1. La filosofia inglese e i liberi pensatori
di ANTONIO SENTA
1.1 Religione naturale e religioni rivelate: Locke, Toland e Clarke
Fino al Seicento la parola deismo, in quanto contrapposta ad ateismo, indica ancora la semplice credenza nell’esistenza di Dio. Blaise Pascal è tra i primi ad attribuire un significato più specifico a questo termine, che impiega in senso denigratorio, opponendo il deismo al vero cristianesimo. Con l’avvento dell’Illuminismo in Inghilterra, alcuni liberi pensatori fanno propria la definizione di deismo per diffondere una loro visione anticlericale e antidottrinaria della religione.
La diffusione del metodo di ricerca newtoniano nell’ambito delle scienze naturali fa emergere l’esigenza di estendere i principi dell’indagine empirica agli altri campi del sapere e in particolare alla morale e alla teologia. Sebbene Newton stesso sia ben lungi dal rifiutare la metafisica implicita nella religione rivelata, i deisti si avvalgono del suo impianto metodologico per minare i dogmi religiosi del cristianesimo, come di ogni altra religione positiva. Sulla scia di Herbert di Cherbury, per il quale al centro di tutte le religioni vi è un nocciolo razionale comune e intuitivo, i deisti propongono di circoscrivere la religione entro i limiti della ragione naturale, negando ogni valore alla Rivelazione, ai dogmi, ai misteri e ai miracoli che non si accordano con il principio empiristico dell’uniformità del corso della natura. La religione naturale, portatrice di tolleranza e di equilibrio sociale, si riduce per i deisti a poche idee molto semplici: Dio esiste, ha creato il mondo e premia la buona condotta in una vita futura.
Uno dei problemi principali affrontati dai deisti è quello della Rivelazione. Come spiegare il fatto che Dio abbia concesso a un solo popolo (quello ebraico) la salvezza eterna tramite la Rivelazione biblica, mostrandosi indifferente nei confronti del resto dell’umanità? La questione è affrontata già da Locke, che nel suo Ragionevolezza del cristianesimo muove da intenti apologetici per approdare a una posizione di deismo moderato. Locke propone di separare la dottrina semplice e ragionevole ricavabile dai Vangeli dall’insieme di assurdità di cui si sono fatti portatori nel corso dei secoli i vari concili, in particolare quello di Nicea. Fiducioso nell’efficacia dell’indagine empirica anche in materia religiosa, Locke ritiene che la lettura delle Scritture possa essere affrontata individualmente, senza bisogno della mediazione di interpreti privilegiati che si facciano garanti della correttezza della lettura prescelta. Resta tuttavia da chiarire il motivo per cui Dio abbia escluso dalla Rivelazione messianica popoli civilissimi come quello cinese. La spiegazione a cui Locke giunge è che, sebbene l’esistenza di Dio e la necessità del Messia siano verità che possono essere dimostrate con il ragionamento, la Rivelazione è un aiuto pratico che Dio concede agli uomini intellettualmente meno dotati per assicurarsi che anch’essi possano raggiungere la salvezza eterna.
John Toland si aggancia alle dottrine di Locke sulla Ragionevolezza del cristianesimo per radicalizzare la critica da lui espressa nei confronti delle religioni positive. La polemica tolandiana nei confronti delle deviazioni del cristianesimo storico rispetto alla religione naturale rasenta l’ateismo, nonostante le sue professioni di fede. Toland difatti reputa necessario rifiutare non solo ciò che è contrario alla ragione, ma anche ciò che si ritiene esserle superiore. Nel Cristianesimo senza misteri, Toland sostiene che in ambito teologico, così come in quello scientifico, tutto ciò che appare contraddittorio o elusivo rispetto alla ragione deve essere scartato, e a questo proposito egli avanza un’argomentazione divenuta famosa: “Una persona che avesse l’assoluta certezza che nella natura esiste un essere chiamato blictri, e nel contempo non sapesse che cosa sia questo blictri, potrebbe nutrire giustamente fiducia nella propria conoscenza?”,
Nei suoi scritti successivi Toland va oltre e afferma che tutte le religioni positive sono superstizioni sorte presso popoli barbari (Lettere a Serena) e che lo stesso diluvio universale è un’invenzione (Pantheisticon).
Le tesi di Toland scatenano fin dall’inizio l’indignazione dell’ortodossia anglicana, ma anche di quei teologi moderati che, come Samuel Clarke (amico e collaboratore di Newton), tentano di confutare la posizione deista proprio a partire dalle premesse empiristiche che costituiscono lo sfondo comune del dibattito teologico di questi anni. Nella Dimostrazione dell’esistenza e degli attributi di Dio, Clarke riprende l’argomento proposto da Locke circa l’utilità pratica della Rivelazione in quanto dono, e non obbligo, divino. I bersagli di Clarke sono il materialismo di Hobbes, il panteismo di Spinoza e il deismo di Toland, Contro di essi Clarke intende dimostrare in modo geometrico e perciò irrefutabile l’esistenza di Dio avvalendosi di un complesso di dodici proposizioni logicamente interconnesse. La sua argomentazione segue il procedimento ontologico a priori che verrà confutato da Hume nei suoi Dialoghi sulla religione naturale : ogni essere è l’effetto di una causa; presi insieme, tutti gli esseri costituiscono una catena di cause ed effetti; questa catena deve a sua volta essere sorretta da una causa indipendente, cioè Dio. È interessante notare come Clarke si premuri di dimostrare rigorosamente ciò che nemmeno i deisti più radicali mettono apertamente in dubbio. Come osserverà ironicamente Anthony Collins, “nessuno dubitò dell’esistenza di Dio, finché Clarke non si prese la briga di dimostrarla”.
1.2 Tolleranza religiosa e libero pensiero: Collins e Tindal
Discepolo e amico di Locke, Anthony Collins interviene nel dibattito teologico in occasione di una disputa tra Clarke e Henry Dodwell a proposito dell’immortalità dell’anima.
Laddove Dodwell sostiene che l’anima umana è per sua natura mortale, e può raggiungere l’immortalità solo attraverso un atto di clemenza divina, Clarke cerca di far derivare l’immortalità dell’anima dalla sua immaterialità, la quale a sua volta sarebbe dimostrata dall’inimmaginabilità di una sostanza che sia al tempo stesso materiale e pensante. A prescindere dalla fragilità degli argomenti addotti da Dodwell a sostegno della propria tesi, Collins prende le sue parti per ciò che riguarda l’indimostrabilità dell’immortalità dell’anima, dando così il via a una controversia con Clarke.
Nel suo Saggio sull’uso della ragione, nelle proposizioni la cui evidenza dipende dalle testimonianze umane, Collins assume una posizione anticlericale, definendo i misteri della religione invenzioni escogitate dai preti per mantenere gli uomini sotto il giogo della superstizione. Collins deriva la propria istanza razionalistica dal latitudinarismo dei platonici di Cambridge e degli esponenti della “Chiesa larga” (Broad Church), quali Edward Stillingfleet e John Tillotson, dai quali trae inoltre la tendenza ad appianare le divergenze dottrinarie in omaggio al principio della tolleranza religiosa. Nella Difesa degli attributi divini Collins rivendica alla ragione la possibilità di dimostrare gli attributi di Dio. Tuttavia, affinché la ragione possa approdare a queste naturali conclusioni, è indispensabile che essa si liberi dai ceppi dell’autorità per vagliare da sé la validità di ogni asserzione. Così come nella scienza il progresso verso la perfezione richiede l’autonomia della ricerca, in teologia l’indipendenza di giudizio è la condizione indispensabile per intraprendere il cammino verso la verità. La necessità della libertà di opinione è la tesi di fondo del principale scritto di Collins, il Discorso sul libero pensiero, erroneamente attribuito a Toland all’indomani della sua pubblicazione anonima e destinato a diventare il manifesto del deismo. Nel Discorso il libero pensiero viene definito come “l’uso dell’intelligenza nel tentare di scoprire il significato di qualsivoglia asserzione, nell’esaminare la natura delle prove a suo favore o ad essa contrarie, e nel giudicarla in base alla forza o alla debolezza delle prove”. Allo scopo di ridicolizzare gli avversari del libero pensiero, Collins immagina l’esistenza di una setta di nemici del “libero vedere” per i quali non bisogna fidarsi dei propri occhi ma, al contrario, farsi guidare da un’autorità esterna prima di esprimere dei giudizi percettivi.
Quanto ai presunti effetti disgreganti del libero pensiero come anticamera dell’ateismo (denunciati anche da George Berkeley nei Dialoghi e nell’Alcifrone), Collins ribatte con un’affermazione che verrà fatta propria da Voltaire: “tra il fanatismo e l’ateismo, il secondo è il male minore”. Senza poi contare che, secondo Collins, è solo grazie al libero pensiero che gli uomini arrivano a comprendere che un Essere buono, saggio e onnipotente ha creato il mondo e lo sorregge.
Anche Matthew Tindal è convinto dell’azione benefica che l’esercizio del libero pensiero svolge sulla riflessione religiosa. Nel primo volume del Cristianesimo antico quanto la creazione (il secondo volume manoscritto verrà bruciato dalle autorità ecclesiastiche dopo la morte dell’autore) Tindal attacca la corruzione dei preti e riafferma il credo deista nella razionalità e nell’universalità della religione naturale, la quale non richiede alcuna forma di liturgia positiva. Tindal arriva addirittura a sostenere la superiorità del confucianesimo rispetto alle religioni cristiana, ebraica e maomettana.
1.3 L’interpretazione delle Scritture
Ripercorrendo la strada già battuta da Spinoza, Hobbes e Pierre Bayle, i deisti si interrogano su come giudicare le numerose inverosimiglianze riscontrabili nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Nel Dizionario storico-critico Bayle inaugurava l’applicazione di quel metodo storico-critico di controllo rigoroso delle fonti e dei fatti riportati nelle Scritture che verrà impiegato da autori come Toland, Collins e Woolston, Ma già prima di Bayle, Charles Blount (seguace di Herbert di Cherbury e di Hobbes) aveva pubblicato un’opera intitolata Oracoli della ragione, in cui sosteneva che i miracoli biblici sono un frutto della superstizione barbarica.
Contro il rifiuto di Blount verso tutto ciò che nelle Scritture si oppone all’uso della ragione, Charles Leslie nel Metodo breve e facile contro i deisti suggerisce quattro regole per valutare l’attendibilità dei miracoli: che siano tali da poter essere percepiti dai sensi umani; che si siano verificati alla presenza di testimoni; che siano poi stati ricordati tramite ricorrenze pubbliche; che tali ricorrenze abbiano avuto inizio all’epoca stessa del miracolo. L’obiettivo di Leslie è quello di dimostrare la verità di tutti i miracoli biblici e la falsità di quelli coranici attraverso un metodo riconoscibilmente storico. Così facendo, Leslie ritiene di poter dimostrare che la negazione dell’attendibilità delle testimonianze bibliche equivale a negare la veridicità del De bello gallico,
Un importante contributo al dibattito sui miracoli viene fornito da Collins il quale, rifugiatosi in Olanda per sfuggire alle polemiche suscitate dai suoi primi scritti, studia la lingua ebraica e si familiarizza con la tradizione talmudica. Osservando come l’assenza di vocali e la variabilità della punteggiatura nell’antico ebraico diano adito a una pluralità di possibili interpretazioni del medesimo testo, Collins sostiene che le profezie e i miracoli biblici vadano letti in senso allegorico piuttosto che letterale.
ThomasWoolston riprende le argomentazioni proposte da Collins e nei Sei discorsi sui miracoli inscena una satira dei testi evangelici affermando che se i miracoli venissero presi alla lettera Gesù emergerebbe come un ciarlatano qualunque.
Dopo Collins e Woolston, la discussione sui miracoli verte prevalentemente sulla Resurrezione: nell’Esame delle testimonianze sulla resurrezione di Gesù, Thomas Sherlock rappresenta un dibattito giudiziario tra chi, come i deisti, reputa che la Resurrezione sia impossibile in quanto contravviene alle regole della natura e chi vede nel martirio degli apostoli la dimostrazione della veridicità delle loro testimonianze. Conyers Middleton, autore della Lettera da Roma e delle Riflessi...