La leggenda nera dei Templari
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La leggenda nera dei Templari

  1. 240 pagine
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La leggenda nera dei Templari

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Nell'anno 1099 i crociati venuti dall'Occidente conquistano Gerusalemme e fondano un regno cristiano nella Città Santa. Pochi anni dopo il re di Gerusalemme patrocina la formazione di una milizia religiosa, un corpo di combattenti che dovranno difendere i pellegrini in viaggio verso i luoghi santi. E sposta il quartier generale di questo corpo scelto presso il luogo più carismatico di Gerusalemme: le rovine del Tempio del Signore, edificato duemila anni prima da re Salomone. Circonfuso da un'aura di leggenda, l'ordine dei Templari conosce un'espansione incredibile che lo porta a diventare una vastissima multinazionale. I Templari non sono soltanto gloriosi combattenti, sono anche abilissimi banchieri che gestiscono la tesoreria di vari regni cristiani. Il loro successo incrementa la leggenda che li circonda, e quando nel 1307 il re di Francia Filippo IV detto il Bello li accuserà di eresia con l'aiuto dell'Inquisizione, la storia si tingerà di toni oscuri.

La storia di un mito può essere ancora più interessante della storia che il mito racconta. Soprattutto se la storia è quella leggendaria dei Templari.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788858131763

Capitolo secondo.
Tradizioni apocrife

La cavalleria di re Salomone

Il legame con il Tempio, e in qualche modo l’appartenenza ideale e fisica a quel luogo tanto evocativo nel contesto della Terrasanta, segnarono dunque la storia dei Templari sin dall’esordio. Militia Salomonica Templi, si trova scritto in diverse fonti, come a voler stabilire un legame diretto con il sovrano biblico. Nella mentalità della Chiesa medievale, Salomone rappresentava infatti il re per eccellenza, la regalità benedetta da Dio; come Davide, aveva ricevuto la sua alta dignità attraverso il rito dell’unzione sacra, e in quanto Unto del Signore poteva ritenersi un’immagine profetica del Messia, parola derivata dall’ebraico māšíāḥ che significa esattamente «unto». Il dono di una sapienza straordinaria indicava inoltre che Dio aveva per lui una predilezione speciale1.
Il richiamo a Salomone ricorreva con insistenza nell’arte e nella liturgia del medioevo quando si voleva attribuire a un certo personaggio il carattere della regalità sacra, quella ottenuta per volere divino. Così Alcuino di York paragonava al Tempio di Salomone la cappella imperiale di Carlomagno in Aquisgrana, e le cattedre dei papi nel secolo XII (come i troni dei re europei) erano ornate dalla testa di leoni, a imitazione del trono di Salomone, dove, secondo la Bibbia, «un leone stava accanto a ciascuno dei bracci». Il richiamo al costruttore del Tempio compare anche nelle formule degli ordines reali, le cerimonie di consacrazione dei monarchi2.
Naturalmente, re Baldovino II era perfettamente consapevole di questi sensi simbolici perché appartenevano al suo mondo; forse scelse come sua reggia quell’edificio che sorgeva presso il sito del Tempio proprio per accostare la propria figura di monarca a quegli antichi sovrani carismatici che la Bibbia celebrava. Dopo tutto, quando partì per la crociata era soltanto il figlio del conte Hugues de Réthel, nelle Ardenne, e la corona gli giunse per decreto divino solo in senso molto lato, ovvero dopo una guerra di conquista; in breve, la sua autorità aveva tanto da guadagnare in questo abile accostamento di luoghi e di funzioni. Sedendo sul trono di Gerusalemme, governando presso il Tempio, poteva ragionevolmente presentarsi come l’erede di Davide e Salomone. Per lo stesso motivo, probabilmente, anni dopo decise di donare la residenza a Hugues de Payns: i Templari dovevano essere un ordine dal carattere regale, legato strettamente al sovrano della Città Santa.
Abbiamo rilevato che il nome nuovo, mutuato dal celebre santuario, aveva sostituito quello primitivo di Poveri commilitoni di Cristo già nel testo della regola approvata a Troyes nel gennaio 1129, quando il gruppo divenne ufficialmente un ordine religioso. Malcom Barber crede però che la connotazione fosse più antica, poiché compare in un documento dell’ottobre 1125. In quell’anno, a maggio, Hugues de Payns funse da testimone in un atto di re Baldovino II con il quale si garantivano ai veneziani gli stessi privilegi nella città di Tiro che in passato erano stati loro concessi dal patriarca Gormondo; qui, per la prima volta, Payns viene designato come Maestro del Tempio3.
Due anni dopo, nel 1127, re Baldovino inviò in Occidente un’ambasciata cruciale per la storia del regno cristiano in Terrasanta. La guidavano Guillaume de Bures, principe di Galilea, e Guy de Brisebarre, signore di Beirut. Il loro compito era trovare uno sposo per Melisenda, figlia del re di Gerusalemme, il quale non aveva eredi maschi; i baroni della Terrasanta avevano deciso così di offrire la principessa e la corona di Gerusalemme a Folco V conte di Angiò, che era stato in quei luoghi nel 1120, aveva abitato presso i Templari e si era guadagnato una buona reputazione. Hugues de Payns fu inserito nel gruppo per sensibilizzare i potenti europei, invitandoli a favorire gli ingressi di nuovi cavalieri nel Tempio; il Maestro compì dunque tale viaggio come una campagna di reclutamento militare, durante la quale vide anche san Bernardo di Chiaravalle e ottenne il suo appoggio.
Payns passò il mare con la traversata dell’autunno 1127, poiché le partenze si svolgevano di norma un paio di volte all’anno; sbarcò in uno dei porti dell’Italia meridionale, risalì la penisola fino a Roma, dove è assolutamente verosimile che chiedesse udienza a papa Onorio II, per presentargli a nome del re di Gerusalemme il progetto della nuova milizia templare. Anche se non ci sono rimaste fonti che registrano l’udienza, poiché al tempo non si usava segnarle minuziosamente come sarebbe accaduto in seguito, la necessità di quell’incontro sembra evidente: come si poteva sperare di fondare un ordine religioso della Chiesa senza aver consultato il papa e ottenuto un responso favorevole?
Dopo la tappa romana, Payns risalì la penisola passando in Francia, dove incontrò diversi fra i maggiori signori di quella regione, ottenendo da loro terre in dono. Da un documento stilato nell’aprile del 1128 sappiamo che Payns era a Le Mans insieme con Guillaume de Bures, e forse vi si trovava ancora il 17 giugno, quando si celebrò il matrimonio tra Goffredo, erede di Folco d’Angiò, e Matilde, figlia di re Enrico I d’Inghilterra. In tale occasione Payns allacciò contatti con il sovrano inglese, che secondo la Cronaca anglosassone lo trattò con grande onore, assegnandogli anche un consistente tesoro fatto di monete d’oro e d’argento.
Visitata l’Inghilterra, il capo dei Templari passò in Scozia, per tornare poi in terra francese, a Cassel, nella metà di settembre. Durante i mesi dell’autunno fervettero i preparativi per il concilio a Troyes, che vide schierati a favore del costituendo ordine templare, oltre a diversi baroni francesi e a san Bernardo, anche importanti personalità del monachesimo cisterciense: Bernardo di Fontaines, Guy di Trois-Fontaines, Hugues conte di Mâcon e in seguito vescovo di Auxerre, e l’inglese Stephen Harding4. Dinanzi a costoro – se la Cerrini ha ragione – Bernardo lesse il trattato De laude; se invece l’opera è frutto di una composizione più tarda, non c’è comunque dubbio che l’abate di Clairvaux ne espose i contenuti essenziali, strettamente connessi all’etica templare e alla sua importanza nell’ambito della missione cristiana.
L’immagine di Gerusalemme e del Tempio di Salomone che gli uditori avevano in mente era quella derivata dalla Sacra Scrittura, quella cioè che abbiamo già descritto, e che Bernardo adoperò nel suo trattato; accanto ad essa, in secondo piano, c’erano altre immagini collaterali. Avevano un carattere diverso dal contenuto dei libri sacri usati nella liturgia come letture, e tuttavia circolavano ampiamente da secoli.
Erano storie e suggestioni che appartenevano soprattutto al folklore popolare, ma erano entrate anche nella cultura cosiddetta «alta»: cioè il patrimonio degli intellettuali, che inserirono queste tradizioni apocrife nei testi scritti, e così facendo permisero loro di arrivare fino a noi.
Una lunga tradizione magica molto radicata nel popolo recuperava amuleti portentosi, formule e idee dalla tarda antichità, attribuendoli a celebri sapienti del passato, specie Salomone e Zoroastro; mentre il secondo era guardato con sospetto dalle autorità religiose, in quanto pagano, i poteri straordinari del primo non sembravano incompatibili con la religione cristiana, poiché dovuti a quella saggezza eccezionale che proveniva da Dio5.
I Templari, in breve, si ritrovarono attorniati sin dagli esordi da una specie di aura misteriosa per via della sede stessa in cui abitavano. Ma quale aspetto aveva questo leggendario edificio?

Salomone il mago

Lo storico bizantino Niceta Coniate narra che l’imperatore Manuele Comneno (1143-1180) teneva al suo servizio un ebreo di nome Aaron Isacco, molto abile nelle traduzioni latine, che lo serviva come interprete nei suoi rapporti con i sovrani occidentali. Aaron si macchiò di tradimento, e in quell’occasione fu scoperta anche un’altra scabrosa verità: si dedicava alle arti oscure, e possedeva alcuni segreti libri di Salomone dai quali traeva formule capaci di evocare i demoni per costringerli a fare ciò che lui ordinava6.
A quel tempo, del resto, l’artefice del Tempio di Gerusalemme godeva di una solida e indiscussa fama di mago sia in Oriente che in Occidente; e non è un caso che la custodia di questi libri pieni di incantesimi fosse attribuita proprio a un ebreo. La tradizione apocrifa sulla magia salomonica proveniva precisamente dall’ambiente giudaico, e attraverso la cultura dei giudeo-cristiani dei primi secoli era passata in eredità al cristianesimo occidentale del medioevo. Le ...

Indice dei contenuti

  1. Capitolo primo. In principio era il Tempio
  2. Capitolo secondo. Tradizioni apocrife
  3. Capitolo terzo. Nelle mani dell’Inquisizione
  4. Capitolo quarto. Dalla storia alla leggenda
  5. Cartine