociali, dei regolamenti amministrativi. Essi individuano relazioni e producono norme familiari tra loro più o meno diverse e talvolta anche incoerenti, oltre che differenti da un paese all’altro.
Proprio perché ha a che fare con rapporti e vicende che toccano le dimensioni più profonde, e insieme più apparentemente «universali», della vicenda umana, la famiglia costitui­sce il materiale privilegiato di cui sono costruiti gli archetipi sociali, i miti.
Non si tratta sempre di archetipi e di miti positivi. Accanto alla «sacra famiglia» della tradizione cristiana vi sono le visioni utopiche di un passato, e più spesso di un futuro, felice perché senza famiglia – dalla Repubblica di Platone alle utopie sociali di Fourier, alle storicamente ricorrenti utopie comunitarie. Del resto, lo stesso cristianesimo delle origini era per lo meno ambivalente nei confronti della famiglia, intesa anche negativamente come vincolo, come parzialità.
Analogamente, accanto alle immagini anche contemporanee della famiglia-rifugio, della famiglia luogo dell’intimità e dell’affettività, spazio dell’autenticità, archetipo della solidarietà, della privatezza, stanno le immagini della famiglia come luogo dell’inautenticità, dell’oppressione, dell’obbligo, dell’egoismo esclusivo, la famiglia come generatrice di mostri, di violenza, la «famiglia che uccide».
Possiamo rintracciare queste diverse immagini, che convivono fianco a fianco, spesso negli stessi individui, non solo nelle conversazioni quotidiane, ma anche nell’immaginario che sottende la legislazione e le politiche sociali: vuoi che si parli di «recuperare i valori familiari», di «incoraggiare la solidarietà famigliare», o viceversa che si parli di una famiglia che «espelle» i propri membri malati o bisognosi.
Ciò che accomuna tutte queste diverse immagini, pur nella loro contraddittorietà, è da un lato la loro astoricità, dall’altro il fatto che sembrano considerare la famiglia come una realtà a tutto tondo, omogenea al proprio interno e rinvenibile come tale in ogni contesto sociale e storico.
Gli studi antropologici ed etnologici, e da ultimo di storia sociale, hanno mostrato la varietà di esperienze familiari nel passato, contemporaneamente indicando l’impossibilità di ricostruire una vicenda unitaria di trasformazioni, all’interno della quale rintracciare il filo unitario della «famiglia». La storia umana presenta un pressoché inesauribile repertorio di modi di organizzare e attribuire significato alla generazione e alla sessualità, all’alleanza tra gruppi e a quella tra individui – di costruire, appunto, famiglie. Nulla di meno «naturale» e di più socialmente costruito della famiglia, verrebbe da dire.
L’esperienza famigliare, che pure sembra la più comune nel tempo e nello spazio, differenzia perciò più o meno profondamente le varie culture e gruppi, ciascuno dei quali, quindi, è anche toccato diversamente dalle trasformazioni sociali.
Unità dei diversi in misura probabilmente maggiore di qualsiasi altra istituzione sociale, la famiglia è anche il luogo sociale e simbolico in cui le differenze di sesso e di generazione sono assunte come fondanti e contemporaneamente costruite come tali.
Non si tratta solo della necessità fisiologica della riproduzione, tanto meno della necessità di legittimare la sessualità. Piuttosto, nella famiglia il riconoscimento che l’umanità ha due sessi diviene principio organizzativo sociale complessivo, e struttura simbolica che ordina i rapporti sociali e i destini individuali. Luogo in cui i due sessi si incontrano e convivono, la famiglia è infatti anche lo spazio storico e simbolico nel quale, e a partire dal quale, si dispiega la divisione del lavoro, degli spazi, delle competenze, dei valori, dei destini personali di uomini e donne, anche se ciò assume forme diverse nelle varie società. È innanzitutto a livello della famiglia che l’appartenenza sessuale diviene un destino sociale, implicitamente o esplicitamente normato, e viene collocata entro una gerarchia di valori, potere, responsabilità. Per questo la famiglia è stata a lungo, ed è in larga parte tuttora, l’istituzione base dell’eteronormatività, più ancora che dell’eterosessualità. Per questo ogni teoria che argomenta sia la non naturalità dei ruoli di genere, sia la possibilità che anche persone dello stesso sesso possano formare una famiglia, può essere percepita come un pericolo per la sopravvivenza stessa della famiglia.
D’altra parte, proprio l’immissione della dimensione amorosa nelle relazioni famigliari ha non solo minato le basi della gerarchia tra i sessi (e tra le generazioni), ma anche indebolito l’eteronormatività come unica regola di formazione e di riconoscimento della coppia, della generazione, della famiglia.

Famiglie in movimento

Tra i mutamenti che hanno interessato i modi di fare famiglia in Occidente e anche in Italia se ne possono individuare cinque principali.
Il primo riguarda i rapporti e le identità di genere. Il modo in cui viene oggi definita la «normalità» maschile e soprattutto femminile, quello che ci si attende che gli uomini e le donne facciano, sono molto cambiati rispetto anche a solo cinquant’anni fa, provocando mutamenti sia nell’organizzazione quotidiana delle famiglie sia nei rapporti tra uomini e donne, anche se con intensità diversa da un paese all’altro.
Il secondo mutamento riguarda i rapporti tra le generazioni. È cambiata la demografia delle relazioni generazionali, in seguito ai due fenomeni responsabili dell’invecchiamento della popolazione: una fecondità molto contenuta a fronte di un innalzamento delle speranze di vita. Si hanno meno fratelli/sorelle ma più nonni (ed è più facile essere nonni a lungo). Sono anche mutati i rapporti di potere e di autorità tra le generazioni, come segnala la consapevolezza che i bambini sono soggetti di diritti a pieno titolo.
Il terzo fenomeno riguarda il diverso modo in cui i paesi occidentali, in particolare quelli europei, integrano a livello normativo la pluralizzazione dei modi di fare e intendere la famiglia.
Il quarto fenomeno riguarda la messa in discussione dell’eterosessualità ed eteronormatività come fondamento della famiglia. Paradossalmente, quest’ultimo fenomeno è in larga parte debitore di processi che hanno modificato dall’interno la famiglia eterosessuale, con la centralità dell’amore, lo scollamento tra sessualità e riproduzione e tra genitorialità e riproduzione biologica.
Il quinto fenomeno, infine, riguarda la crescente centralità che la famiglia ha assunto nel dibattito e nell’intervento pubblico. La famiglia non è mai stata una questione puramente privata, naturalmente. Ma l’epoca in cui viviamo è una di quelle in cui il discorso e l’intervento pubblico sulla famiglia – che si tratti di norme giuridiche o di politiche sociali – appare in modo più esplicito, motivato da interessi e preoccupazioni che vanno dal campo demografico a quello dell’investimento nel capitale umano, dal riconoscimento di diritti di libertà a preoccupazioni per la stabilità e la coesione sociale.
Non si tratta di fenomeni lineari e di significato univoco. Le direzioni prese dai vari paesi possono differire, talvolta anche in modo notevole. Entro uno stesso paese possono esservi disomogeneità e persino contraddizioni tra norme e circostanze obiettive ed anche tra insiemi di norme, o di politiche, sviluppati in settori diversi.
Infine, si sono moltiplicate sia le sedi normative sia gli attori che elaborano una propria visione della famiglia e competono per farla valere anche sul piano normativo, oltre che valoriale. La globalizzazione dell’informazione e i fenomeni migratori, poi, hanno reso accessibile al di fuori della ristretta cerchia degli studiosi l’esperienza dei diversi modi sociali e istituzionali, oltre che individuali, di definire la famiglia e i rapporti tra i sessi e le generazioni. Potremmo dire che forse mai prima d’ora il che cosa sia la famiglia è stato oggetto di così ampio dibattito pubblico, interrogando anche l’ovvietà del dato per scontato in cui ciascuno fa e vive la propria famiglia.
A fronte di questa centralità della famiglia nel dibattito pubblico, a livello pratico, tuttavia, almeno in Italia, la normativa giuridica rimane rigida e le politiche sociali continuano in larga misura a dare per scontata una famiglia che non è più il modello prevalente, sia a livello demografico che a livello comportamentale. Ci si aspetta che le famiglie possano continuare a far fronte alle domande di sostegno economico e di cura che provengono dai loro componenti, salvo colpevolizzarle quando non ci riescono e insieme negarne la capacità a coloro che non rientrano in quel modello scontato.
Ciò che dovrebbe importare, dal punto di vista non solo della coesione sociale, ma anche dello sviluppo delle capacità umane di ciascuno, è che venga coltivata, sostenuta e riconosciuta la disponibilità ad instaurare rapporti di responsabilità e reciprocità duraturi, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, ma anche di quelle che l’età ha reso fragili. Senza disponibilità generativa, ovvero senza la disponibilità e capacità di fare spazio ad altri, accompagnandoli nel mondo perché possano percorrere la propria strada, non si dà famiglia, qualunque sia la forma che essa prende. Anche questa capacità, tuttavia, va alimentata: valorizzandola là dove si manifesta piuttosto che decidere a priori dove è legittimo che si manifesti e dove no, regolandone le obbligazioni cui dà luogo, costruendo un contesto favorevole e sostenitivo, oltre che di contenimento e di riparazione dei danni che la mancanza di capacità generativa può provocare.

Non solo «papà, mamma e bambini»

La famiglia è qualcosa di un po’ più complesso che «papà, mamma e bambini», secondo una visione tradizionale. Non ci sono sempre bambini/figli, anche se la coppia è formata da un uomo e una donna. I figli possono arrivare per via non biologica, come in caso di adozione o di riproduzione assistita con donatore o donatrice. Può mancare un genitore. Si possono avere entrambi i genitori ma vivere alternatamente con l’uno e l’altra, oppure prevalentemente con uno solo. Si può essere in un rapporto matrimoniale o comunque di coppia con una persona, ma avere (avuto) figli da un’altra, continuando ad esserne attivamente genitori, così come si può svolgere una funzione genitoriale nei confronti di figli non propri.
E poi ci sono i parenti, di sangue o acquisiti. In alcune culture questi sono (o erano) più importanti dei rapporti di coppia, richiedendo priorità nell’appartenenza e solidarietà. Lo stesso codice civile italiano, quando si tratta di definire le obbligazioni famigliari, utilizza una definizione di famiglia tra le più estese, secondo cui non solo gli zii hanno obblighi verso i nipoti, ma anche generi e nuore verso i suoceri, a dimostrazione che poco c’entra la natura, e molto le norme. Norme che cambiano da un’epoca all’altra e da una società all’altra, da una religione all’altra e, nel tempo, all’interno della stessa Chiesa cattolica, così come cambia il modo in cui si intendono e vivono i rapporti tra coniugi, genitori e figli.
Uno dei cambiamenti più potenti ha riguardato l’amore – piuttosto che la convenienza, l’interesse, l’alleanza tra gruppi, la necessità di riproduzione di un lignaggio o della forza lavoro famigliare – come fondamento sia del rapporto di coppia coniugale sia della dimensione generativa. Un cambiamento che non è avvenuto dappertutto, come sappiamo. Anche dove ha avuto luogo, non sempre è stato facile realizzarlo compiutamente, perché è molto esigente per quanto riguarda i rapporti famigliari. Implica amore per il benessere e la libertà dell’altro/a, accoglienza paziente ma anche capacità di lasciare andare, intimità ma anche coscienza della propria e altrui individualità e separatezza.
È questo radicale cambiamento nel fondamento delle relazioni famigliari a motivare giudizi negativi sui matrimoni combinati e ancor più forzati, su atteggiamenti genitoriali troppo autoritari/padronali, o anaffettivi, o incapaci di distinguere tra sé e i figli, e così via. E viceversa a legittimare la richiesta che vengano riconosciuti come famigliari anche rapporti di coppia e di filiazione differenti da quelli che avvengono tra persone di sesso diverso e per via biologica, ma che si richiamano anch’essi al valore, e alla scelta, d’amore e generatività.
Tutto questo, ed altro ancora, non può essere rinchiuso nella formula apparentemente auto-evidente di papà, mamma e bambini. Una formula che nasconde ed esclude, più che motivare, una riflessione su che cosa sia una famiglia oggi, sul suo essere oggetto di elaborazione e costruzione continua, a livello individuale, di coppia, ma anche macro-sociale e storico.

Il dono dell’amore

Si definisce dono ogni prestazione di beni o servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone. Gli aspetti discriminanti rispetto allo scambio mercantile, quindi, sono almeno tre. Il primo concerne la libertà. Il dono è libero, non vi è nessun vincolo e nessun contratto che ci spinga a donare o a ricambiare. È vero che un obbligo di ricambiare esiste, ma mai questo obbligo può essere paragonato a quello contrattuale dello scambio commerciale. Mentre la violazione di quest’ultimo è perseguibile legalmente e penalmente, il primo obbligo si configura come dovere squisitamente morale, pertanto non sanzionabile legalmente. L’assenza di coercizione e di costrizione fa sì che il dono sia una scelta.
La seconda differenza riguarda la valutazione che facciamo dell’altro. A differenza dello scambio mercantile nel dono non esistono garanzie. Questo presuppone ed alimenta fiducia in chi dà e in chi riceve. Ad esempio per ciò che concerne il valore del bene/servizio donato. Infatti, al contrario dello scambio mercantile, che si...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Famiglie. Sostantivo plurale
  3. 2. Nuove madri, nuovi padri
  4. 3. Dalla parte dei figli
  5. 4. Generazioni
  6. 5. La ricchezza nascosta del lavoro di cura
  7. 6. Il lato oscuro della famiglia
  8. 7. Il «welfare» imperfetto