Una catastrofe patriottica
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Una catastrofe patriottica

1908: il terremoto di Messina

  1. 246 pagine
  2. Italian
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Una catastrofe patriottica

1908: il terremoto di Messina

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28 dicembre 1908, un terremoto di immani proporzioni colpisce Reggio Calabria, Messina e i paesi del circondario. È la più grave catastrofe che il neonato Stato italiano si trovi ad affrontare e il suo impatto sulla pubblica opinione è straordinario quanto inatteso. «Non furono soltanto le brutali dimensioni della calamità a colpire gli italiani, ma anche il fatto che essa portò alla luce alcune delle inquietudini più profonde della società. Il luogo del disastro subì un sovraccarico semiotico: sotto lo sguardo inorridito di un pubblico nazionale ogni scena diventò un simbolo, ogni aneddoto l'involucro di una verità più ampia. Si innescò un movimento di compassione e solidarietà patriottiche di proporzioni mai viste in un paese dove la debolezza del sentimento di identità nazionale è un luogo comune. Gli italiani, come si diceva e si dice ancora spesso, non si sentivano molto italiani: la loro identità era basata sulla località geografica di appartenenza, sulla famiglia, sulla politica o sulla religione, più che sulla nazione. Eppure volontari da tutto il paese si misero in viaggio per dare una mano. Quotidiani e riviste parlarono del disastro fino alla saturazione. Comitati civici spuntarono come funghi per raccogliere fondi. A Roma si tennero i 'plebisciti del dolore': i cittadini deponevano le donazioni in 'urne elettorali' avvolte nel tricolore, che rievocavano i plebisciti che avevano ratificato l'unità. Sarà stato anche un fenomeno eccezionale ma a mio parere qualsiasi analisi del ruolo del patriottismo nella storia d'Italia che non sia in grado di darne conto va necessariamente rivista o scartata.»

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788858113462
Argomento
History

II. Nemici ed eroi

[Parte del materiale contenuto in questo capitolo è già stata pubblicata in forma sostanzialmente analoga in John Dickie, A Patriotic Disaster. The Messina-Reggio Calabria Earthquake of 1908, in Gino Bedani e Bruce Haddock (a cura di), The Politics of Italian National Identity. A Multidisciplinary Perspective, University of Wales Press, Cardiff 2000, pp. 50-71.]

Introduzione

La più esplicita e significativa delle strategie patriottiche emerse nel dopo-terremoto era quella che includeva il tentativo di individuare i nemici della nazione e gli eroi. In situazioni di crisi come una guerra, il tentativo di isolare un individuo o un gruppo su cui poter scaricare la colpa è uno degli schemi comportamentali sociali più frequentemente osservati. I giorni e le settimane che fecero seguito al terremoto del 28 dicembre 1908 non fecero eccezione. Tre gruppi o cose in particolare finirono sotto i riflettori: i saccheggiatori, o meglio, gli sciacalli; gli speculatori di Borsa, cioè i ribassisti, e la burocrazia statale. L’aspetto peculiare della particolare situazione del dopo-terremoto è che questi tentativi di trovare un capro espiatorio – o quantomeno i primi due – furono di corto respiro. Non vi fu nessuna rapida escalation della rabbia nei confronti di sciacalli e ribassisti. Al contrario, come vedremo, il sentimento di ostilità si dissolse parallelamente all’emergere di punti di vista diversi – compresi atteggiamenti di simpatia e comprensione – nei confronti di questi presunti criminali.
Accanto alla ricerca affannosa del capro espiatorio si può individuare un’altra tendenza, che produsse risultati più efficaci: la creazione, in risposta alla catastrofe, di due figure eroiche, quasi sacre: la regina Elena e il parlamentare cattolico emiliano Giuseppe Micheli. Le storie che si svilupparono intorno a queste due figure hanno come motivo dominante aspetti eroici e penitenziali. Come la creazione del capro espiatorio, anche il gesto di penitenza da parte di leader eroici è un motivo ricorrente in momenti di crisi sociale. I due fenomeni hanno anzi molto in comune, perché sia l’eroe che il capro espiatorio rappresentano una controparte che ha la funzione di immaginare una comunità e tracciarne i confini discorsivi.
Questo capitolo ha due scopi principali. Il primo è descrivere lo sviluppo di questi diversi scenari – tre di ricerca del capro espiatorio e due di individuazione di figure eroiche – come un insieme di strategie comparabili e correlate di risposta alla catastrofe. Il secondo è avanzare l’ipotesi che questa situazione di moltiplicazione e concorrenza di strategie di risposta al disastro sia in grado di darci informazioni utili sulle funzioni sociali delle identità nazionali.

Sciacalli

Quando la terra smise di tremare, poco dopo le 5.20 del 28 dicembre 1908, Gaetano La Corte Cailler, curatore del museo e storico locale, si arrampicò fuori dai calcinacci della sua stanza da letto, al 298 di via Cardines, a Messina, aiutando poi a uscire anche la moglie, la suocera e il piccolissimo figlio Nicolino. Nessuno di loro riuscì a trovare Mariuccia, la figlia nata appena quattro giorni prima. Individuati i suoi occhiali, La Corte Cailler si guardò intorno alla luce di un fiammifero e vide che l’angolo dell’ospedale militare situato di fronte a casa sua era crollato sulla facciata della sua abitazione, facendola franare al suolo e lasciandoli sospesi a tre metri da terra. Fu un vicino il primo a rispondere alle loro grida d’aiuto; tenendo una scala in equilibrio sulle spalle li aiutò, completamente nudi, a scendere giù. Il giorno seguente, dopo una notte passata alla stazione, dentro una carrozza ferroviaria, vestiti con abiti prestati da qualcuno, La Corte Cailler, mancandogli il coraggio di farlo personalmente, chiese al cognato Giuseppe di recarsi alla casa distrutta per cercare di trovare il corpo della figlia. Giuseppe ritornò qualche ora dopo, con la bambina in braccio: tossiva ancora per la polvere ingoiata, ma per il resto era in perfetta forma.
Il 30 dicembre, La Corte Cailler si sentì sufficientemente intrepido da avventurarsi per la città in rovina per farsi una qualche idea dell’estensione della catastrofe. Qualche giorno dopo annotò nel suo diario le sue prime reazioni:
Quale vista! e quanti ladri! come lo sciacallo, l’uomo frugava non per salvare il suo simile, ma per sopprimerlo ed impossessarsi del denaro! Vidi una squadra di soldati, con un tenente, che andavano verso Zaera: i soldati avevano nelle spalle, legate con corde, centinaia di scatole di argenteria, provenienti al certo da una Oreficeria, ma dove le portavano? I depositi dei valori erano a bordo delle navi e verso Zaera non c’erano depositi... – Una vecchia, tra le macerie avanzava a stento sotto il peso di un sacco: si fermò per riposarsi e poi mi pregò di darle aiuto per alzare quel peso. Io l’aiutai: il sacco era pieno di argenterie, ed io... ero così sconvolto che non vi posi mente che doveva essere roba derubata! I contadini scendevano coi muli, caricavano denari, argenti, roba e via, ritornando più tardi al lavoro... onesto. E la gente restava sepolta!
E la situazione non era migliorata nel momento in cui stava scrivendo:
Son quattro giorni passati ormai: i furti si accentuano sempre, ma non sono più i villani a perpetrarli, sono i nostri fratelli, gli ufficiali dell’esercito (i soldati sono minacciati di fucilazione), che distribuiscono viveri ed indumenti e... svaligiano le case!1
Voci di un completo collasso della legge e dell’ordine nelle città colpite, su entrambi i lati dello Stretto, si diffusero quasi contemporaneamente all’arrivo della notizia del disastro a Roma. I carcerati, si diceva, uscivano dalle macerie della prigione per seminare scompiglio. Quando i primi soldati arrivarono sul luogo del disastro, secondo l’addetto militare britannico, fucilarono «un buon numero di saccheggiatori» e l’esercito mise in cima alla lista delle priorità la difesa delle vite e della proprietà2.
La paura dei saccheggi fu un’ossessione nei giorni e nelle settimane che seguirono al terremoto. L’impatto che ebbero le storie degli «sciacalli» sull’opinione pubblica italiana può essere misurato dal fatto che fu proprio intorno all’epoca del terremoto che l’uso di questo termine si impose nella lingua italiana col significato di «saccheggiatori»3. Ma quando le critiche alla gestione dell’area del disastro da parte delle forze armate cominciarono a estendersi (si veda più avanti), si diffusero anche i dubbi sulla correttezza di questa affannosa ricerca di un nemico comune, individuato nei cosiddetti «sciacalli». E a complicare ulteriormente il quadro, come vedremo, contribuì il fatto che anche coloro che esprimevano i loro dubbi al riguardo spesso lo facevano all’interno di uno schema simbolico compatibile con la logica del capro espiatorio.
Un dato forse sorprendente è che in prima linea in questa ricerca del capro espiatorio ci fosse il quotidiano del Partito socialista, l’«Avanti!», con le sue iniziali richieste di giustizia istantanea contro gli sciacalli. Il direttore Leonida Bissolati pubblicò il 30 dicembre 1908, quando la portata della catastrofe non era ancora ben chiara a Roma e a Milano, un articolo polemico dove riecheggiava il concetto, tipico dell’antropologia positivista, della lotta contro il crimine come «difesa sociale»:
Profittando del disastro, tutti gli elementi sociali perversi o pervertiti, si danno a correre le rovine, invadono le case deserte per sfogare i loro istinti di selvaggia rapina...
Si dice che il Governo abbia telegrafato concedendo pieni poteri alle autorità militari per salvare le sventurate popolazioni dall’assalto di quei feroci.
Noi non esitiamo ad approvare il provvedimento. [...] noi diciamo che in casi come questi la difesa sociale può farsi legittimamente anche a suono di fucilate.
Uomini che si lanciano al saccheggio in quest’ora, non sono uomini ma lupi. E van trattati come lupi4.
In passaggi come questo, è evidente il compiacimento con cui viene invocata una risposta violenta. Alcuni esponenti socialisti erano particolarmente accaniti nei loro appelli alla giustizia sommaria, ma non erano i soli a dar voce a opinioni simili. Lo stesso Giolitti, intervistato dalla «Stampa» presso il ministero dell’Interno il 2 gennaio, a tarda sera, sembra andare piuttosto orgoglioso delle misure adottate:
Istruzioni egualmente severe e di ben altro genere diramai ai prefetti intorno [agli] svaligiatori dei cadaveri, e le mie inesorabili istruzioni furono eseguite5.
In una vena più patriottica, e da un’ottica politica differente, Goffredo Bellonci del «Giornale d’Italia» riferisce l’11 gennaio di aver visto un uomo arrestato per aver derubato un cadavere: «Fucilatelo nella schiena, o soldati d’Italia, uccidetelo come si uccidono le belve. Codesti ladri non hanno avuta nessuna pietà»6.
Perfino quelli che consideravano il saccheggio, per certi versi, una reazione comprensibile a una situazione estrema, ritenevano necessarie simili brutali misure in un contesto in cui il totale collasso della civiltà aveva scatenato la bestia insita nell’uomo. Guelfo Civinini, del «Corriere della Sera», fu uno dei pochi corrispondenti i cui servizi sul terremoto furono successivamente pubblicati sotto forma di libro7. Il 4 gennaio Civinini scriveva che quanto di umano era rimasto nei superstiti stessi sembrava implorare l’applicazione da parte delle autorità di una salutare crudeltà:
Fra le bande dei saccheggiatori c’erano forse persone che non avevano mai rubato un fiammifero; d’improvviso in essi, dinanzi all’occasione, si è risvegliato dal fondo l’animale di rapina, così in coloro che si sono sentiti investiti dall’autorità libera e indiscussa del punire, ogni senso di pietà si è abolito. La giustizia sommaria è l’unica che, in questa tumultuosa esasperazione di tutti i sentimenti, apparisca adeguata. Si direbbe quasi che l’anima dei superstiti e dei sopravvissuti è talmente esaltata dall’angoscia pietosa, vessa...

Indice dei contenuti

  1. Ringraziamenti
  2. Introduzione
  3. I. In guerra con la natura
  4. II. Nemici ed eroi
  5. III. L’odore della catastrofe
  6. IV. Una catastrofe meridionale
  7. V. Preti e orfani
  8. VI. Tempestività, memoria e disastro
  9. Conclusione
  10. Cronologia degli eventi seguiti al terremoto del 1908
  11. Bibliografia