Zona di guerra
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Zona di guerra

Lettere, scritti e discorsi (1915-1924)

  1. 420 pagine
  2. Italian
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Zona di guerra

Lettere, scritti e discorsi (1915-1924)

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«Piero Calamandrei, ragazzo. Abituati a rapportarci a lui come a un padre della patria, sarà per molti una scoperta trovarlo qui giovane innamorato, militare controvoglia, interessato alle fotografie più che alle armi, pieno di rimpianti per una carriera interrotta e spaesato di fronte a un evento impadroneggiabile. Certo, negli anni della Grande Guerra Calamandrei fu contemporaneamente anche altre cose, a prima vista opposte e inconciliabili: intellettuale interventista, ufficiale volontario, funzionario dei servizi di propaganda, mitografo delle ragioni della guerra e subito dopo interprete autentico della sua memoria. Qual è, allora, il suo vero volto? Uno dei tratti più caratteristici della personalità di Calamandrei è il suo modo di stare nella storia, di far interagire vissuto e narrato, di porsi di sbieco davanti alle tragedie della nazione e poi di renderle memorabili.» Questa inedita raccolta degli scritti di Piero Calamandrei affianca lettere private e pubblici discorsi, scritture intime e documenti ufficiali: tratteggia il suo apprendistato di vita e di cultura, per avvicinarsi all'uomo scansando l'ombra del monumento che è diventato.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858113660
Argomento
Storia

1916

San Vito di Leguzzano

Lezioni militari ed esercitazioni
Piero riceve un telegramma di auguri di Ada da Montepulciano, dove è andata a trascorrere le feste dalle cugine Clelia e Lidia Cocci ed è contrariato di non poterla immaginare a Firenze nel proprio salotto di casa, al posto suo, «di fronte alla Mamma, tra il Babbo e l’Egidia». Passa un capodanno malinconico, in attesa di cominciare le esercitazioni. Conosce i vecchi padroni di casa, che gli presentano «il loro fio con tutti i puteli, due tosi e due tose» venuti da Vicenza a passare le feste.
3 gennaio 1916
Amore mio, torno ora da Schio, dove abbiamo avuto (come avremo d’ora innanzi tutti i lunedì, mercoledì, venerdì) due lezioni su argomenti militari dalle tre alle cinque. Siamo andati e tornati in un legno a giardiniera aperto (io, anzi, ero a cassetta) tirato da due pesanti cavalloni d’artiglieria, uno dei quali montato da un soldato: un traino abbastanza eterogeneo e molto affine ad un attacco da corso carnevalesco. E al ritorno la nebbia gelata calata giù colla notte mi ha ridotto a un pezzo di ghiaccio; ma, appena il carro si è fermato a S. Vito, son corso qui nella mia camera, dove ho trovato un magnifico fuoco, custodito dal mio attendente simile ad una Vestale. [...]
Oggi ho passato la giornata in un modo meno noioso di ieri. Dalle dieci alle due sono stato fuori coi soldati, a fare delle esercitazioni sui colli che circondano San Vito, dinanzi alla maestosa corona delle Alpi che stamani, al di sopra del mare di nebbia stagnante nella vallata, erano serenissime. Alle due, appena tornati, si è mangiato in fretta un boccone, per poi ripartire subito sul traino per Schio. Là abbiamo trovato una folla di ufficiali venuti da tutti i battaglioni sparsi nei paesetti vicini e ci siam radunati nella sala del cinematografo principale della città, prendendo posto sulle sedie degli spettatori dinanzi alla tela delle proiezioni, al di sotto della quale un maggiore prima e poi un capitano ci hanno intrattenuto sulle qualità dei cannoni e sul modo di leggere le carte topografiche.
4 gennaio 1916
Oggi sono stato quasi tutto il giorno in marcia con tutto il battaglione: dalle 8 della mattina alle 3 del pomeriggio. Quaggiù a S. Vito, alla partenza, c’era un fitto strato di nebbia gelida, che vi abbiamo ritrovato al ritorno; ma appena siamo usciti dalla pianura sulle colline e dalle colline verso i monti, la nebbia s’è aperta e abbiamo trovato un tepido sole primaverile illuminante un paesaggio incantevole. Ci siamo fermati a mangiare su un poggio erboso sul quale qua e là appariva già qualche primula: di faccia, al di là della valle, si ergeva il Monte Pasubio – un monte che otto mesi fa era austriaco – violaceo alle falde e candido sulla vetta: e dietro, come in uno scenario a più piani, si affacciavano sempre più lontane le altre catene alpine. Non c’era un alito di vento, lassù: soltanto i canti dei pollai e i muggiti delle stalle. Ma da dietro il monte veniva incessante il rombo delle artiglierie e il ronzio dei nostri aeroplani in esplorazione. Siamo tornati alle tre e un tè caldo mi ha subito compensato del pasto frettoloso fatto lungo la via, su una macia di sassi. Poi sono andato a sbrigare qualche faccenda alla mia compagnia, ho scritto qualche cartolina, ho atteso l’automobile della posta, ho assistito allo spoglio della corrispondenza... Poi la mensa: e dopo la mensa, dalle 8½ alle 9, perlustrazione per tutte le strade del paese, a vedere che tutte le osterie e i caffè siano serrati, secondo la legge della zona di guerra.
Una giornata per filo e per segno
Piero vive la vita militare in modo estraniato e pensa alla sua camera di Firenze e perfino alla sua stanza di studio come «a dimore incantate piene di tanta tranquillità serena, come a fantastici asili di pace ai quali ritornerò, da quella strana vita che qui, quando la considero tra me, tanto mi sorprende, il giorno che la guerra sarà finita colla nostra vittoria». La fine vittoriosa della guerra, è questo che auspica spesso, in tono ottimistico, mentre dà conto minuziosamente ad Ada di una quotidianità meccanica e ripetitiva.
11 gennaio 1916
Amore, la mia giornata... vuoi che ti narri per filo e per segno la mia giornata? Ecco. Mi desto, in un’ora che neppur io so ben precisare, in un letto che non è il mio letto: e mi desta un rintocco uguale e lugubre di campana che non finisce più e che mi dà l’impressione che da tanto duri e ch’io l’abbia udito, già prima di svegliarmi, nel sogno, sicché tra il sogno e la veglia non so trovare un punto di deciso passaggio. Mi desto a mezzo, e non capisco dove sono: penso alla mia camera di Firenze, mi sforzo di ricordare da che parte son le finestre, da che parte è l’uscio: forse, lì dietro la porta, c’è il salottino della Mamma? Ah, no: ho capito. Ho capito dove sono. Ed è ancora presto: bisogna cercar di riaddormentarsi. Ma no, il sonno non ritornerà: salgono e si avviluppano nella mia mente, mentre voglio sforzarmi di non pensare a nulla per riaddormentarmi, mille pensieri sconnessi. Quanto mancherà ancora alla sveglia? Che si deve fare oggi? Ah, ricordo: la marcia. Il mio letto, ad ogni piccolo moto che faccio, manda, giù nella spalliera di fondo, piccoli scoppi secchi, che mi irritano ed accrescono il senso di malessere che mi dà il risveglio... Vorrei star fermo fermo, ma non so più: non riesco più a star bene in nessuna posizione. Mi volto, mi volto ancora sotto le coperte tepide: e le coperte tepide mi sfiorano, mi carezzano tutta la persona... Ah, amore mio, amore mio... Cerchiamo di dormire ancora. La campana ricomincia a suonare. Tra poco sentirò battere alla mia porta. [...]
E finalmente, amore, sento bussare alla porta e l’attendente mi domanda il permesso d’entrare. Entra, nella camera ancora al buio: e io accendo, dal letto, la luce elettrica, e richiudo gli occhi. Egli prende le scarpe ed esce e la camera torna al buio per qualche minuto. Poi torna: prende le mollettiere gettate da me per terra nello spogliarmi, e lentamente, metodicamente, si mette a spazzolarle e ad arrotolarle: poi si mette a spolverare i vestiti. Ed io sto ad occhi chiusi, ancora, per non vedere la luce della lampadina: in silenzio, desiderando che quell’opera non finisca presto... Ecco, è finita: le finestre, da cui penetra una luce pallida pallida, vengono aperte... E allora il soldato, messi in ordine tutti i miei panni, mi rivolge ogni mattina una domanda ch’è sempre la stessa, collo stesso tono di voce, collo stesso accento: «S’arza?». Ed io: «Sì, m’alzo». Allora egli esce: io resto solo. Bisogna levarsi. E così, amore, ogni mattina: senza la più piccola differenza, senza che il più piccolo particolare sia tralasciato...
Stamani sono andato a fare una marcia come martedì scorso: dalle otto alle tre, su un poggio qui vicino. Le marce, qui, non si fanno con tutta la compagnia riunita in un unico gruppo, ma in formazioni speciali, destinate a esercitare i soldati a certe cautele necessarie in guerra; va innanzi un gruppetto di pochi uomini, che devono esplorare la strada, poi, a distanza, un uomo alla volta, fino ad arrivare al grosso della compagnia che marcia riunita. Questa formazione di marcia, che s’è adottata anche oggi, dà a me l’impagabile vantaggio di poter camminare solo; il capitano va avanti, colla prima pattuglia: io resto indietro, tra due dei soldati che procedono alla spicciolata. Oggi la strada si snodava, con mille tortuosità, in mezzo a boscaglie di castagni, che, d’estate, devono essere meravigliosi: ed io, solo soletto, ho fatto tutta la salita, dalla quale via via si scopriva sempre più ampia tutta la pianura veneta (da dove oggi siamo andati, dicono che a giornata chiarissima si vede il mare), immerso nei miei pensieri, malinconici e dolci... Ora, trascorsa tutta la giornata (un altro foglietto sarà stato tolto dal calendario della mia camera lontana) sono tornato qui dove il sonno, il fedele amico, mi attende. Da un pezzetto alla chiesa sono suonate le dieci: da un pezzo tutti i rumori del paese che non deve vegliare, si sono chetati. Passa d’intorno quello strano fruscio, simile al fluire di una immensa corrente, di cui è composto il silenzio: e a volte, strano, ho l’impressione che fuori, nei campi, cantino lungamente i grilli settembrini... Ma no, siamo appena a gennaio: e, se qualcosa odo è a quando a quando la voce sommessa d’una fonticina che c’è giù nella via di faccia alle mie finestre, dove di giorno vengono le donne a prender l’acqua con certi strani recipienti di rame appesi alle due estremità di una pertica ricurva...
13 gennaio 1916
Amore mio, nei giorni in cui tocca la marcia, come sarebbe oggi, posso godermi al ritorno, che avviene sempre verso le tre, un po’ di tranquillità qui nella mia camera cheta e raccolta. Mi tolgo gli indumenti fangosi e polverosi, mi faccio un po’ di toilette, faccio accendere nel caminetto un buon fuoco ciarliero, e faccio il tè: il tè, nel cui confezionamento (quasi sempre ne faccio anche una tazza per l’attendente, che ne ignorava finora l’esistenza, ma che subito ne ha compreso i pregi) son diventato maestro, tanto da riuscire perfino a versarlo nelle tazzine senza spanderlo sul tavolo. E poi, preso il tè, sto qui pigramente aspettando che l’ore passino. [...] Son uscito stamani verso le otto con la mia compagnia, per andare a fare una marcia in montagna: e siccome stamani il mio capitano era ammalato e spettava a me il comando, i soldati, dei quali, durante le marcie comandate dal capitano, resta per la strada una buona metà, sono venuti su su fino ad uno dietro a me tutti, in vetta a un monte faticoso e lontano: tanto che al ritorno ho avuto dal maggiore una speciale lode per questa mia virtù... incitatrice. Ho mangiato lassù, in un bosco di castagni senza foglie, la colazione portata dal muletto: in compagnia di un altro sottotenente, aggregato qui da due giorni dopoché ha trascorso due mesi nelle trincee dinanzi a Rovereto, a duecento metri dagli austriaci; e insieme con lui, ch’è un giovine molto simpatico e modesto e che mi porta il prezioso sussidio della esperienza abbiamo fatto lassù delle manovre che parevano vere...
15 gennaio 1916
Oggi abbiamo fatto, dalle sette alle tre, una marcia di reggimento sotto un serenissimo cielo, in paesi di pianura vicini a S. Vito: la marcia, del resto breve (una quindicina di km) non è stata per me in nessun modo gravosa, ma gravosa assai per questi poveri territoriali che non sono più tanto allenati e che fanno grandi sospiri di malinconia su tutto quanto accade nel nostro battaglione. C’è il mio attendente, il quale, come lo zio Cecco ti avrà detto1, si rattrista assai quando sente parlare di guerra e di argomenti... analoghi: e siccome io lo piglio continuamente in giro per questa sua paura, egli mi ripete: «Eh, già, lei la ride sempre...». Oppure (dice così... e io non ci ho colpa): «Già, lei l’ha sempre le coglionerie...». Oggi siamo tornati alle tre, e da allora ho avuto un po’ di libertà di cui godo tuttora: son venuto qui in camera a togliermi le nobili tracce della marcia, ho fatto il tè, ho fatto accendere il fuoco.
Un ruscello di petali di rose carnicine
Nella corrispondenza, Ada e Piero si trasmettono spesso fotografie, e Piero raccomanda ad Ada di conservare le pellicole che le manda, per farne «al mio ritorno una raccolta di guerra memorabile». Nel quarto anniversario della prima notte trascorsa insieme a Torino2, Piero vorrebbe riempire la stanza di Ada di rose carnicine.
17 gennaio 1916
Amore caro, se questa lettera potesse obbedire alle intenzioni che sono nascoste in lei, essa dovrebbe, appena giunta nella tua camera e posata sul tuo tavolino, trasformarsi miracolosamente in una rosa: e da questa rosa tante altre dovrebbero nascere in un istante, e cader giù, come un ruscello di petali, dal tavolino sull’impiantito, e dilagare per tutta la stanza inondando tutte le cose che ti vedono ogni mattina alzarti dal letto, e crescere su, come un fantastico padiglione, al di sopra del nido odoroso ove ogni notte tu ti nascondi... Anzi, amore, se la lettera potesse seguire il desiderio che la detta, essa giungerebbe nella tua stanza di notte, mentre tu dormissi: e tutta questa magica fioritura di rose dovrebbe intrecciarsi intorno e sopra di te nell’ombra, in modo che quando tu al mattino ti destassi non riuscissi più a riconoscere la camera della sera prima e sul viso potessi scorgere soltanto una fitta cortina di corolle apertesi per te sopra i tuoi occhi chiusi... E non tutte le rose, amore, dovrebbero restare sospese sopra di te, lontane da te, senza toccarti: qualche tralcio fiorito, qualche gentile tralcio senza spine, dovrebbe pian piano insinuarsi sotto le tue coperte fino a sfiorare la tua persona, fino a confondere il suo profumo di fiore col tuo profumo di carne: silenziosamente esso dovrebbe posarsi su te, lambirti, avvolgerti, imprigionarti... i petali, delicati e molli, saprebbero carezzarti tutta come labbra voluttuose. [...] Amore, vorrei portarti tante ...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima. Lettere
  3. Nota ai testi
  4. 1915
  5. 1916
  6. 1917
  7. 1918
  8. 1919
  9. Parte seconda. Scritti e discorsi
  10. Nota ai testi
  11. In retrovia
  12. All’Ufficio P
  13. A Trento e Bolzano
  14. Di ritorno