La città romana
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La città romana

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«Chi parla di una tipica 'città romana' intende, di norma, una città a pianta ortogonale, come quelle che si incontrano nelle regioni che una volta formavano la parte occidentale dell'Impero».È quasi un paradosso: rispetto a questa struttura, Roma non si presenta affatto come una tipica 'città romana'. Ma è Roma che ha fatto da modello per intere generazioni, in particolare per le più importanti tipologie di edifici pubblici.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788858107775

I. Roma e le città romane in età repubblicana

1. Dai re etruschi all’erezione delle Mura Serviane nel IV secolo a.C.

Quando il Senato, nel corso del IV secolo a.C., iniziò a sottomettere sistematicamente l’Italia e a integrarla nella propria sfera di potere, Roma era già una città antica (fig. 1). La sua nascita su un’ansa del Tevere, in una zona che la presenza di colli ripidi e bassopiani paludosi rendeva non particolarmente favorevole, fu dovuta a diversi fattori: l’agevole guado del Tevere all’altezza dell’isola; la posizione sul confine tra gli insediamenti delle stirpi latino-sabine e quelle etrusche; infine, l’accesso al mare dal Tevere. Tutto ciò favoriva scambi e commerci. Il vero e proprio processo di urbanizzazione iniziò soltanto nel corso del VII secolo a.C., quando si unificarono gli abitati di capanne sui colli. In quel periodo, i bassopiani paludosi tra il Palatino e il Campidoglio, nei quali sono state rinvenute piccole necropoli di epoca antecedente, furono prosciugati e colmati, così che a poco a poco la pianura poté diventare il centro della vita politico-religiosa della comunità. Sulle reali origini della città attualmente non vi è accordo tra gli studiosi, dato che le vicende intorno a Romolo narrate nelle famose leggende sulla fondazione della città vengono valutate in modi diversi; inoltre, i documenti archeologici fino a tutto il VII secolo a.C. sono molto scarsi e non sempre univoci. Di certo, per l’unificazione dei villaggi di capanne sui colli fu decisivo il dominio dei re etruschi, conclusosi con la cacciata dell’ultimo re, Tarquinio il Superbo, nel 509 a.C.
1. Roma in età repubblicana con le Mura Serviane.
Per la struttura del futuro centro cittadino ebbe un ruolo determinante il percorso della Via Sacra, che dal Palatino conduceva al colle capitolino passando attraverso il Foro Romano, il quale si andava formando progressivamente (fig. 2). Sul lato destro del foro, ossia della Via Sacra, si dipartivano le strade dirette alle abitazioni che si trovavano nella Suburra, ai piedi dell’Esquilino, e sul Quirinale, mentre sul lato sinistro, al di sotto del Campidoglio, il Vicus Iugarius conduceva al porto sul Tevere e al Foro Boario. La rete stradale arcaica, risalente addirittura all’epoca degli abitati di capanne, in parte determinò la circolazione del centro cittadino fino a tutta la tarda antichità e impedì il sorgere di grandi assi stradali che avrebbero potuto collegare il cuore della città con le più importanti strade radiali.
2. Il Foro Romano in età repubblicana.
I primi ad assumere la forma di centri dello spazio pubblico, secondo le rispettive funzioni, furono il foro, il Campidoglio e l’area prospiciente il porto e l’attraversamento fluviale. Così già si evidenziano alcune particolarità della società romana che avrebbero caratterizzato anche le successive città. Il più piccolo e tuttora ripido dei colli romani si prestò in modo eccellente a costituire una specie di acropoli. Era suddiviso in tre parti, ancora oggi distinguibili. A sinistra sorgeva il tempio della triade capitolina, ossia Giove Ottimo Massimo, nume tutelare dello Stato romano, Giunone regina e Minerva, a destra l’arx, dove avevano sede gli àuguri e, nel mezzo, l’asylum, presumibilmente fondato già da Romolo, che come luogo di rifugio deve avere svolto un ruolo importante per la città, destinata a conoscere la rapida crescita degli uomini atti alle armi.
Nel foro, gli spazi politici e quelli sacri all’inizio erano immediatamente contigui (fig. 2). Sia gli uni sia gli altri non avevano un settore riservato, come nelle città greche, ma erano direttamente a contatto con le attività commerciali, artigianali, amministrative e giudiziarie che si svolgevano quotidianamente. La regia, sede del potere regale, e il santuario di Vesta con il fuoco sacro sorgevano nella parte occidentale, mentre il comitium, luogo di raduno del popolo, era collegato con la curia, luogo di raduno del Senato. In questa collocazione distanziata si rispecchia già in epoca antica il fatto che lo Stato romano si fondava su due poli del potere, ossia dell’agire politico, che si voleva tenere chiaramente distinti. Lungo la Via Sacra erano allineati minuscoli edifici sacri di epoca arcaica, che conferivano immediatamente al luogo un carattere religioso. Il significato di questa «strada santa» va ben al di là di quello di un asse stradale: è essa stessa un monumento e più tardi, fungendo da scenario sia per i grandi rituali di Stato (come i trionfi e le processioni nelle feste in onore delle divinità), sia in occasione dei funerali, conferì un’impronta particolare agli intenti autocelebrativi dello Stato romano.
Nel Foro Boario, il terzo centro della città antica, si sviluppò invece gradualmente un’area di grandi dimensioni destinata al commercio e ai traffici, collocata tra il porto e il Ponte Sublicio da un lato e il Circo Massimo dall’altro. Il nome «Foro Boario» (mercato dei buoi) rimanda alla funzione svolta dalla città in epoca arcaica, quando essa costituiva un mercato interregionale per gli insediamenti dei Latini nel Lazio meridionale. Inoltre il porto fluviale favoriva il commercio a distanza. Anche quest’area, che per lungo tempo rimase priva di un assetto specifico e comprendeva ampie superfici adibite a deposito, edificate successivamente, era costellata sin dall’epoca arcaica da luoghi di culto (come l’Ara Massima dedicata a Ercole), che nel corso dei secoli andarono aumentando costantemente. I più antichi risalgono probabilmente molto indietro nel tempo, soprattutto il culto di Ercole (Ara Massima) e il santuario dedicato alla Fortuna e alla Mater Matuta. Nel VI secolo, sotto il dominio dei re Tarquini, la giovane città conobbe un grande sviluppo e una forte crescita della popolazione. La cultura dei Romano-Latini subì un’influenza duratura da parte di quella etrusca, in particolare per quanto riguarda la religione con i suoi complicati rituali arcaici. I re, a quanto sembra, ebbero a cuore soprattutto gli interessi degli strati medi della popolazione, che a seguito dello sviluppo del commercio e dell’agricoltura aspiravano a migliorare il proprio status.
Sotto gli ultimi due re furono costruiti importanti edifici pubblici, grazie ai quali la città, che fino a tutto il VII secolo doveva ancora essere costituita prevalentemente da effimere capanne, assunse un volto nuovo. Forse già a quell’epoca i tre edifici più famosi furono contrassegnati con l’aggettivo maximus: la Cloaca Massima, che partendo dal Quirinale drenava l’area dei fori e delle zone limitrofe e si svuotava nel Tevere; il Circo Massimo, allestito per la numerosa popolazione romana, che tuttavia all’inizio non deve avere avuto una forma architettonica; il Tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio, senz’altro l’edificio più pretenzioso. Esso fu ultimato da Tarquinio il Superbo dopo lavori che si svolsero per più generazioni, e deve essere stato inaugurato solo dopo la sua cacciata (509 a.C.). Dell’edificio purtroppo conosciamo solamente le enormi sostruzioni e non il tempio vero e proprio, così che rimane controverso se le fondamenta, ora parzialmente scoperte e visibili, sostenessero l’ampio podio, e su questo sorgesse un tempio notevolmente più piccolo con un ricco decoro in terracotta, o se invece esse costituissero il podio vero e proprio (fig. 3). In ogni caso, si trattava di un’impresa imponente, che presupponeva ingenti mezzi e immani squadre di operai. Riguardo agli artisti, si tramanda che Tarquinio il Superbo abbia fatto venire a Roma delle maestranze dall’Etruria, e che la statua di culto, in terracotta, e la quadriga sopra il frontone siano state eseguite da un artista veiente di nome Vulca.
3. Tempio della triade capitolina. Resti delle fondazioni e ricostruzione.
Imprese di tali proporzioni ci sono note soltanto per i templi e gli altari dei tiranni greci in Sicilia, la maggior parte dei quali hanno richiesto secoli per essere completati. In ogni caso, con un edificio di tali dimensioni si doveva fissare un segno ben visibile da lontano: costruendo il nuovo Tempio di Giove, una sorta di «pendant» al santuario della lega latina sul monte Albano, Roma aspirava a esercitare un ruolo guida tra le città latine. Anche se questa volontà di guida assunse toni bellicosi soltanto nel secolo successivo, bisogna comunque supporre che la rivendicazione di un ruolo politico esteso al di fuori della città, testimoniata da questa costruzione, risalga all’epoca regia.
Dopo la cacciata dei re e l’instaurazione di uno Stato repubblicano, le grandi famiglie dell’aristocrazia (i patrizi) presero il comando. Al posto dei re subentrarono i magistrati, che avevano cariche annuali, in modo tale che l’esercizio del potere potesse essere suddiviso tra le grandi famiglie. Alcune modifiche nella fisionomia della città esplicitano questi nuovi rapporti. Nel foro vengono edificati due grandi templi, in posizione dominante. Il Tempio di Saturno sorge sulle pendici del Campidoglio ed è dedicato al dio della semina e dei campi, fondatore della stirpe dei Latini. Grazie a esso, i grandi proprietari terrieri sottolineavano l’importanza dell’agricoltura per la città. Il secondo tempio sorge sulle pendici del Palatino ed è dedicato ai dioscuri Castore e Polluce. Erano i potenti numi tutelari dei Romani in battaglia e, in quanto cavalieri, protettori dell’aristocrazia, che con la sua cavalleria costituiva la forza decisiva dell’esercito romano. Con questi due templi, la giovane Repubblica conferì al foro un volto nuovo.
Anche le grandi abitazioni sulle pendici del Palatino con fronte sulla Via Sacra, portate alla luce di recente, risalgono nei loro strati più antichi al VI secolo a.C. Giustamente, in esse sono state viste le dimore di famiglie aristocratiche. Quelle abitazioni mostrano come tali famiglie cercassero di dare visibilità al loro ruolo di governo anche attraverso la natura delle loro dimore. Da un lato, cioè, volevano risiedere in una posizione il più possibile visibile e vicina al centro della vita politica e sociale – una caratteristica, questa, riscontrabile anche in altre città romane dell’età repubblicana. Dall’altro, l’apertura delle loro case verso la strada, dalla quale si poteva vedere direttamente il nucleo centrale dell’abitazione, e la funzione svolta dagli atria come luogo di comunicazione tra il padrone e i suoi clienti (funzione che fu in seguito ulteriormente ampliata, così come le dimensioni degli stessi atria) rendevano chiara a tutti l’ambizione politica delle famiglie patrizie. A ciò si aggiunsero, più tardi, alcuni rituali all’aperto; per citare quelli più rappresentativi: l’ingresso dei senatori con i loro clienti, il cui numero palesava agli occhi di tutti l’ambizione dei senatori stessi; e i cortei funebri per i magistrati organizzati di volta in volta dalle varie famiglie, nei quali venivano esaltati i meriti della gens nei confronti dello Stato.
Il V e IV secolo a.C. furono un’epoca difficile, piena di sfide, contraccolpi e catastrofi. Le invasioni del Lazio da parte degli Equi e dei Volsci costrinsero Roma e le città latine a condurre una guerra in comune. Ne nacque una stretta seppur fragile alleanza sotto la guida di Roma. Questa fu invece sola nel fronteggiare le città etrusche a nord, soprattutto la potente Veio, distante solo 20 chilometri, che nel corso di una lunga lotta mise più volte a rischio l’esistenza di Roma. Dopo aver completamente annientato la città etrusca, nel 396 a.C., Roma ne incorporò l’intero territorio raddoppiando così la propria estensione, che raggiunse i 1500 chilometri quadrati. Le continue guerre causarono gravi carestie e pestilenze, che portarono a un calo della popolazione. Il Tempio di Apollo Medico sulle pendici del Campidoglio deve la sua nascita alla peste scoppiata intorno al 430 a.C. Pochi anni dopo la definitiva sottomissione di Veio, le truppe romane, esauste, furono sconfitte da un esercito di popolazioni galliche che imperversava per l’Italia e arrivò a conquistare e saccheggiare la stessa Roma. Come reazione a questo disastro furono erette le «Mura Serviane» (dopo il 378 a.C.). Erano lunghe non meno di 11 chilometri e sono state così chiamate in onore di Servio Tullio, probabilmente anche per un motivo reale, dato che in parte seguono il tracciato di una precedente cinta muraria che sembra risalire al VI secolo a.C. (fig. 4). Le Mura Serviane comprendevano al loro interno i famosi sette colli con le loro aree abitative, ma non il «campo di Marte», il Campo Marzio, che rimaneva al di fuori del pomerium.
4. Le Mura Serviane presso la Stazione Termini.
L’allargamento dello spazio politico al Campo Marzio fu probabilmente la più promettente attività urbanistica dei primi anni della Repubblica (fig. 1). Tale zona, situata in un’ansa del Tevere e continuamente soggetta a esondazioni fino alla regolazione del Tevere effettuata in epoca moderna, dopo la caduta della monarchia era divenuta proprietà dello Stato romano. Trovandosi al di fuori del pomerium, che secondo la legge sacra non poteva essere oltrepassato da uomini in armi, si prestava a essere utilizzata soprattutto dall’esercito. Gli eserciti vittoriosi potevano accamparsi lì con i loro generali, in attesa che il Senato autorizzasse il corteo trionfale. La riforma che modificava l’ordinamento dell’esercito, basandolo sul censo (anziché sulla nascita), ebbe come necessaria cons...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. I. Roma e le città romane in età repubblicana
  3. II. Roma in età imperiale
  4. III. L’ampliamento delle città in epoca imperiale
  5. Storie di città
  6. Bibliografia
  7. Fonti e referenze iconografiche
  8. L’autore